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Il reato di favoreggiamento è configurabile durante la detenzione di sostanze stupefacenti?

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Cass. pen., sez. III, 27/03/2024 (ud. 27/03/2024, dep. 11/04/2024), n. 14961 (Pres. Sarno, Rel. Corbetta)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se il reato di favoreggiamento è configurabile, con riferimento alla illecita detenzione di sostanze stupefacenti, in costanza di detta detenzione.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

In parziale riforma della decisione emessa dal Tribunale di Cagliari all’esito del giudizio abbreviato e impugnata dall’imputato, la Corte di Appello della medesima città assolveva l’imputato in relazione al reato di cessione di sostanza stupefacente per non aver commesso il fatto, rideterminando in quattro mesi di reclusione la pena inflitta per il delitto di concorso nella coltivazione e nella detenzione di sostanza stupefacente, nel resto confermando la pronuncia impugnata.

Ciò posto, avverso questa decisione il difensore dell’accusato proponeva ricorso per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, costui deduceva la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 110, 378 cod. pen., 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva il motivo suesposto infondato.

Difatti, a fronte di un orientamento nomofilattico secondo il quale, in tema di illecita detenzione di sostanze stupefacenti ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, il discrimine tra la condotta costituente contributo concorsuale e la condotta integrante invece l’autonomo reato di favoreggiamento personale si fonda sull’elemento psicologico dell’agente, da valutarsi in concreto, per verificare se l’aiuto da questi consapevolmente prestato ad altro soggetto, che ponga in essere la condotta criminosa costitutiva del reato permanente, sia l’espressione di una partecipazione al reato oppure nasca dall’intenzione — manifestatesi attraverso individuabili modalità pratiche — di realizzare una facilitazione alla cessazione del reato (Sez. 4, n. 28890 del 11/06/2019; Sez. 4, n. 6128 del 16/11/2017; Sez. 6, n. n. 22394 del 04/02/2008; Sez. 4, n. 12793 del 06/02/2007), gli Ermellini ritenevano preferibile un altro, peraltro avallato dalle Sezioni Unite, secondo cui il reato di favoreggiamento non è configurabile, con riferimento alla illecita detenzione di sostanze stupefacenti, in costanza di detta detenzione, perché, nei reati permanenti, qualunque agevolazione del colpevole, posta in essere prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve — salvo che non sia diversamente previsto — in un concorso nel reato, quanto meno a carattere morale (Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012; in senso conforme, Sez. 2, n. 282 del 22/09/2021; Sez. 3, n. 364 del 17/09/2019).

Invero, per la Corte di legittimità, era decisivo, in favore della condivisibilità di tale orientamento e, dunque, per la reiezione della doglianza summenzionata, il rilievo che, per espressa previsione dell’art. 378 cod. pen., il reato di favoreggiamento è configurabile soltanto con un’azione realizzata “dopo che fu commesso un delitto”, giammai “durante”, ovvero nel corso della permanenza  dello stesso; di conseguenza, nell’ipotesi di concorso di persone in un reato permanente, ogni condotta causale tenuta dopo la consumazione e fino alla cessazione della permanenza integra non già il delitto di favoreggiamento personale, bensì un concorso nel reato ex art. 110 cod. pen..

I risvolti applicativi

Il reato di favoreggiamento non può essere configurato nel caso di illecita detenzione di sostanze stupefacenti poiché, nelle situazioni di reati permanenti, ogni aiuto fornito dal colpevole, prima che la sua condotta cessi, si considera come concorso nel reato, almeno a livello morale, a meno che la legge non preveda diversamente.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 3 Num. 14961 Anno 2024

Presidente: SARNO GIULIO

Relatore: CORBETTA STEFANO

Data Udienza: 27/03/2024

Data Deposito: 11/04/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da

M. M., nato a … il …

avverso la sentenza del 31/05/2023 della Corte di appello di Cagliari

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta;

letta la requisitoria redatta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giuseppe Riccardi, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, in parziale riforma della decisione emessa dal Tribunale di Cagliari all’esito del giudizio abbreviato e impugnata dall’imputato, la Corte di appello di Cagliari ha assolto M. M. in relazione al reato di cessione di sostanza stupefacente per non aver commesso il fatto, rideterminando in quattro mesi di reclusione la pena inflitta per il delitto di concorso nella coltivazione e nella detenzione di sostanza stupefacente, nel resto confermando la pronuncia impugnata.

