Cass. pen., sez. III, 7/02/2025 (ud. 7/02/2025, dep. 28/04/2025), n. 16000 (Pres. Aceto, Rel. Bucca)
Indice
- La questione giuridica
- Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica
- I risvolti applicativi
- Sentenza commentata
La questione giuridica
Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava in cosa consistono i gravi indizi di colpevolezza.
Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.
Il GIP del Tribunale di Lecce disponeva nei confronti di un indagato l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per i delitti di cui agli artt. 416 bis, commi 1 e 6 cod. pen. e 81, commi 1, 110, 416 bis.1, 629 comma 2 in relazione all’art. 628 comma 3 n. 3, 513 bis cod. pen..
Ciò posto, avverso questo provvedimento ricorreva per Cassazione il difensore dell’accusato il quale, tra i motivi ivi addotti, deduceva l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 273 cod. proc. pen..
Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica
Gli Ermellini ritenevano il motivo suesposto infondato.
In particolare, tra le argomentazioni che inducevano la Corte di legittimità ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, quanto alla nozione di «gravi indizi di colpevolezza», la stessa non è omologa a quella che qualifica lo scenario indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016; Sez. 4, n. 38466 del 12/07/2013) dato che, al fine dell’adozione della misura, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitati tenuto conto difatti che codesti indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192 cod. pen. proc., comma 2 (per questa ragione l’art. 273 cod. proc. pen., comma 1-bis richiama l’art. 192 cod. proc. pen., commi 3 e 4, ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale, oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi).
I risvolti applicativi
Per gravi indizi di colpevolezza basta che vi sia qualsivoglia elemento probatorio in grado di fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitati.
Sentenza commentata
Penale Sent. Sez. 3 Num. 16000 Anno 2025
Presidente: ACETO ALDO
Relatore: BUCCA LORENZO A.
Data Udienza: 07/02/2025
Data Deposito: 28/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D. A. nato a … il …
avverso l’ordinanza del 11/10/2024 del TRIBUNALE di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere LORENZO A. BUCCA;
sentite le conclusioni del PG VALENTINA MANUALI che ha chiesto rigettarsi il ricorso e dell’avv.to L. M., difensore di D., che ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza depositata il 16/9/2024, il GIP del Tribunale di Lecce ha disposto nei confronti di D. A. l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per i delitti di cui agli artt. 416 bis, commi 1 e 6 cod. pen. (capo a) e 81, commi 1, 110, 416 bis.1, 629 comma 2 in relazione all’art. 628 comma 3 n. 3, 513 bis cod. pen. (capo a10).
Con ordinanza depositata il 19/10/2024 il Tribunale del riesame di Lecce ha rigettato la richiesta di riesame avanzata nell’interesse dell’indagato.
2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione l’indagato, a mezzo del difensore di fiducia, che con il primo motivo ha denunciato l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 110, 416 bis comma 2, 629 comma 2 in relazione all’art. 628 comma 3 n. 3 e 513 bis cod. pen. nonché dell’art. 273 cod. proc. pen.
Il primo luogo si rappresenta che, al fine di dimostrare la partecipazione di D. all’associazione di stampo mafioso, il Tribunale aveva ritenuto che l’indagato “curasse gli interessi del clan anche nel settore dei giochi e delle scommesse” benché il capo a12 della preliminare rubrica, che riguardava tale ramo di attività, non contemplasse D. fra gli indagati e che l’interesse per il settore del gaming illegale fosse rimasto un mero progetto.
In relazione al ruolo svolto dall’indagato nell’ambito dell’organizzazione imprenditoriale della B. S.r.l., poi, si contesta, in primo luogo, il significato dimostrativo attribuito dal Tribunale del riesame alla “telefonata n. 2411 del 18/11/2020, RI …”, intercorsa tra T. V., responsabile della società concorrente S. I. S.r.l. e S. E., titolare della E. F. di F., dalla quale era stato desunto: l’accordo collusivo stretto tra B. ed esponenti della criminalità organizzata brindisina per espandere la propria attività nell’ambito di tale provincia; il ruolo di effettivo amministratore della società B. S.r.l. ricoperto da D., risultando B. solo una testa di legno in mano alla criminalità organizzata; l’appartenenza di D. al
sodalizio mafioso capeggiato da S.. Ad avviso della difesa, infatti, nell’interpretazione della telefonata non si era tenuto conto: che i dialoganti erano diretti concorrenti della B. S.r.l. mossi dal risentimento per l’espansione commerciale di quest’ultima nella zona in cui operavano; del tono canzonatorio utilizzato nel descrivere l’operato di D., incompatibile “con la carica intimidatoria” che all’indagato era stata attribuita.
