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Vizi di motivazione manifestamente illogica e contraddittoria

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Cass. pen., sez. I, 30/04/2024 (ud. 30/04/2024, dep. 06/06/2024), n. 22961 (Pres. Di Nicola, Rel. Ricciarelli)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava quando ricorrono i vizi di motivazione manifestamente illogica e di motivazione contraddittoria.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

Il Tribunale di sorveglianza di Brescia ammetteva un condannato all’affidamento in prova, in relazione alla pena di anni 1 di reclusione determinata con un provvedimento di cumulo emesso dalla Procura della Repubblica di Bergamo.

Ciò posto, avverso questa decisione il difensore ricorreva per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, costui deduceva vizio di motivazione.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva il motivo suesposto infondato.

In particolare, tra gli argomenti, che avevano indotto gli Ermellini ad addivenire a siffatto esito decisorio, vi era quell’orientamento nomofilattico secondo il quale ricorre «il vizio di motivazione manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di motivazione contraddittoria quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice – conducenti ad esiti diversi – siano state poste a base del suo convincimento» (Sez. 5, n. 19318 del 20/01/2021).

I risvolti applicativi

Il vizio di motivazione manifestamente illogica si verifica quando c’è una chiara frattura logica tra le premesse e le conclusioni di un ragionamento, mentre il vizio di motivazione contraddittoria si presenta quando le considerazioni logico-giuridiche su uno stesso fatto o complesso di fatti non sono conciliabili, o quando vi è una discrepanza tra la parte motivante e la parte dispositiva della sentenza o, ancora, allorché vi sono dubbi su quale ipotesi il giudice abbia adottato per giungere alla sua conclusione.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 1 Num. 22961 Anno 2024

Presidente: DI NICOLA VITO

Relatore: TORIELLO MICHELE

Data Udienza: 30/04/2024

Data Deposito: 06/06/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B. K. S.,nato in … il …,

avverso l’ordinanza del 05/12/2023 del Tribunale di Sorveglianza di Catania;

letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Michele Toriello;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale dott.ssa Cocomello, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 20/02/2023 il Tribunale di sorveglianza di Brescia ammetteva B. K. S. all’affidamento in prova, in relazione alla pena di anni 1 di reclusione determinata con provvedimento di cumulo della Procura della Repubblica di Bergamo del 12/03/2019.

In data 16/06/2023 B. K. S. veniva tratto in arresto nella flagranza del delitto di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per avere detenuto a fini di illecita cessione a terzi gr. 40 di sostanza

stupefacente del tipo hashish; il giudizio di primo grado veniva definito, all’esito del rito abbreviato chiesto dall’imputato, con sentenza di condanna alla pena di mesi 6 di reclusione ed E. 1.000 di multa (pende appello a seguito di impugnazione presentata dal difensore dell’imputato).

Con ordinanza del 17/10/2023 il magistrato di sorveglianza di Siracusa disponeva la sospensione della misura alternativa.

Con ordinanza del 05/12/2023 il Tribunale di sorveglianza di Catania disponeva la revoca ex tunc dell’affidamento in prova concesso a B. K. S..

2. Il difensore del B. K. ha presentato ricorso per cassazione avverso la predetta ordinanza, articolando tre motivi con i quali deduce vizio di motivazione ed erronea applicazione degli artt. 47, comma 11, ord. pen. (per non avere adeguatamente valutato la non eccessiva gravità dei fatti del 16 giugno 2023, e la scrupolosa osservanza delle prescrizioni da parte del B. K. fino a quella data; per avere conseguenzialmente disposto la revoca ex tunc – piuttosto che ex nunc – della misura alternativa) e 51 ter orci. pen. (per avere omesso di esaminare e valutare la richiesta, presentata con memoria difensiva spedita a mezzo posta elettronica certificata il 13/11/2023, di sostituire l’affidamento in prova con la detenzione domiciliare).

3. Il Procuratore Generale ha chiesto rigettarsi il ricorso, poiché l’ordinanza impugnata contiene una motivazione adeguata, che resiste alle generiche doglianze del ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Con la sentenza n. 343 del 1987 la Corte Costituzionale, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, comma 10, legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui, in caso di revoca del provvedimento di ammissione all’affidamento in prova per comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova, non stabilisce gli effetti conseguenti, ha affermato che il Tribunale di sorveglianza, una volta disposta la revoca della misura alternativa, deve procedere a determinare la residua pena detentiva ancora da espiare sulla scorta di una valutazione discrezionale, da condurre in considerazione della durata delle limitazioni patite dal condannato e del comportamento tenuto durante l’intero corso dell’esperimento.

La Consulta, effettuata la ricognizione dei contrapposti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sulle conseguenze della revoca della misura, ha rilevato l’incongruenza delle posizioni sino ad allora affermatesi, esprimendo dissenso sia per l’orientamento favorevole allo scomputo di tutto il periodo di affidamento in prova sia per quello opposto che propugnava la non detraibilità di tale periodo di prova.

Ponendo l’accento sulla variabilità delle situazioni individuali di trasgressione delle norme di legge o delle prescrizioni inerenti alla misura, per cui, nell’assenza di una definizione normativa di «comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova», secondo la dizione letterale dell’art. 47 ord. pen., causa di revoca, ha ritenuto necessario che il relativo provvedimento fosse preceduto da un diversificato apprezzamento del comportamento e della violazione in relazione all’incisività delle regole imposte ed infrante.

