Il reato di invasione sussiste quando si subentra in un alloggio pubblico con il consenso del precedente detentore o per mera cortesia o parentela con l’originario assegnatario?

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Cass. pen., sez. II, 10/09/2025 (ud. 10/09/2025, dep. 4/12/2025), n. 39184 (Pres. Agostinacchio, Rel. Calvisi)

Indice

La questione giuridica

La questione giuridica, affrontata dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se il reato di invasione sussista qualora si subentri in un alloggio pubblico con il consenso del precedente detentore o per mera cortesia o parentela con l’originario assegnatario.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Roma confermava una sentenza emessa dal Tribunale della medesima città con la quale un imputato stato dichiarato colpevole del reato di invasione di terreni o edifici di cui agli artt. 633 e 639-bis cod. pen., contestatogli perché, al fine di occuparlo, invadeva arbitrariamente un immobile pubblico di proprietà del Comune capitolino, al quale aveva avuto accesso in qualità di ospite, permanendo nello stesso anche successivamente al decesso dell’avente diritto.

Ciò posto, avverso questa decisione ricorreva per Cassazione il difensore dell’accusato il quale, con un unico motivo, deduceva inosservanza o erronea applicazione dell’art. 633 cod. pen..

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Il Supremo Consesso riteneva il ricorso suesposto infondato.

In particolare, tra le argomentazioni che inducevano gli Ermellini ad addivenire a siffatto esito decisorio, dopo essere stata compiuta un’articolata disamina degli orientamenti nomofilattici formatisi in subiecta materia, veniva addotta quella secondo la quale il reato di invasione deve ritenersi configurabile ogniqualvolta si occupa un immobile sine titulo e tale deve considerarsi la condotta di chi subentra nell’appartamento di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del precedente legittimo detentore, ovvero di chi occupa l’immobile a titolo di mera cortesia o in virtù di un rapporto di parentela con l’originario e legittimo assegnatario.

I risvolti applicativi

Il reato di invasione di terreni o edifici si configura ogniqualvolta si occupi un bene sine titulo, e ciò include anche la condotta di chi subentra in un immobile pubblico con il consenso del precedente detentore ovvero lo occupa per cortesia o per vincolo familiare con l’originario assegnatario.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 2 Num. 39184 Anno 2025

Presidente: AGOSTINACCHIO LUIGI

Relatore: CALVISI MICHELE

Data Udienza: 10/09/2025

Data Deposito: 04/12/2025

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

P. S. nato a … il …

avverso la sentenza del 20/02/2025 della CORTE di APPELLO di ROMA

udita la relazione svolta dal Consigliere MICHELE CALVISI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale ALESSANDRO CIMMINO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito l’Avv. G. L., per il ricorrente, che si riporta ai motivi dedotti e chiede che il procedimento venga rimesso alle Sezioni Unite;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza resa in data 20 febbraio 2025 la Corte d’Appello di Roma confermava la sentenza emessa il 2 maggio 2024 dal Tribunale di Roma con la quale l’imputato P. S. era stato dichiarato colpevole del reato di invasione di terreni o edifici cui agli artt. 633 e 639-bis cod. pen., contestatogli

perché, al fine di occuparlo, invadeva arbitrariamente l’immobile pubblico di proprietà del Comune di R. sito in R., via …, al quale aveva avuto accesso in qualità di ospite, permanendo nello stesso anche successivamente al decesso dell’avente diritto.

2. Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando un unico motivo di doglianza con il quale deduceva inosservanza o erronea applicazione dell’art. 633 cod. pen.

Rassegnava che il fatto storico (come detto, l’imputato, ospitato in un alloggio popolare, si era trattenuto illegittimamente nell’immobile dopo il decesso dell’avente diritto) non era in contestazione ed era stato ben individuato e descritto dalla Corte d’Appello, e che in relazione al concetto di invasione vi era, nella giurisprudenza di legittimità, un contrasto fra due orientamenti, del quale aveva dato conto anche la Corte territoriale.

Un primo orientamento riteneva che integrasse il reato anche la condotta di chi, avendo ricevuto l’autorizzazione dell’avente diritto all’ingresso e alla coabitazione, fosse rimasto nell’immobile anche dopo il decesso di quest’ultimo.