Si contesta, poi, il rilievo dato dal Tribunale alla decisione di una molteplicità di ristoratori ed esercenti di attività commerciali di risolvere il contratto in essere per la raccolta dell’olio esausto per conferire il rifiuto della B. S.r.l., talvolta senza che fosse intervenuto un accordo scritto.
In primo luogo, si fornisce un’interpretazione alternativa della conversazione intercorsa fra B. e D. nel corso della quale il primo aveva sottolineato l’importanza che i nuovi clienti restassero “soddisfatti”, assumendo che tale preoccupazione smentisse la ricostruzione accusatoria.
Vengono, inoltre, richiamate le dichiarazioni rese da A., A., S., S. L., S. C. e D. T., tutti imprenditori che avevano conferito l’incarico di raccogliere gli oli esausti prodotti dalle loro aziende alla B. S.r.l., per rimarcare che avevano escluso di aver subito minacce.
In relazione, poi, all’incontro del 4/9/2023 avvenuto all’interno del ristorante L. P., si osserva che poteva al più rivelare che S. e D. fossero partecipi agli utili prodotti dalla B. S.r.l. ma non anche che tali proventi fossero transitati nella cassa comune della consorteria, così risultando irrilevante ai fini della dimostrazione dell’inserimento di D., che ricopriva il ruolo di procacciatore di clienti per la B. S.r.l., nell’associazione di stampo mafioso. Il ruolo di procacciatore, inoltre, spiega, ad avviso della difesa, l’intercettazione n. … del 22/9/2020 R.I. … dalla quale il Tribunale aveva erroneamente desunto che il ricorrente fosse l’effettivo gestore della B. S.r.l. Si contesta ancora il concorso fra i reati di cui agli artt. 629 e 513 bis cod. pen., sostenendo che non essendo stata esercitata alcuna intimidazione sugli imprenditori per indurli a conferire gli oli esausti alla B. S.r.l. non era configurabile il reato di estorsione aggravata ma, al più, quello di cui all’art. 513 bis cod. pen.
3. Con il secondo motivo si denuncia la violazione di legge sostanziale e il deficit di motivazione in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari. Si deduce che il Tribunale aveva utilizzato “quale dato sintomatico dell’impossibilità di superare il disposto dell’art. 275 comma 3 cod. proc. pen. un carico pendente per l’art. 73 comma 1 d.P.R. 309/90, nonostante in questo procedimento non vi sia alcun indizio in ordine al coinvolgimento dell’indagato in traffici di stupefacenti, senza considerare che D. è incensurato e che sussiste un apprezzabile lasso temporale fra le condotte contestate e l’applicazione della custodia in carcere.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile in quanto articolato in motivi a tratti non consentiti in sede di legittimità e per il resto manifestamente infondati.
L’ordito motivazionale che sorregge il provvedimento impugnato si muove seguendo linee ricostruttive logiche che illustrano la posizione di D. all’interno dell’organizzazione aziendale nella B. S.r.l., il coinvolgimento gestione della predetta S.r.l. non soltanto di S. ma anche di altri elementi della consorteria da questi comandata e la capacità intimidatoria che la cointeressenza negli affari della società del clan proiettava all’esterno attribuendo a D. una capacità di persuasione nei confronti dei potenziali clienti che prescindeva da logiche commerciali trovando fondamento nella paura di ritorsioni in caso di rifiuto.
2. Vengono, quindi, riportate numerose intercettazioni telefoniche che disvelano l’importanza che il coinvolgimento del clan S. ebbe nell’espansione della B. S.r.l. nel territorio della Provincia di Brindisi. L’intercettazione del colloquio telefonico fra T. e S., ad esempio, rivela che i due loquenti, titolari di ditte concorrenti della B. S.r.l., avevano ben presente che nella struttura aziendale della predetta società vi erano inserito; soggetti pericolosi, “tutti pregiudicati”, e che il progetto di sviluppo faceva perno sul timore che il clan S. suscitava fra gli imprenditori locali (inter. n. … del 18/11/2020, …).
