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Quando il delitto di porto illegale di armi assorbe quello di detenzione?

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Cass. pen., sez. II, 26/06/2024 (ud. 26/06/2024, dep. 12/09/2024), n. 34537 (Pres. Verga, Rel. Saraco)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava quando il delitto di porto illegali di armi assorbe quello di detenzione.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Brescia confermava una sentenza emessa dal Tribunale della medesima città, che aveva condannati gli imputati per il reato di rapina aggravata e per i reati di detenzione e porto in luogo pubblico di arma da guerra.

Ciò posto, avverso siffatta decisione proponevano ricorso per Cassazione ambedue gli accusati, e, tra i motivi ivi addotti, era dedotta mancata applicazione dell’art. 4, comma 2, legge n. 110 del 1975, rispetto ai reati di cui agli artt. 2 e 4 L. n. 895/1967.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Gli Ermellini ritenevano il motivo suesposto infondato, ritenendo come la Corte territoriale avesse fatto una corretta applicazione del principio di diritto secondo cui, in «tema di reati concernenti le armi, il delitto di porto illegale assorbe per continenza quello di detenzione, escludendone il concorso materiale, solo quando la detenzione dell’arma inizi contestualmente al porto della medesima in luogo pubblico e sussista altresì la prova che l’arma non sia stata in precedenza detenuta. (In motivazione, la Corte ha affermato che, in mancanza di alcuna specificazione da parte dell’imputato circa la contemporaneità delle due condotte, il giudice di merito non è tenuto ad effettuare verifiche, potendo attenersi al criterio logico della normale anteriorità della detenzione rispetto al porto)», (Sez. 1 -, Sentenza n. 27343 del 04/03/2021; Sez. 6, Sentenza n. 46778 del 09/07/2015).

I risvolti applicativi

Il delitto di porto illegale di armi assorbe quello di detenzione solo se la detenzione inizia contestualmente al porto in luogo pubblico e si prova che l’arma non era detenuta precedentemente.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 2 Num. 34537 Anno 2024

Presidente: VERGA GIOVANNA

Relatore: SARACO ANTONIO

Data Udienza: 26/06/2024

Data Deposito: 12/09/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M. L. nato il … a …

A. P. nato il … a …

avverso la sentenza in data 23/10/2023 della CORTE DI APPELLO DI BRESCIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ANTONIO SARACO;

sentita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto

Procuratore generale FLAVIA ALEMI, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;

sentito l’Avvocato V. G. che, in sostituzione dell’Avvocata E. S., si è riportato ai motivi d’impugnazione e ne ha chiesto l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

M. L. e A. P., per il tramite dei rispettivi difensori e con

separati ricorsi, impugnano la sentenza in data 23/10/2023 della Corte di appello di Brescia, che ha confermato la sentenza in data 02/03/2023 del Tribunale di Brescia, che li aveva condannati per il reato di rapina aggravata e per i reati di detenzione e porto in luogo pubblico di arma da guerra. La Corte di appello, inoltre, per entrambi, ha ritenuto la continuazione con altra precedente sentenza passata in giudicato.

Deducono:

1. A. P.

1.1. In relazione al capo B) (detenzione porto in luogo pubblico di arma da guerra), violazione di legge e vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. e mancata applicazione dell’art. 4, comma 2, legge n. 110 del 1975, rispetto ai reati di cui agli artt. 2 e 4 L. n. 895/1967.

Con riguardo alla detenzione e al porto in luogo pubblico di un’arma da guerra si contesta che non è emersa la prova che lo strumento adoperato per la rapina fosse effettivamente un’arma da guerra, non potendosi presumere che sia la stessa arma adoperata in occasione della rapina occorsa il 31/01/2018 in Z..

Precisa che, in quel procedimento B. G., -coimputato giudicato separatamente- rendeva dichiarazioni auto ed etero accusatorie, spiegando quando lui stesso aveva reperito la mitraglietta S., precisando

anche da chi l’aveva ricevuta e dove la teneva custodita. Dichiarazioni che venivano ritenute attendibili nel diverso procedimento relativo alla rapina in Z., così che doveva escludersi che la mitraglietta utilizzata nella rapina di Z. fosse la stessa utilizzata in quella dell’odierno giudizio.

Aggiunge che ai fini dell’identificazione dell’arma non sono utili le dichiarazioni rese dai commessi del supermercato, che non hanno mai qualificato o specificato il tipo di arma da loro vista; che non sono stati indicati elementi per escludere che quella utilizzata per la rapina fosse una mera riproduzione di quella autentica; che non si capisce come la polizia giudiziaria giunga a escludere che

l’arma vista nelle immagini estratte dal sistema di videosorveglianza non fosse una replica di arma da guerra.

