Il Tribunale deve riesaminare le condizioni del provvedimento restrittivo in caso di appello contro il rigetto della revoca della misura cautelare?

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Cass. pen., sez. VI, 28/11/2024 (ud. 28/11/2024, dep. 08/01/2025), n. 607 (Pres. Di Stefano, Rel. Tondin)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se il Tribunale è tenuto a riesaminare la sussistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento restrittivo nel caso di appello proposto avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di revoca di misura cautelare personale.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

Il Tribunale per il riesame di Lecce respingeva un appello proposto avverso un’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva respinto l’istanza, formulata ai sensi dell’art. 299 cod. proc. pen., di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari.

Ciò posto, avverso questa decisione ricorreva per Cassazione il difensore dell’indagato il quale, tra le argomentazioni ivi addotte, sosteneva che, nella prospettiva difensiva, il Tribunale per il riesame non si sarebbe confrontato con i motivi proposti nell’appello proposto ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., che vertevano sull’assenza di attualità delle esigenze cautelari, alla luce della giovane età del ricorrente, del tempo trascorso dalla commissione dei fatti, della impossibilità per il ricorrente di reiterare i reati a lui addebitati, tenuto conto che i presunti sodali sono tutti sottoposti a misura restrittiva.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Gli Ermellini ritenevano il ricorso suesposto inammissibile.

In particolare, tra le argomentazioni che inducevano i giudici di piazza Cavour ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo cui, in sede di appello avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di revoca di misura cautelare personale, il Tribunale non è tenuto a riesaminare la sussistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento restrittivo, dovendosi limitare al controllo che l’ordinanza gravata sia giuridicamente corretta e adeguatamente motivata in ordine ad eventuali allegati nuovi fatti, preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificare apprezzabilmente il quadro probatorio o a escludere la sussistenza di esigenze cautelari, ciò in ragione dell’effetto devolutivo  dell’impugnazione e della natura autonoma del provvedimento impugnato (Sez. 6,n. 45826 del 27/10/2021).

I risvolti applicativi

In caso di appello contro il rigetto della revoca della misura cautelare, il Tribunale non deve riesaminare le condizioni legittimanti il provvedimento, ma limitarsi a verificare la correttezza giuridica e la motivazione dell’ordinanza, considerando eventuali nuovi fatti che possano modificare il quadro probatorio o escludere le esigenze cautelari, in base all’effetto devolutivo dell’impugnazione e alla natura autonoma del provvedimento.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 6 Num. 607 Anno 2025

Presidente: DI STEFANO PIERLUIGI

Relatore: TONDIN FEDERICA

Data Udienza: 28/11/2024

Data Deposito: 08/01/2025

SENTENZA

sul ricorso proposto da

C. G. nato a … il …

avverso l’ordinanza del 11/06/2024 del Tribunale di Lecce

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Federica Tondin;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Raffaele Gargiulo, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 23/02/2024 è stata disposta l’applicazione nei confronti di G. C. della misura cautelare della custodia in carcere per il delitto di partecipazione ad una associazione dedita al narcotraffico, con il ruolo di corriere (art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990), e per numerosi reati fine (art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990).

Con l’ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale per il riesame di Lecce ha respinto l’appello proposto nell’interesse di G. C. avverso l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari ha respinto l’istanza, formulata ai sensi dell’art. 299 cod. proc. pen., di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di G. C. denunciando un unico, articolato motivo di annullamento, di seguito sintetizzato conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

Nella prospettiva difensiva il Tribunale per il riesame non si sarebbe confrontato con i motivi proposti nell’appello proposto ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., che vertevano sull’assenza di attualità delle esigenze cautelari, alla luce della giovane età del ricorrente, del tempo trascorso dalla commissione dei fatti, della impossibilità per il ricorrente di reiterare i reati a lui addebitati, tenuto conto che i presunti sodali sono tutti sottoposti a misura restrittiva. Difetterebbe, inoltre, la motivazione sia in ordine al pericolo di fuga sia in ordine alla inadeguatezza della misura egli arresti domiciliari presso dei parenti in Veneto, luogo lontano dai fatti.

3. Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Va premesso che in sede di appello avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di revoca di misura cautelare personale, il Tribunale non è tenuto a riesaminare la sussistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento restrittivo, dovendosi limitare al controllo che l’ordinanza gravata sia giuridicamente corretta e adeguatamente motivata in ordine ad eventuali allegati nuovi fatti, preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificare apprezzabilmente il quadro probatorio o a escludere la sussistenza di esigenze cautelari, ciò in ragione dell’effetto devolutivo  dell’impugnazione e della natura autonoma del provvedimento impugnato (Sez. 6,n. 45826 del 27/10/2021, omissis, Rv. 282292).

È, inoltre, opportuno rilevare che, in tema di misure cautelari personali, la doppia presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere, valevole per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., trova applicazione anche ove sia richiesta la sostituzione della misura (Sez. 3, n. 46241 del 20/09/2022, Rv. 283835).

3. Il Tribunale per il riesame ha fatto corretta applicazione di tali principi rilevando che le circostanze addotte nel ricorso non potevano essere qualificate come significativi elemento di novità idonei a superare la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. e far ritenere venute meno le esigenze cautelari.

Quanto all’attualità in tali esigenze, ha evidenziato che il ricorrente è stato tratto in arresto il 14/12/2022 perché sono stati rinvenuti nella sua abitazione n. 9 involucri contenenti cocaina, oltre ha un bilancino di precisione materiale per il confezionamento dello stupefacente.

Nessun rilievo poteva assumere la circostanza che, prima che fosse eseguita l’ordinanza cautelare, il ricorrente abbia svolto una regolare attività lavorativa, in quanto tutti i reati fine sono stati commessi dopo l’assunzione, che risale al 19/09/2020.

Contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, inoltre, l’ordinanza motiva in ordine alla richiesta di scontare la misura degli arresti domiciliari presso l’abitazione di alcuni parenti, in un luogo distante dalla consumazione dei reati, ritenendo tale misura del tutto inadeguata a soddisfare le esigenze cautelari, in quanto il ricorrente deteneva sostanza stupefacente anche in casa e lì la preparava per il successivo spaccio.

Nessuna motivazione doveva essere resa, infine, in ordine al pericolo di fuga né al pericolo di inquinamento probatorio, in quanto la misura è stata applicata unicamente per il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie.

4. All’inammissibilità del ricorso consegue l’obbligo al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.

Così deciso il 28/11/2024.

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