3. La capacità intimidatoria del clan nel cui interesse operava D., d’altronde, è ben rappresentata dalla conversazione del 18/9/2020 n. …, RI …, nel corso della quale il medesimo, facendo riferimento ai L. C. F., un pregiudicato assoldato dalla S. I. che, per cercare di contrastare l’espansione della B. S.r.l., il 17/9/2020 aveva fermato C. intimandogli di non “andare dai loro clienti”, rassicura quest’ultimo dicendogli che D. L. gli avrebbe chiesto scusa per le minacce che gli aveva formulato.
4. L’ordinanza ricostruisce anche, attraverso le intercettazioni e le sommarie informazioni rese dai soggetti coinvolti, le modalità attraverso cui la B. S.r.l. era riuscita ad assicurarsi gli oli esausti prodotti dalla “T. N.”, dalle società D. T. S.r.l. e B. F.s.r.l.s. e dalle ditte di A., S. e S. illustrando gli elementi che rendevano palese che si era in presenza di rapporti che gli imprenditori avevano allacciato non per ragioni di convenienza ed economicità ma solo per il timore di ritorsioni da parte della consorteria delinquenziale che tutti sapevano coinvolta nella gestione della B. S.r.l.
5. L’ordinanza spiega anche compitamente, senza incorrere in alcun vizio logico, le ragioni per le quali lo sfruttamento della capacità di intimidazione discendente dall’associazione di stampo mafioso per il reperimento di nuovi clienti integri non soltanto il reato di cui all’art. 513 bis ma anche quello di estorsione aggravata.
6. Tale ordito motivazionale è sostanzialmente ignorato dal ricorso che prende in esame solo alcune delle circostanze valorizzate dal Tribunale del riesame proponendone letture alternative, molte volte in palese contrasto con il contenuto delle intercettazioni, al fine di sviluppare, tramite esse, un ragionamento probatorio alternativo che non si confronta con la motivazione contestata.
7. Le censure difensive, chiaramente, travalicano l’ambito del sindacato riservato a questa Corte sul provvedimento impugnato, risultando finalizzate ad ottenere una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dal giudice del merito, senza individuare profili di manifesta illogicità della motivazione in relazione al significato dimostrativo in essa assegnato agli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U., n. 11 del 22/3/2000, omissis, R.v. 215828; Sez. 5, n. 17185 del 21/3/2024, omissis).
Non è superfluo ricordare che, allorquando sia denunciato con il ricorso per Cassazione il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 19751 del 17/4/2024, omissis, 286527; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, omissis, Rv. 276976 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460; conf. Sez. 4, n. 37878 del 6/7/2007, omissis, Rv. 237475).
Sono, quindi, inammissibili le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, propongono una differente lettura delle vicende indagate o dello spessore degli indizi allo scopo di ottenere una riconsiderazione delle caratteristiche del fatto o di quelle soggettive dell’indagato in relazione all’apprezzamento delle stesse che sia stato operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate (Sez. 4, n. 19751/24; Sez. 1, n. 7445 del 20/11/2020, omissis).
In altri termini, è consentito in questa sede esclusivamente verificare se le argomentazioni spese sono congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato. Se, cioè, in quest’ultimo, siano o meno presenti due requisiti, l’uno di carattere positivo e l’altro negativo, e cioè l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative su cui si fonda e l’assenza di illogicità evidenti, risultanti, cioè, prima facie dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 4, n. 19751/4).
Con la doverosa precisazione che, quanto alla nozione di «gravi indizi di colpevolezza», la stessa non è omologa a quella che qualifica lo scenario indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, omissis, Rv. 268683; Sez. 4, n. 38466 del 12/07/2013, omissis, Rv. 257576). Al fine dell’adozione della misura, infatti, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitati. I detti indizi, pertanto, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192 cod. pen. proc., comma 2 (per questa ragione l’art. 273 cod. proc. pen., comma 1-bis richiama l’art. 192 cod. proc. pen., commi 3 e 4, ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale, oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi).
8. Manifestamente infondato risulta il motivo volto a contestare la sussistenza della concretezza e attualità delle esigenze cautelari e la necessità della custodia in carcere.