Un secondo orientamento richiedeva l’introduzione abusiva dall’esterno nell’immobile, sicché il reato non ricorreva laddove il soggetto, entrato legittimamente nella disponibilità del bene, avesse proseguito nell’occupazione contro la volontà dell’avente diritto, dovendosi considerare che la norma

incriminatrice sanzionava esclusivamente l’invasione, e non anche qualsivoglia forma di detenzione sine titulo del bene.

La difesa sottoponeva a critica il primo orientamento, al quale ha aderito la Corte di merito, dando risalto al contrasto giurisprudenziale e chiedendo, in subordine, che la questione fosse rimessa alle Sezioni Unite Penali di questa Corte, richiesta che ribadiva con istanza depositata in data 8 luglio 2025.

Richiamava l’art. 634-bis cod. pen., di recente introduzione, che sanzionava penalmente qualsivoglia condotta, realizzata mediante violenza o minaccia, di occupazione o detenzione senza titolo di un immobile destinato a domicilio altrui, ritenendo che la nuova disposizione fosse dimostrativa del fatto che le condotte ivi descritte non fossero mai state ricomprese nell’alveo dell’art. 633 cod. pen.

Per altro verso sottoponeva a critica l’assunto secondo il quale l’art. 633 cod. pen. tutelerebbe la destinazione pubblicistica del bene, essendo rilevante nel caso di specie il mancato rispetto delle regole nell’individuazione del soggetto assegnatario, dovendosi considerare, diversamente, che l’art. 633 cod. pen. puniva l’invasione tanto degli edifici pubblici che di quelli privati, sicché il concetto di invasione non poteva che essere unico.

3. In data 8 luglio 2025, come detto, la difesa depositava istanza di rimessione del processo alle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione; in data 4 settembre 2025 depositava memoria con la quale ribadiva le argomentazioni già rassegnate, richiamava inoltre l’art. 12, comma 1, della legge regionale del Lazio, che disciplinava il subentro nell’assegnazione degli alloggi popolari, assumendo che il convivente dell’assegnatario (nella specie il ricorrente) aveva diritto al subentro nell’assegnazione dell’alloggio, circostanza che portava ad escludere, nel caso di specie, la sussistenza del reato di cui all’art. 633 cod. pen., considerato che il possesso dell’immobile da parte del P. non poteva ritenersi arbitrario, e insisteva nell’accoglimento di tutte le richieste già avanzate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e pertanto deve essere rigettato.

Questa sezione ha avuto modo di pronunciarsi di recente, esprimendo … indirizzo, che questo Collegio condivide, secondo il quale integra il delitto di invasione di edifici, di cui all’art. 633 cod. pen., la condotta di chi subentra “sine titulo” in un alloggio di edilizia residenziale pubblica, previa autorizzazione degli eredi del precedente legittimo detentore (v. Sez. 2, n. 20675 del 22/05/2025, omissis, Rv. 288157 – 01).

La sentenza impugnata dà conto dei due contrastanti orientamenti evidenziati dal ricorrente, ritenendo che debba essere data continuità a quello espresso con la massima qui enunciata.

La pronuncia ha evidenziato che con precedente sentenza di questa sezione (Sez. 2, n. 27041 del 24/03/2023, omissis, Rv. 284792 – 01) era stata ricostruita la giurisprudenza in tema di occupazione abusiva di immobili e si era osservato che la giurisprudenza di legittimità aveva nel recente passato espresso due orientamenti contrastanti, qualora il soggetto fosse subentrato nell’immobile di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del legittimo detentore.

Un primo indirizzo ermeneutico partiva dalla considerazione secondo la quale nel reato di invasione di terreni o edifici la nozione di “invasione” non si riferiva all’aspetto violento della condotta, che poteva anche mancare, ma al comportamento di colui che si introduceva arbitrariamente”, ossia “contra ius”, nell’immobile in quanto privo del diritto d’accesso, così che la conseguente “occupazione” costituiva l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale veniva posta in essere l’abusiva invasione (Sez. 2, n. 26957 del 27/3/2019, omissis, Rv. 277019 – 01). Nella scia di tale impostazione era stato, altresì, sostenuto che integrasse il reato di cui all’art. 633 cod. pen. la condotta di chi, inizialmente ospitato a titolo di cortesia dall’assegnatario di un immobile di edilizia residenziale pubblica, vi fosse rimasto anche dopo l’allontanamento dell’avente diritto, comportandosi come “dominus” o possessore, atteso che la “mera ospitalità” non costituiva un legittimo titolo per l’occupazione dell’immobile (Sez. 2, n. 49527 del 8/10/2019, omissis, Rv. 278828 – 01) e che il versamento all’ente pubblico proprietario dell’immobile dell’indennità di occupazione ovvero il rilascio all’imputato di un certificato di residenza indicante quale luogo d’abitazione l’immobile occupato e l’allaccio delle utenze domestiche non valevano ad escludere la sussistenza del reato, già perfezionato con l’abusiva introduzione nell’immobile e la destinazione dello stesso a propria stabile dimora (Sez. 2, n. 3436 del 27/11/2019, omissis, Rv. 277820 – 01).

