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Consumazione del delitto di peculato nel caso di ritardato versamento, da parte del concessionario del servizio di ricevitoria del lotto, delle giocate riscosse per conto dell’Azienda Autonoma Monopoli di Stato: quando avviene?

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Cass. pen., sez. VI, 11/04/2024 (ud. 11/04/2024, dep. 16/05/2024), n. 19571 (Pres. De Amicis, Rel. Di Giovine)

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava quando si perfeziona il reato di peculato nel caso di ritardato versamento, da parte del concessionario del servizio di ricevitoria del lotto, delle giocate riscosse per conto dell’Azienda Autonoma Monopoli di Stato.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Napoli, pur escludendo la continuazione e ritenendo l’unicità della condotta, confermava una condanna per peculato (art. 314 cod. pen.) di un imputato perché, in qualità di concessionario del punto raccolta gioco del lotto, e quindi incaricato di un pubblico servizio, ometteva di versare all’Agenzia Dogane e Monopoli – Ufficio dei Monopoli per la Campania i proventi del lotto della ricevitoria, dovuti a titolo di versamento all’erario.

Ciò posto, avverso questa decisione il difensore dell’accusato ricorreva per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, costui deduceva violazione della legge penale sostanziale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale sostenendo che, secondo la giurisprudenza di legittimità, il ricevitore del lotto non risponde di peculato per il sol fatto di non aver versato i proventi estrazionali della raccolta entro il giovedì della settimana successiva all’estrazione, occorrendo che non vi abbia provveduto neppure a seguito di una prima, formale ingiunzione di pagamento da parte dell’amministrazione, in quanto è tale inottemperanza a segnare l’interversione del possesso e quindi la consumazione del reato.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva il motivo suesposto infondato alla stregua di quell’orientamento nomofilattico secondo cui, in tema di peculato per ritardato versamento, da parte del concessionario del servizio di ricevitoria del lotto, delle giocate riscosse per conto dell’Azienda Autonoma Monopoli di Stato, il reato non si perfeziona allo spirare del termine indicato nell’intimazione che l’amministrazione è tenuta ad inviare all’agente, ma allorquando emerga senza dubbio, dalle caratteristiche del fatto, che si è realizzata l’interversione del titolo del possesso, ovvero che il concessionario ha agito uti dominus (Sez. 6, n. 38339 del 29/09/2022), evidenziandosi al contempo che, tra l’altro, non essendosi in presenza di mero ritardo, bensì di mancata restituzione all’amministrazione delle somme dovute, non poteva ritenersi integrata, nel caso di specie, la meno grave ipotesi di peculato d’uso la cui configurabilità, d’altronde, sarebbe stata a monte preclusa secondo la pacifica giurisprudenza della medesima Cassazione, per cui la fattispecie di cui all’art. 314, comma 2, cod. pen. riguarda soltanto cose infungibili (Sez. 6, n. 49474 del 04/12/2015) e, quindi, non anche il denaro (con la conseguenza che l’appropriazione del denaro della PA dà luogo soltanto alle ipotesi dell’art. 314, comma 1, cod. pen.).

I risvolti applicativi

Nel caso di peculato per ritardo nel versamento delle giocate del lotto da parte del concessionario, il reato non si configura al termine dell’intimazione dell’amministrazione, ma quando emerge chiaramente un’interversione del possesso o quando il concessionario agisca come se fosse il proprietario.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 6 Num. 19571 Anno 2024

Presidente: DE AMICIS GAETANO

Relatore: DI GIOVINE OMBRETTA

Data Udienza: 11/04/2024

Data Deposito: 16/05/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da

A. F., nato a … il …

avverso la sentenza del 16/05/2023 della Corte d’appello di Napoli;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Ombretta Di Giovine;

udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Mariella De Masellis, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza limitatamente alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen.;

udito l’Avvocato F. L., in sostituzione dell’Avvocato E. L., difensore dell’imputato, il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli, pur escludendo la continuazione e ritenendo l’unicità della condotta, confermava la condanna per peculato (art. 314 cod. pen.) di F. A. perché, in qualità di concessionario del punto raccolta gioco del lotto, e quindi incaricato di un pubblico servizio, ometteva di versare all’Agenzia Dogane e Monopoli – Ufficio dei Monopoli per la Campania i proventi del lotto della ricevitoria, dovuti a titolo di versamento all’erario, per l’importo di euro 16.296,38, relativo alle settimane contabili dal 28/11/2018 al 18/12/2018.

2. Ha presentato ricorso F. A., deducendo, per il tramite del difensore Avvocato E. A., i seguenti due motivi.

2.1. Violazione della legge penale sostanziale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, il ricevitore del lotto non risponde di peculato per il sol fatto di non aver versato i proventi estrazionali della raccolta entro il giovedì della settimana successiva all’estrazione, occorrendo che non vi abbia provveduto neppure a seguito di una prima, formale ingiunzione di pagamento da parte dell’amministrazione, in quanto è tale inottemperanza a segnare l’interversione del possesso e quindi la consumazione del reato.