Sulla base di tali argomentazioni sostiene la mancanza della prova circa l’utilizzo di un’arma da guerra e deduce quanto meno la derubricazione nel reato di cui agli artt. 2 e 4 della legge n. 110/1975, con conseguente prescrizione dello stesso.

1.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 649 cod. proc. pen. in merito alla detenzione dell’arma da fuoco, per il quale reato è già stato condannato in via definitiva.

Il ricorrente lamenta la duplicazione della condanna per il reato di detenzione della mitraglietta S. osservando che per tale condotta era già stato giudicato nel procedimento penale n. n. 1125/2018, nel quale è stato condannato per la rapina a Z., perpetrata con la medesima arma per cui ha riportato condanna anche nell’odierno giudizio.

Rimarca come l’utilizzo dell’arma nelle rapine di Z. e di M. supponga un’unica detenzione, attesa la sua normale anteriorità rispetto al porto in luogo pubblico.

Deduce, inoltre, che la Corte di appello ha erroneamente escluso l’assorbimento del reato di detenzione in quello di porto in luogo pubblico, non avendo considerato la contestualità delle due condotte.

2. M. L..

2.1. Violazione di legge, inosservanza di norma processuale e vizio di motivazione in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. e all’art. 530, comma 2, cod. proc. pen..

Secondo il ricorrente l’affermazione di responsabilità è fondata su indizi equivoci, così che la motivazione risulta illogica e contraddittoria.

Dopo avere riassunto i requisiti richiesti dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. in ordine alla valutazione della prova, vengono ripercorsi i fatti e le emergenze processuali, al fine di dimostrare come manchino i requisiti di gravità precisione e concordanza, con particolare riferimento all’auto Audi A3, alla detenzione della mitraglietta S. e alla significatività dei tabulati telefonici.

2.2. “Erronea interpretazione ed applicazione art. 99 c.p. — esclusione della recidiva reiterata — vizio di motivazione”.

Secondo il ricorrente vi erano plurimi elementi per escludere la recidiva reiterata, avendo riguardo al comportamento tenuto dall’imputato durante l’istruttoria dibattimentale, alla datazione del fatto di reato, al grado di offensività della condotta.

2.3. Vizio di motivazione, erronea interpretazione e mancata applicazione degli artt. 62-bis e 69 cod. pen..

Il ricorrente denuncia la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha disatteso la richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non considerando le circostanze favorevoli, già indicate nel motivo precedente (ossia, comportamento tenuto dall’imputato durante l’istruttoria dibattimentale, datazione del fatto di reato, grado di offensività della condotta). 2.4. Vizio di motivazione, erronea interpretazione e applicazione dell’art. 81

cpv.. Eccessività della pena.

Anche in questo caso la difesa sostiene che la Corte di appello avrebbe dovuto considerare il comportamento tenuto dall’imputato durante l’istruttoria dibattimentale, la datazione del fatto di reato, il grado di offensività della condotta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso di A. S. è inammissibile per le ragioni che si vanno di seguito a specificare.

1.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché propone questioni di fatto non consentite in sede di legittimità.

Con riguardo all’identificazione dell’arma, la Corte di appello ha indicato una molteplicità di elementi (tutti convergenti nel senso che l’arma utilizzata nella rapina oggi in contestazione -consumata a M. il 13/01/2018, non fosse un’arma giocattolo e fosse, invece, la stessa mitraglietta CZ S., sicuramente

utilizzata nella rapina perpetrata il 31 gennaio 2018 in Z..

I giudici, invero, hanno escluso che l’arma fosse un’arma giocattolo, rimarcato come la stessa fosse stata osservata da vicino dai commessi del supermercato e come fosse stata riconosciuta dalla visione qualificata della Polizia giudiziaria, che l’avevano esaminata dalle immagini estratte dalle registrazioni del sistema di videosorveglianza. Quanto alla identità di tale arma con quella utilizzata solo (meno di) venti giorni più tardi a Z., la Corte di appello ha osservato che essa veniva rinvenuta presso l’abitazione di M., che per quella rapina erano stati condannati gli stessi odierni imputati, che l’arma era costosa e non era di facile reperibilità, così che doveva escludersi che potesse trattarsi di una diversa arma.

La Corte di appello, inoltre, (alle pagine 14 e s..) ha spiegato le ragioni per cui le dichiarazioni rese da Bonanno e da M. dovessero ritenersi inattendibili.

1.1.1. A fronte di ciò, le argomentazioni sviluppate con il primo motivo di ricorso si risolvono in una valutazione delle risultanze processuali alternativa a quella ritenuta dai giudici di merito e, in quanto tale, non sono scrutinabili in sede di legittimità.