Secondo l’orientamento contrario, non integrava il reato di invasione di terreni o edifici la condotta del soggetto che fosse subentrato nell’appartamento di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del precedente legittimo detentore, atteso che la condotta tipica del reato di cui all’art. 633 cod. pen. consisteva nell’introduzione dall’esterno in un fondo o in un immobile altrui di cui non si aveva il possesso o la detenzione, sicchè tutte le volte in cui il soggetto fosse entrato legittimamente in possesso del bene doveva escludersi la sussistenza del reato (Sez. 2, n. 15874 del 30/1/2019, omissis, Rv. 276416 – 01). Di conseguenza, non era configurabile il reato di cui all’art. 633 cod. pen.

laddove il ricorrente fosse subentrato nell’appartamento di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del precedente legittimo detentore, legato a lui da vincoli di affinità: in tal caso doveva escludersi la rilevanza del possesso o meno delle condizioni richieste per l’assegnazione, posto che detta circostanza poteva avere rilevanza a fini amministrativi o civilistici, non anche sotto il profilo penalistico (Sez. 2, n. 48050 del 26/9/2018, omissis, che richiama tra le altre Sez. 2, n. 2337 del 1/12/2005, omissis, Rv. 233140 e Sez. 2, n. 23756 del 4/6/2009, omissis, Rv. 244667). Nello stesso senso era stato ritenuto che non integrasse il reato di invasione arbitraria di edifici il persistere nell’occupazione di un alloggio IACP, continuando a versare il canone locativo, da parte di soggetto legato da pregresso rapporto di convivenza con l’assegnatario, che ivi avesse la propria residenza, da intendersi quale luogo di volontaria e persistente dimora del soggetto, a prescindere da una corrispondenza di tale situazione di fatto con le relative annotazioni sui registri anagrafici (Sez. 2, n.

49101 del 4/12/2015, omissis, Rv. 265514 – 01).

A fronte dei due indirizzi sopra sintetizzati, si è ritenuto di dover preferire il primo orientamento considerando che oggetto specifico della tutela penale è l’interesse pubblico alla inviolabilità del patrimonio immobiliare, in relazione alla protezione del diritto — spettante ai privati, allo Stato o ad altri enti pubblici – di conservare i terreni o edifici legittimamente posseduti liberi da invasioni di persone non autorizzate; il termine «invasione» non è assunto nel significato comune di questa parola, che richiama una azione irruenta e impetuosa, ma in quello di introduzione arbitraria non momentanea nel terreno o nell’edificio altrui allo scopo di occuparlo o comunque di trarne profitto. Di conseguenza, i mezzi e il modo con cui avviene l’invasione sono indifferenti, né è necessario che ricorra il requisito della clandestinità, che costituisce uno degli elementi dello spoglio civile (art. 1168 cod. civ.), di talché l’invasione può commettersi anche palesemente e senza violenza neppure sulle cose o senza inganno. Unico requisito dell’occupazione è l’arbitrarietà, vale a dire che essa avvenga contra ius: agisce «arbitrariamente» chi non ha il diritto o altra legittima facoltà di entrare nell’altrui terreno o edificio allo scopo di occuparlo o di trarne altrimenti profitto.