La Corte di appello ritiene errata tale ricostruzione, poiché da una nota dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli di Stato, datata 27/11/2020, risulta che l’amministrazione finanziaria intimava all’imputato, con lettere raccomandate del 18/12/2018, del 24/12/2018 e del 28/12/2018, il pagamento delle somme entro cinque giorni dal ricevimento della raccomandata stessa.

Tuttavia, nel fascicolo non risultano le raccomandate con le cartoline di ricevimento, necessarie a verificare: in primo luogo, la veridicità di quanto asserito dall’amministrazione finanziaria; in secondo luogo, la data e il soggetto che avesse materialmente ricevuto e sottoscritto la cartolina di ritorno.

Diversamente da quanto sostenuto dai giudici di merito, nel caso di specie sarebbe quindi configurabile la meno grave ipotesi prevista dall’art. 8 I. 19/04/1990, n. 85, che punisce il raccoglitore del lotto il quale non effettua il versamento dei proventi estrazionali della raccolta oltre il giovedì della settimana successiva all’estrazione.

Errata è inoltre l’esclusione, da parte dei Giudici di entrambi i gradi, della configurabilità del cosiddetto peculato d’uso (art. 314, comma 2, cod. pen.), agli atti non essendovi traccia di accertamento finalizzato a verificare se vi fossero motivi imprevedibili che abbiano indotto il prevenuto a ritardare la restituzione delle somme alla pubblica amministrazione.

2.2. Vizio di motivazione in relazione alla pena.

Il Tribunale aveva fissato una pena base più alta del minimo edittale senza motivare.

La Corte di appello ha integrato tale motivazione, individuando tale scelta nella consistenza della somma sottratta all’erario, ma non si è accorto che tale assunto contrasta con la concessione in primo grado delle attenuanti generiche.

Inoltre, in modo illogico, la Corte d’appello non ha applicato l’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen., sebbene il terzo accollante avesse, sicuramente prima del dibattimento, in virtù di polizza fideiussoria stipulata dall’imputato, risarcito l’amministrazione finanziaria, così evitando un danno economico a carico della stessa.

A ciò si aggiunga che il ricorrente ha provveduto a ristorare l’assicurazione delle somme dalla stessa erogate in forza della suddetta polizza fideiussoria.

Infine, il primo giudice, nel calcolare la pena, aveva operato un aumento per la continuazione pari a tre mesi (mesi uno e giorni 15 per ciascuna settimana) essendo tre le settimane in contestazione. La Corte di appello, nell’escludere la continuazione, ha però rideterminato la pena riducendola di soli due mesi, e non di tre mesi, come avrebbe dovuto fare.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

1.1. In motivazione, la Corte d’appello ha richiamato e fatto corretta applicazione di Sez. 6, n. 38339 del 29/09/2022, omissis, Rv. 283940, secondo cui, in tema di peculato per ritardato versamento, da parte del concessionario del servizio di ricevitoria del lotto, delle giocate riscosse per conto dell’Azienda Autonoma Monopoli di Stato, il reato non si perfeziona allo spirare del termine indicato nell’intimazione che l’amministrazione è tenuta ad inviare all’agente, ma allorquando emerga senza dubbio, dalle caratteristiche del fatto, che si è realizzata l’interversione del titolo del possesso, ovvero che il concessionario ha agito uti dominus.

In particolare, ha escluso che tale principio fosse riferibile al caso di specie, posto che l’imputato non ha semplicemente ritardato il versamento, come nella vicenda fattuale da cui ha avuto origine la citata sentenza. Egli non ha affatto provveduto al versamento che – viene precisato – avvenne ad opera del fideiussore ad oltre un anno di distanza dalla condotta appropriativa.

Le due situazioni non sono, insomma, assimilabili.

1.2. Né, come anche chiarito dalla Corte d’appello, rileva il pagamento del dovuto per effetto dell’attivazione della polizza fideiussoria, poiché realizzato da un soggetto terzo.

1.3. Ancora, non è deducibile in sede di legittimità il mancato rinvenimento, nel fascicolo processuale, delle ricevute delle raccomandate, in quanto questione afferente al merito della prova la quale, ad ogni modo, nei due giudizi di merito è motivatamente ritenuta conseguita, avendo i Giudici di secondo grado affermato che l’amministrazione finanziaria aveva intimato all’imputato con ben tre raccomandate il pagamento delle somme dovute e che di seguito, con provvedimento “anch’esso” versato in atti ed emesso ai sensi dell’art. 4-bis, comma 2, d.l. 19/06/2015, n. 78, gli aveva comunicato l’avvio del procedimento volto alla revoca della concessione.