2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il ministero del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a due motivi.

2.1. Con un primo motivo denuncia la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 110, 378 cod. pen., 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.

Espone il difensore che la sentenza impugnata non solo avrebbe operato una valutazione atomistica della condotta tenuta dall’imputato, ma nemmeno avrebbe motivato in relazione all’elemento soggettivo, che, secondo un orientamento giurisprudenziale puntualmente indicato, rappresenta il discrimen tra il concorso nel delitto di detenzione e coltivazione di sostanze stupefacenti e il delitto di favoreggiamento personale. La motivazione, inoltre, sarebbe manifestamente illogica laddove ritiene che la condotta dell’imputato fosse volta alla conservazione e alla prosecuzione dell’attività illecita e, allo stesso tempo, che in esecuzione del medesimo fine l’imputato avrebbe tentato di distruggere la piantagione, rendendola conseguentemente infruttuosa. Ancora, la Corte di merito avrebbe individuato, quale elemento di sostegno dell’ipotesi di accusa, un dato neutro, quale la presenza del coimputato A. M., ed essendo del tutto plausibile la spiegazione offerta dal ricorrente, il quale ha rappresentato di aver tentato di disfarsi della droga essendo gravato da precedenti penali specifici.

2.2. Con un secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 99 cod. pen. Argomenta il difensore che la Corte di merito ha ritenuto la recidiva con una motivazione apparente, unicamente valorizzando i precedenti penali, ma senza valutarne la natura e il tempo di commissione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Il primo motivo è infondato.

2.1. E’ ben vero che, secondo un orientamento espresso da questa Corte – quello indicato dal ricorrente (Sez. 4, n. 28890 del 11/06/2019, omissis, Rv. 276571; Sez. 4, n. 6128 del 16/11/2017, dep. 2018, omissis, Rv. 271968; Sez. 6, n. n. 22394 del 04/02/2008, omissis, Rv. 241119; Sez. 4, n. 12793 del 06/02/2007, omissis, Rv. 236195) -, in tema di illecita detenzione di sostanze stupefacenti ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, il discrimine tra la condotta costituente contributo concorsuale e la condotta integrante invece l’autonomo reato di favoreggiamento personale si fonda sull’elemento psicologico dell’agente, da valutarsi in concreto, per verificare se l’aiuto da questi consapevolmente prestato ad altro soggetto, che ponga in essere la condotta criminosa costitutiva del reato permanente, sia l’espressione di una partecipazione al reato oppure nasca dall’intenzione — manifestatesi attraverso individuabili modalità pratiche — di realizzare una facilitazione alla cessazione del reato.

Ad avviso del Collegio, appare, invece, meritevole di condivisione il contrario orientamento, peraltro avallato dalle Sezioni Unite, secondo cui il reato di favoreggiamento non è configurabile, con riferimento alla illecita detenzione di sostanze stupefacenti, in costanza di detta detenzione, perché, nei reati permanenti, qualunque agevolazione del colpevole, posta in essere prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve — salvo che non sia diversamente previsto — in un concorso nel reato, quanto meno a carattere morale (Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012, omissis, Rv, 253151; in senso conforme, Sez. 2, n. 282 del 22/09/2021, dep. 2022, omissis, Rv. 282510; Sez. 3, n. 364 del 17/09/2019, dep. 2020, C., Rv. 278392).

Appare, invero, decisivo, in favore della condivisibilità di tale orientamento, il rilievo che, per espressa previsione dell’art. 378 cod. pen., il reato di favoreggiamento è configurabile soltanto con un’azione realizzata “dopo che fu commesso un delitto”, giammai “durante”, ovvero nel corso della permanenza  dello stesso; di conseguenza, nell’ipotesi di concorso di persone in un reato permanente, ogni condotta causale tenuta dopo la consumazione e fino alla cessazione della permanenza integra non già il delitto di favoreggiamento personale, bensì un concorso nel reato ex art. 110 cod. pen.