Non viene condivisa l’ulteriore affermazione costantemente riconducibile al secondo orientamento secondo cui sarebbe irrilevante il possesso o meno delle condizioni richieste per l’assegnazione, in quanto tale circostanza potrebbe valere solo a fini amministrativi o civilistici, mentre non rileverebbe sotto profilo penalistico. Sul punto di è evidenziato che, poiché l’art. 633 cod. pen. tutela la destinazione pubblicistica del bene, ciò che rileva è il mancato rispetto delle regole nell’individuazione del soggetto assegnatario che deve avvenire secondo forme, non arbitrarie e soggettive, ma pubbliche e regolate, tanto che nemmeno l’acquiescenza dell’ente proprietario elide la situazione di arbitrarietà, non potendo gli organi dell’ente sottrarsi al dovere di assegnazione sulla base dei criteri legali (Sez. 2, n. 53005 del 11/11/2016, omissis, Rv. 268711 – 01; Sez. 5, n. 482 del 12/6/2014, omissis, Rv. 262204 – 01).

Il reato di invasione deve, dunque, ritenersi configurabile ogniqualvolta si occupa un immobile sine titulo e tale deve considerarsi la condotta di chi subentra nell’appartamento di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del precedente legittimo detentore, ovvero di chi occupa l’immobile a titolo di mera cortesia o in virtù di un rapporto di parentela con l’originario e legittimo assegnatario. La conseguente “occupazione” deve ritenersi, pertanto, l’estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalità per la quale viene posta in essere l’abusiva invasione. Ed in effetti, l’autorizzazione del precedente legittimo detentore o la mera ospitalità ovvero il rapporto di parentela con il legittimo assegnatario non determina l’instaurazione di una relazione giuridica di detenzione qualificata ovvero di possesso con l’immobile e, pertanto, la permanenza dell’ospite o del congiunto, nonostante l’allontanamento o, come nel caso di specie, il decesso dell’occupante legittimo, non può saldarsi con la precedente relazione dell’avente diritto. Contrariamente argomentando, anche il rapporto di amicizia potrebbe legittimare il passaggio della detenzione dell’immobile dal legittimo assegnatario a chi invece non ha i requisiti per l’assegnazione dell’alloggio. In conclusione, secondo l’orientamento

qui sposato, in tutti questi casi si è in presenza di una occupazione dell’immobile senza un titolo legittimo: l’assegnatario – si ribadisce – non è legittimato a trasferire la detenzione od il possesso dell’immobile, in quanto, come si è evidenziato, l’assegnazione avviene secondo procedure ed in presenza dei presupposti soggettivi stabiliti dalla legge, ragion per cui chi subentra con l’autorizzazione dell’originario assegnatario deve essere considerato occupante arbitrario dell’immobile, perché lo occupa contra ius.

In relazione, poi, alla nuova figura criminosa di cui all’art. 634-bis cod. proc. pen. che, secondo l’assunto del ricorrente, sanzionando penalmente qualsivoglia condotta, realizzata mediante violenza o minaccia, di occupazione o detenzione senza titolo di un immobile destinato a domicilio altrui, starebbe a dimostrare che le condotte ivi descritte non sarebbero state ricomprese, anteriormente all’entrata in vigore della nuova disposizione, nell’alveo dell’art. 633 cod. pen., osserva il Collegio che in realtà la nuova disposizione concerne il particolare caso in cui l’occupazione o la detenzione senza titolo siano attuate con particolari modalità, cioè a dire con violenza o minaccia, e abbiano ad oggetto un bene immobile specifico, indicato dalla norma come destinato all’altrui domicilio. In ragione delle particolari modalità della condotta e dello specifico oggetto della stessa per la nuova figura criminosa è prevista una pena più grave (da due a sette anni di reclusione) rispetto a quella (da uno a tre anni di

reclusione) previste per le condotte previste dall’art. 633 cod. pen. che, per le ragioni sopra diffusamente richiamate, già contemplava anche la condotta di detenzione senza titolo (non realizzata con violenza e minaccia) del terreno o dell’edificio (non destinato a domicilio altrui).

Né rileva, per il fine indicato dal ricorrente, il riferimento all’art. 12, comma 1, della legge regionale del Lazio, che disciplina il subentro nell’assegnazione degli alloggi popolari, se si considera che il diritto al subentro sorge in capo al soggetto all’esito di un procedimento amministrativo che individua il medesimo quale destinatario dell’alloggio, procedimento che il caso di specie non contempla, così che l’occupazione dell’alloggio popolare deve ritenersi sine titulo.

2. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere rigettato; il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 10/09/2025

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