Come evidenziato nelle motivazioni di Sez. 1, n. 9314 del 19/02/2014, omissis, Rv. 259474, «la consapevolezza dell’esistenza di una “zona grigia”, ossia intermedia tra la condotta trasgressiva sin dall’inizio della sottoposizione alla misura e quella diligentemente rispettosa sino a quasi la conclusione del periodo di espiazione, cui soltanto all’ultimo segua una violazione determinante la revoca, nonché il richiamo ai principi di proporzionalità ed individualizzazione della pena, ha giustificato la soluzione prescelta di affidare al giudizio del Tribunale di Sorveglianza il compito di stabilire, caso per caso, la durata della residua pena detentiva da scontare in ragione “sia del periodo di prova trascorso dal condannato nell’osservanza delle prescrizioni imposte e del concreto carico di

queste, sia della gravità oggettiva e soggettiva del comportamento che ha dato luogo alla revoca” (C.C. sent. n. 343 del 29/10/1987)».

3. Nel caso di specie il Tribunale di sorveglianza di Catania ha giustificato l’uso del potere di revoca ad esso conferito con motivazione logica ed esauriente.

Ed invero, l’ordinanza impugnata, a fronte dell’evidenza della trasgressione e dell’arresto in flagranza del condannato, ha ritenuto tale condotta (sufficientemente accertata anche alla luce della intervenuta sentenza di condanna in primo grado) radicalmente incompatibile con la prosecuzione della misura alternativa, revocando la stessa ex tunc, in quanto «il comportamento tenuto [..] dimostra l’assoluta immeritevolezza del condannato a fruire della misura concessa».

Conformemente all’insegnamento di questa Corte, il Tribunale di sorveglianza ha stimato con congrua motivazione che il nuovo episodio delittuoso perpetrato dal B. K. (il cui certificato penale annovera plurime sentenze irrevocabili di condanna per delitti in materia di sostanze stupefacenti) fosse di per se stesso tale, per la sua intrinseca gravità, da consentire di lasciarsi apprezzare non solo come incompatibile con la prosecuzione della misura alternativa ma, altresì, come rivelatore, sul piano logico, di una deliberata volontà del condannato di sottrarsi a programmi di risocializzazione e di revisione del proprio vissuto criminale già a partire dal momento della concessione dell’affidamento in prova.

Questa Corte, sul punto specifico, ha ripetutamente chiarito come – in punto di determinazione della decorrenza della revoca della misura alternativa – debbano prendersi in considerazione la gravità oggettiva e soggettiva della condotta dalla quale ha tratto origine tale decisione, il comportamento complessivamente serbato dal condannato durante il periodo di prova trascorso, ed infine la concreta incidenza delle prescrizioni imposte a suo carico: si è, dunque, statuito che è consentito far retroagire ex tunc, la revoca allorquando la condotta tenuta dal condannato si riveli tanto negativa, da portare a desumere che sia stata inesistente, fin dal momento iniziale, l’adesione dello stesso al percorso rieducativo (Sez. 1, n. 36470 del 29/04/2021, omissis, Rv. 282007; Sez. 1, n. 4687 del 27/11/2019, dep. 2020, omissis, Rv. 278178; Sez. 1 n. 9314 del 19/02/2014, omissis, Rv. 259474; Sez. 1, n. 29343 del 13/06/2001, omissis, Rv. 219477).

L’ordinanza impugnata, con motivazione coerente, priva di illogicità o contraddittorietà, e, dunque, destinata a restare immune da qualsivoglia stigma in sede di legittimità, ha correttamente applicato il menzionato principio di diritto, fondando la contestata decisione, consistente nel far retroagire la decorrenza della revoca, sul rilievo che il fatto fosse significativo della natura solo strumentale della decisione di aderire al percorso rieducativo, sussistendo, al contrario, la precisa intenzione del condannato di riprendere al più presto i traffici di stupefacenti.

Quanto al motivo di ricorso afferente la pretermissione delle deduzioni difensive articolate nella memoria depositata il 13/11/2023, si rileva che dette deduzioni appaiono essere state vagliate nel provvedimento impugnato (cfr. l’ultimo capoverso della prima pagina, nel quale vengono disattesi i due principali argomenti sviluppati dal difensore nella memoria in questione: quello secondo cui «La sentenza non è ancora definitiva essendo stato proposto appello», e quello secondo cui «la droga leggera sequestrata fosse destinata in parte .. all’uso personale»), e sono state ritenute inidonee a scalfire il giudizio di rilevante gravità della violazione.

Il provvedimento impugnato non ha, dunque, violato le norme in tema di misure alternative alla detenzione, ed esibisce una motivazione puntuale, logica, coerente ed esaustiva che si rispecchia fedelmente negli elementi che possono trarsi dagli atti in carteggio: una motivazione che, pertanto, non può essere affatto ritenuta né manifestamente illogica, né contraddittoria, dovendosi, in proposito, rammentare che «Ricorre il vizio di motivazione manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di motivazione contraddittoria quando non siano conciliabili tra loro le

considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice – conducenti ad esiti diversi – siano state poste a base del suo convincimento» (Sez. 5, n. 19318 del 20/01/2021, omissis, Rv. 281105).

Ne deriva l’infondatezza, ai limiti dell’ammissibilità, dei rilievi difensivi di cui al ricorso, inidonei ad intaccare la tenuta motivazionale del provvedimento impugnato.

4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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