1.4. Infine, non essendosi in presenza di mero ritardo, bensì di mancata restituzione all’amministrazione delle somme dovute, non può ritenersi integrata, nel caso di specie, la meno grave ipotesi di peculato d’uso la cui configurabilità, d’altronde, sarebbe stata a monte preclusa secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, per cui la fattispecie di cui all’art. 314, comma 2, cod. pen. riguarda soltanto cose infungibili (Sez. 6, n. 49474 del 04/12/2015, omissis, Rv. 266242) e quindi non anche il denaro (con la conseguenza che l’appropriazione del denaro della PA dà luogo soltanto alle ipotesi dell’art. 314, comma 1, cod. pen.).

2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.

2.1. Nessun vizio affligge la motivazione della pronuncia impugnata là dove spiega le ragioni per cui la pena irrogata dal Tribunale in primo grado non coincide con il minimo edittale, poiché il richiamo all’entità del danno cagionato non collide con la concessione delle attenuanti generiche.

Premesso, infatti, che l’obbligo di motivazione deve essere proporzionato alla misura in cui il giudice di merito si discosta dal minimo edittale e che, nel caso di specie, tale misura era contenuta, pur attingendo entrambi i giudizi ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., la commisurazione giudiziale della pena e il riconoscimento delle circostanze attenuanti si fondano su valutazioni indipendenti e possono valorizzare differenti parametri della disposizione citata.

2.2. Quanto poi alla mancata applicazione dell’art. 62, n. 6, cod. pen., all’analoga deduzione in appello la sentenza impugnata ha replicato che la giurisprudenza di legittimità pacificamente esclude che l’attenuante operi quando il risarcimento sia stato pagato dall’assicurazione o dal terzo accollante, ed ha citato, in proposito, Sez. 3, n. 25326 del 19/02/2019, omissis Rv. 276276, secondo cui, in tema di omicidio stradale, il risarcimento del danno, intervenuto per effetto di contratto assicurativo concluso dal soggetto titolare della automobile diverso dal conducente, non integra la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n .6, prima parte, cod. pen. giacché l’intervento risarcitorio non è ricollegabile all’operato dell’imputato.

Invero, e sempre in tema di omicidio stradale, la giurisprudenza di questa Corte – sulla scia di Corte cost. n. 138 del 1998 e poi di Sez. U n. 5941 del 22/01/2009, omissis, Rv. 242215 – non reputa sufficiente che chi provvede al risarcimento del danno abbia con l’imputato, ovvero con i suoi coobbligati solidali, rapporti contrattuali o personali che ne giustifichino l’intervento, e richiede, per

contro, che l’imputato manifesti una concreta e tempestiva volontà riparatoria e che abbia contribuito all’adempimento (Sez. 4, n. 6144 del 28/11/2017, 2018, Rv. 271969) ovvero, in altri termini, che abbia mostrato la volontà di farlo proprio (Sez. 4, n. 12121 del 14/12/2022, dep. 2023, Rv. 284327; Sez. 4, n. 13870 del 06/02/2009, omissis, Rv. 243202).

Mentre, in tema di peculato, coerentemente con la natura dolosa del delitto, si esclude in modo reciso la rilevanza della circostanza in oggetto, a meno che il fideiussore sia stato integralmente risarcito dall’imputato prima dell’inizio del dibattimento (Sez. 6, n. 39433 del 23/06/2017, omissis, Rv. 270942; di recente, Sez. 6, del 21/02/2024, L., non ancora pubblicata).

Peraltro, nel caso di specie, il ricorrente afferma di aver ristorato l’assicurazione, ma ciò non risulta dalle sentenze di merito, dalle quali si evince soltanto che l’imputato accese «una fideiussione, escussa, non appena si verificò il mancato versamento delle tasse riscosse» e non risulta alcun rimborso dell’A. al fideiussore.

Sicché, in presenza della ricostruzione fattuale operata dalla Corte d’appello, anche il diverso orientamento maturato in materia colposa, non avrebbe, comunque, potuto trovare applicazione.

2.3. Infine, non consta l’errore nel calcolo della pena eccepito dalla difesa nell’ultima parte del motivo.

Premesso che gli episodi di peculato ritenuti in primo grado erano due, per la continuazione era stato disposto un aumento di tre mesi, prima di ridurre la pena di un terzo per il rito abbreviato.

La Corte d’appello ha invece ritenuto il reato unico ed ha quindi detratto i tre mesi irrogati per la continuazione, per poi diminuire la pena così ricalcolata per il rito.

In altre parole, muovendo da quattro anni e tre mesi in primo grado, la Corte d’appello è giunta a quattro anni (quarantotto mesi) di reclusione, da cui ha detratto sedici mesi per il rito, irrogando in tal modo, correttamente, la pena finale di due anni e otto mesi.

3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ex art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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