2.2. Nel caso di specie, richiamati i ben noti limiti del sindacato di legittimità, essedo preclusa alla Corte di cassazione la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (Sez. Un., n. 12 del 31/05/2000, omissis, Rv. 216260), i giudici di merito, con doppia valutazione conforme, hanno fatto corretta applicazione del principio ora evocato, avendo accertato una situazione di codetenzione nella sostanza stupefacente e di concorso nella coltivazione, desunta, in maniera non implausibile sul piano logico, da serie di elementi puntualmente indicati, quali: la presenza dei due fratelli all’interno dell’abitazione all’atto dell’arrivo degli operanti, i quali, dopo aver bussato alla porta, avevano percepito rumori anomali provenire dall’interno dell’abitazione, come se gli occupanti stessero spostando velocemente qualcosa; la circostanza che il ricorrente condivideva la camera unitamente al coimputato A., il quale, all’atto del controllo, era in stato di forte agitazione; le infiorescenze, contenute in una busta di carta, erano nascoste nel retro di un cassetto di un armadio nella stanza comune, dove vennero rinvenuti, sopra la cassettiera, il coperchio del bilancino – di cui l’imputato (e non il fratello A., che pure era presente con lui) aveva cercato di disfarsi all’arrivo degli agenti di polizia, lanciandolo nel terreno attiguo -, unitamente a una busta di cellophane di colore blu con evidenti ritagli circolari mancanti, compatibili, per forma e colore, ai quelli contenuti nella busta lanciata dal ricorrente nel terreno attiguo; la coltivazione delle tre piantine di cannabis era svolta nel cortile interno dell’azione, spazio comune, e, all’atto del controllo, il ricorrente aveva cercato di distruggere tali piante, strappando il fogliame e spezzandole.

La Corte di merito ha ritenuto che la concorsuale coltivazione e detenzione, da parte dei due fratelli, dello stupefacente era poi corroborata dalla spiegazione fornita dal fratello, nonché coimputato, A. M. – che pure era presente all’arrivo degli operanti – il quale aveva rivendicato a sé l’appartenenza della sola sostanza stupefacente sequestrata, lasciando intendere che il bilancino di precisione, i ritagli di cellophane e la busta rinvenuti nel giardino attiguo potevano essere stati gettati lì da chiunque: circostanza smentita da quanto direttamente percepito dagli agenti di polizia, che, appunto, attraverso la rete di recinzione, ebbero modo di vedere il ricorrente uscire dall’abitazione e lanciare gli oggetti nel terreno attiguo, dove poi erano stati immediatamente rinvenuti dagli stessi militari.

A fronte di tale motivazione, che ha accertato, con una valutazione di fatto non manifestamente illogica, la pregressa comune e deliberata detenzione e coltivazione dello stupefacente da parte dei fratelli M., il motivo, a ben vedere, attacca profili ricostruttivi del fatto, il che esula dal sindacato di legittimità.

3. Il secondo motivo è inammissibile.

3.1. Va osservato che, come affermato dalle Sezioni Unite nel solco tracciato dalla Corte costituzionale (cfr. Corte cost., 14 giugno 2007 n. 192; 14 giugno 2007 n. 198; 30 novembre 2007 n. 409; 21 febbraio 2008 n. 33; 4 aprile 2008 n. 90; 4 aprile 2008 n. 91; 6 giugno 2008 n. 193; 10 luglio 2008 n. 257; 29 maggio 2009 n. 171; 23 luglio 2015, n. 185), in presenza di contestazione della recidiva a norma di uno dei primi quattro commi dell’art. 99 cod. pen., è compito del giudice quello di verificare, in concreto, se la reiterazione dell’illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, omissis, Rv. 247838).

Di conseguenza, l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene all’esercizio di un potere discrezionale del giudice, del quale deve essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo (Sez. 3, n. 19170 del 17/12/2014, dep. 2015, omissis, P.v. 263464).

3.2. Nel caso di specie, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, la Corte di merito ha ribadito i presupposti integranti la contestata recidiva specifica reiterata e infraquinquennale, con una motivazione puntuale ed esaustiva, avendo evidenziato che, dei cinque precedenti penali di cui è gravato il M., quattro riguardano reati in materia di cessione e detenzione di sostanze stupefacenti, di pari gravità di quello oggetto del presente processo, di talché la persistenza nel proseguire a commettere reati della medesima gravità dei precedenti comporta un’espressione di maggiore pericolosità dell’imputato, denotando il totale fallimento della funzione social preventiva delle precedenti condanne a pena detentive, nonché della sospensione condizionale, concessa due volte (e poi revocate) e l’ammissione all’affidamento in prova al servizio sociale.

Si tratta di una motivazione immune da errori di diritto e da aporie logiche, che, quindi, supera il vaglio di legittimità.

5. Per i motivi indicati, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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