Si osserva, infatti, che le questioni sollevate dalla difesa sono esattamente antagoniste alla lettura probatoria offerta dai giudici, in quanto si sostiene che quegli elementi valorizzati nella doppia sentenza conforme per ritenere l’utilizzo dell’arma da guerra non sono -in realtà- probatoriamente significative, così chiedendo alla Corte di cassazione -in sostanza- di scegliere quale delle due ricostruzioni sia la migliore.

Ma il compito demandato dal legislatore alla Corte di cassazione -per quanto qui d’interesse- non è quello di stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione dei fatti ovvero quello di condividerne la giustificazione. Il compito del giudice di legittimità è quello di verificare la conformità della sentenza impugnata alla legge sostanziale e a quella processuale, cui si aggiunge il controllo sulla motivazione che, però, è restrittivamente limitato alle ipotesi tassative della carenza, della manifesta illogicità e della contraddittorietà. Con l’ulteriore precisazione che la carenza va identificata con la mancanza della motivazione per  difetto grafico o per la sua apparenza; che l’illogicità deve essere manifesta –ossia individuabile con immediatezza- e sostanzialmente identificabile nella violazione delle massime di esperienza o delle leggi scientifiche, così configurandosi quando la motivazione sia disancorata da criteri oggettivi di valutazione, e trascenda in valutazioni soggettive e congetturali, insuscettibili di verifica empirica; la contraddittorietà si configura quando la motivazione si mostri in contrasto –in  termini di inconciliabilità assoluta- con atti processuali specificamente indicati dalla parte e che rispetto alla struttura argomentativa abbiano natura portante, tale che dalla loro eliminazione deriva l’implosione della struttura argomentativa impugnata.

Nulla di tutto ciò si rinviene nel motivo in esame, visto che la Corte di appello ha fatto ricorso a una motivazione adeguata, logica e non contraddittoria per l’affermazione della responsabilità in relazione al capo B).

1.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.

1.2.1. La prima ragione di manifesta infondatezza attiene alla denuncia di violazione del divieto di bis in idem.

Il ricorrente sostiene di essere stato condannato due volte per la detenzione della medesima arma, in quanto la stessa Corte di appello, ha affermato che l’arma utilizzata nella rapina di Z. è la medesima utilizzata nella rapina di M., tanto da riconoscere la continuazione tra le due rapine.

L’assunto difensivo, però, è manifestamente infondato, mancando il necessario presupposto della doppia condanna per il medesimo fatto di reato, ossia l’inflizione della pena per due volte in relazione al medesimo fatto.

Tanto emerge dall’esame della scansione seguita dai giudici in punto di determinazione della pena.

A tale riguardo si rileva che i giudici del Tribunale -nel ritenere la continuazione tra i fatti oggi in giudizio e quelli giudicati separatamente con le sentenze nn. 1571 e 2767 del 2019 della Corte di appello di Brescia-, nel determinare la pena, hanno ritenuto quale reato più grave la rapina di Z. e sulla relativa pena base hanno applicato l’aumento di pena per i reati contestati nell’odierno procedimento, ossia la rapina di cui al capo A) e i reati di detenzione e porto in luogo pubblico di arma da guerra contestati al capo B).

Tanto fa emergere come non vi sia stata nessuna doppia inflizione di pena per il reato di detenzione, al cui riguardo i giudici hanno applicato la pena solo in relazione alla detenzione correlata alla rapina di M., ma non anche in relazione alla detenzione correlata alla rapina di Z..

Tanto vale a dire che per il reato di detenzione A. ha riportato una sola condanna (quella giudicata nel presente procedimento), così mancando in radice ogni possibilità di discettare circa un’eventuale violazione del divieto di bis in idem.

1.2.1. A eguale conclusione di manifesta infondatezza si perviene anche in relazione alla censura secondo cui i giudici di merito dovevano ritenere l’assorbimento tra il reato di detenzione e quello di porto in luogo pubblico dell’arma.

A tale riguardo questa Corte ha più volte precisato che «In tema di reati concernenti le armi, il delitto di porto illegale assorbe per continenza quello di detenzione, escludendone il concorso materiale, solo quando la detenzione dell’arma inizi contestualmente al porto della medesima in luogo pubblico e sussista altresì la prova che l’arma non sia stata in precedenza detenuta. (In motivazione, la Corte ha affermato che, in mancanza di alcuna specificazione da parte dell’imputato circa la contemporaneità delle due condotte, il giudice di merito non è tenuto ad effettuare verifiche, potendo attenersi al criterio logico della normale anteriorità della detenzione rispetto al porto)», (Sez. 1 -, Sentenza n. 27343 del 04/03/2021, omissis, Rv. 281668 — 01; Sez. 6, Sentenza n. 46778 del 09/07/2015, omissis, Rv. 265489 — 01).