Il Tribunale ha giustificato la misura carceraria richiamando la doppia presunzione relativa di cui all’art 275 cod. proc. pen. rilevando che non era stato “acquisito alcun elemento istruttori° in grado di far ragionevolmente ritenere che D. avesse rescisso il suo legame con l’organizzazione criminosa” e che, anzi, le dichiarazioni mendaci rese nel corso dell’interrogatorio di garanzia militavano in senso contrario, e valutando non significativi tanto il tempo trascorso fra i fatti emersi dalle indagini e la data del provvedimento custodiale, sia per la prossimità temporale di quei fatti che per la stabilità e solidità dell’affectio tra i componenti del clan, che “aveva pervicacemente consolidato con il passare degli anni la propria egemonia” nel contesto territoriale nel quale operava, quanto lo stato d’incensuratezza di D., la cui valenza significativa era peraltro intaccata da un carico pendente per droga. L’ordinanza, ancora, si sofferma sulla negativa personalità dell’indagato, connotata da una allarmante volontà di locupletazione attraverso il delitto che l’aveva indotto ad aderire a un patto associativo con gli elementi di spicco della consorteria di stampo mafioso che controllava il territorio, divenendo l’uomo di fiducia del capo in settori strategici per l’associazione, quale la raccolta degli oli esausti e nel settore dei giochi e delle scommesse on line, incurante del rischio di delazioni o delle ritorsioni che eventuali errori avrebbero potuto scatenare.
9. Si è quindi in presenza di un’argomentazione articolata che sviluppa una valutazione prognostica, fondata sulle modalità realizzative della condotta, connotata dal coinvolgimento dell’indagato in contesti criminosi di notevole livello, sulla personalità del medesimo, permanentemente dedito alla tutela degli interessi del sodalizio, e sul contesto socio ambientale, da cui l’indagato non aveva preso
le distanze, volta a dimostrare l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari e la necessità della custodia in carcere, che affianca e corrobora le presunzioni di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen.
10. Va ricordato che sulla valenza delle presunzioni di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen. esistono orientamenti giurisprudenziali non omogenei. Secondo un primo orientamento, affermato più volte in relazione alle c.d. mafie storiche, “la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con la prova del recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre il cd. “tempo silente” (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati) non può, da solo, costituire prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi (tra cui, ad esempio, un’attività di collaborazione o il trasferimento in altra zona territoriale) volti a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari. (Sez. 5, n. 16434 del 21/02/2024, omissis, Rv. 286267; in senso conforme, Sez, 5, n. 36389 del 15/07/2019, omissis, Rv. 276905; Sez. 2, n. 38848 del 14/07/2021, omissis, Rv. 282131;
Sez. 5, n. 36389 del 15/07/2019, Rv. 276905; Sez. 5, n. 52303 del 14/07/2016, omissis, Rv. 268726 01)” (Sez. 6, n. 4920 del 15/10/2024, omissis).
Altro orientamento ritiene che il tempo trascorso dai fatti contestati, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, anche nel caso in cui non risulti una dissociazione espressa, potendo lo stesso assurgere a fattore sintomatico della inattualità del vincolo associativo o della sua definitiva dissoluzione e, quindi, dell’insussistenza delle esigenze cautelari (Sez. 6, n. 11735 del 25/1/2024, omissis, Rv. 286202; Sez. 6, n. 19863 del 04/05/2021, omissis, Rv. 281273 – 02; Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, omissis, Rv. 285272 – 01).
Nell’ambito di questo secondo orientamento, tuttavia, è stato in maniera condividibile precisato che l’incidenza sulla valutazione giudiziale della dimensione temporale non è fissa e sempre omogena ma è strettamente collegata con la storia e la personalità dell’indagato (Sez. 6, n. 4920 del 15/10/2024 (dep. 2025), omissis) e con le caratteristiche del sodalizio mafioso in cui risultava inserito con la conseguenza che “l’astratta e generica deduzione del tempo trascorso non costituisce un’argomentata censura avverso la riconosciuta valenza della presunzione…in assenza di qualsivoglia riferimento al tipo di sodalizio e alla qualità e alla durata della partecipazione…[in quanto] al fine di superare la presunzione si impone il confronto con quelle caratteristiche e quella partecipazione, onde poter prospettare la valenza di una protratta mancanza di ulteriori manifestazioni [di risoluzioni criminali], quale dato sintomatico di un sostanziale allontanamento (unico dato di per sé decisivo: sul punto si rinvia a Sez. 6, n. 15753 del 28/3/2018, omissis, Rv. 272887)” (Sez. 6, n. 37352 del 18/7/2024, omissis).
11. In assenza della prova della rescissione dal sodalizio e, anzi, di condotte tenute nel procedimento che manifestano una persistente adesione ai valori del contesto criminale pregresso, e di una motivazione che sorregge la presunzione richiamata mediante la valorizzazione di elementi di fatto dimostrativi dell’attualità
(parte mancante)
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 7/2/2025.