La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tale principio di diritto, osservando che l’imputato non ha allegato alcun elemento circa la contemporaneità delle due condotte. Contemporaneità, peraltro, smentita dall’utilizzo dell’arma in diversi fatti delinquenziali, così sottolineandosi una detenzione perdurante dell’arma, scissa e ben distinta dalla condotta di porto oggi in esame.

Il ricorso di A. è, dunque, inammissibile,

2. A eguale conclusione di inammissibilità si perviene con riguardo al ricorso di M. L., in quanto meramente reiterativo delle identiche questioni di merito sollevate con l’atto di appello, affrontate e risolte dai giudici dell’impugnazione di merito che:

a) hanno ribadito l’affermazione di responsabilità richiamando la sentenza di primo grado e sottolineando come convergessero a suo carico l’esame dei tabulati telefonici, la contraddittorietà delle sue stesse dichiarazioni, i contatti con il complice A., il rinvenimento presso di lui della mitraglietta S. utilizzata per la rapina.

Quanto ai richiami alla motivazione della sentenza di primo grado, vale la pena ricordare quanto chiarito dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha spiegato che, seppur l’articolo 6 §1 della Convenzione obbliga i giudici a motivare le loro decisioni, tale obbligo non può essere inteso nel senso di esigere una risposta dettagliata a ciascun argomento (Van de Hurk c. Paesi Bassi, 19 aprile 1994, § 61), così che, rigettando un ricorso, il giudice di appello può, in linea di principio, limitarsi a fare propri i motivi della decisione impugnata (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Costantino Di Silvio c. Italia, 20 ottobre 2015; Ruiz Torija c. Spagna, 9 dicembre 1994).

b) Hanno ritenuto la recidiva in quanto il fatto in giudizio era sintomatico di una maggiore pericolosità del prevenuto, visto che esso non era il frutto di una scelta occasionale, ma di una determinazione criminosa programmata nel dettaglio, con lo studio dei luoghi e degli orari di maggior flusso di denaro nel supermercato, oltre che con l’utilizzo di un’arma da guerra che attesta il suo inserimento in circuiti

di elevato spessore criminale. I giudici hanno così rimarcato come le pregresse condanne riportate non avessero sortito alcun effetto deterrente.

Va rilevato come tale motivazione sia conforme al principio di diritto a mente del quale «Ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale sintomo di un’accentuata pericolosità sociale dell’imputato e non come mera descrizione dell’esistenza a suo carico di precedenti penali per delitto, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale della loro realizzazione, ma deve esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se e in qual misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto, che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato “sub iudice», (Sez. 2 -, Sentenza n. 10988 del 07/12/2022 Ud., dep. il 2023, omissis, Rv. 284425 – 01).

c) Hanno negato le circostanze attenuanti generiche osservando che non erano emersi elementi positivamente valutabili e che -al contrario- i fatti dimostravano che M. non aveva preso le distanze dallo stile di vita criminale attestato dai numerosissimi precedenti penali.

Anche in questo caso la motivazione è la conforme applicazione del principio di diritto secondo il quale «il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato», (Sez. 4 – , Sentenza n. 32872 del 08/06/2022, omissis, Rv. 283489 – 01).

A ciò si aggiunga che in tema di circostanze, ai fini del diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente il riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti.

2.1. A fronte di una motivazione siffatta, con cui la Corte di appello ha puntualmente risposto a tutte le censure esposte con il gravame, il ricorrente si è limitato a riversare nel giudizio di legittimità le stesse considerazioni di merito sollevate con l’atto di appello.

A parte l’evidente inammissibilità di un tale ricorso per le ragioni evidenziate al paragrafo 1.1.1., va altresì aggiunto che a fronte di tale evenienza, questa Corte ha costantemente chiarito che “È inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella ripetizione di quelli già dedotti in appello, motivatamente esaminati e disattesi dalla corte di merito, dovendosi i motivi stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso”, (Sez. 5, Sentenza n. 11933 del 27/01/2005, Rv. 231708; più di recente, non massimate: Sez. 2, Sentenza n. 25517 del 06/03/2019, omissis; Sez. 6, Sentenza n. 19930 del 22/02/2019, omissis).

In altri termini, è del tutto evidente che a fronte di una sentenza di appello che ha fornito una risposta ai motivi di gravame, la pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso per cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’appello: in questa ipotesi, pertanto, i motivi sono necessariamente privi dei requisiti di cui all’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c), che impone la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta.

3. Quanto esposto comporta la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 26 giugno 2024.

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