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Richiesta dell’imputato per la pronuncia del giudice di appello sulle nuove pene sostitutive: è necessaria?

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Cass. pen., sez. II, 09/01/2024 (ud. 09/01/2024, dep. 18/04/2024), n. 16344 (Pres. Rago, Rel. Florit)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava, affinché il giudice di appello sia tenuto a pronunciarsi in merito alla applicabilità o meno delle nuove pene sostitutive di cui all’art. 20-bis cod. pen., se sia necessaria una richiesta in tal senso dell’imputato.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello de L’Aquila confermava una sentenza del Tribunale di Pescara che, a sua volta, aveva dichiarato l’imputato responsabile del reato di rapina e di lesioni personali e lo aveva conseguentemente condannato, previa esclusione di due aggravanti e riqualificazione della recidiva nonché concessione della attenuante del danno di particolare tenuità in prevalenza sulle ulteriori aggravanti, alla pena di tre anni e sei mesi di reclusione e € 1000,00 di multa.

Ciò posto, avverso questa decisione la difesa dell’accusato proponeva ricorso per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, costei deduceva inosservanza ed erronea applicazione della legge penale nonché la assenza di motivazione in riferimento all’articolo 20 bis c.p., sostenendo come la Corte territoriale non avesse proceduto all’applicazione delle pene sostitutive introdotte dalla “riforma Cartabia”, in assenza di motivazione e pur sussistendone le condizioni.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Suprema Corte, una volta rilevato come la difesa non avesse fatto alcuna richiesta di sostituzione della pena, riteneva il motivo suesposto infondato alla stregua di quell’orientamento nomofilattico secondo cui, affinché il giudice di appello sia tenuto a pronunciarsi in merito alla applicabilità o meno delle nuove pene sostitutive di cui all’art. 20-bis cod. pen., è necessaria una richiesta in tal senso dell’imputato, da formulare non necessariamente con l’atto di gravame, ma che deve comunque intervenire al più tardi nel corso dell’udienza di discussione in appello (così: Sez. 6, n. 33027 del 10/05/2023).

I risvolti applicativi

Il giudice di appello deve decidere sull’applicabilità delle nuove pene sostitutive di cui all’art. 20-bis cod. pen.[1] solo se l’imputato lo richiede, anche se ciò avviene durante l’udienza di discussione in appello.

[1]Ai sensi del quale: “Salvo quanto previsto da particolari disposizioni di legge, le pene sostitutive della reclusione e dell’arresto sono disciplinate dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, e sono le seguenti: 1) la semilibertà sostitutiva; 2) la detenzione domiciliare sostitutiva; 3) il lavoro di pubblica utilità sostitutivo; 4) la pena pecuniaria sostitutiva. La semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva possono essere applicate dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a quattro anni. Il lavoro di pubblica utilità sostitutivo può essere applicato dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a tre anni. La pena pecuniaria sostitutiva può essere applicata dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a un anno”.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 2 Num. 16344 Anno 2024

Presidente: RAGO GEPPINO

Relatore: FLORIT FRANCESCO

Data Udienza: 09/01/2024

Data Deposito: 18/04/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

T. A. nato in … il …

avverso la sentenza del 21/02/2023 della CORTE d’APPELLO di L’AQUILA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO FLORIT;

letta la memoria del Sostituto Procuratore FELICETTA MARINELLI che ha concluso chiedendo l’annullamento in relazione al terzo motivo di ricorso con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello dell’Aquila; inammissibilità del ricorso nel resto;

ricorso trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23 co. 8 D.L. n. 137/20.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnato provvedimento la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato la sentenza 26 novembre 2020 del tribunale di Pescara che aveva dichiarato l’imputato A. T. responsabile del reato di rapina e di lesioni personali ai danni di tal E. L. e lo aveva conseguentemente condannato, previa esclusione di due aggravanti e riqualificazione della recidiva nonché concessione della attenuante del danno di particolare tenuità in prevalenza sulle ulteriori aggravanti, alla pena di tre anni e sei mesi di reclusione e € 1000,00 di multa.

3. Presentando ricorso per cassazione, la difesa dell’imputato formula tre motivi.

3.1 Con il primo motivo si deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale nonché l’assenza di motivazione in relazione al mancato accoglimento della richiesta di rito abbreviato condizionato all’audizione delle persone offese ed alla produzione di attività di indagini difensive.

Si afferma che la richiesta di giudizio abbreviato condizionato alla acquisizione dell’esito delle indagini difensive nonché alla audizione delle due persone offese, formulata a seguito dell’emissione del decreto di giudizio immediato, abbia avuto nel corso dell’intero processo, tanto in primo che in secondo grado, risposta insufficiente o inadeguata, come dimostrato peraltro, con riferimento ad una delle rapine oggetto di imputazione, dalla circostanza che la deposizione della persona offesa è stata confutata dalle dichiarazioni dei testimoni introdotti dalla difesa con conseguente assoluzione, per i relativi capi, dell’imputato.

3.2 Con il secondo motivo si lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in assenza di motivazione con riferimento all’articolo 628 c.p..

In relazione alla condanna per i capi C e D di imputazione la motivazione è assente e comunque non condivisibile poiché la posizione dell’imputato non è stata scissa da quella del coimputato, finendosi per attribuire il fatto ad entrambi senza una valutazione specifica della condotta del T. che si era limitato ad essere presente alla aggressione da altri perpetrata ai danni della persona offesa.

3.3 Anche il terzo motivo deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale nonché la assenza di motivazione in riferimento all’articolo 20 bis c.p..

La Corte d’appello non ha proceduto all’applicazione delle pene sostitutive introdotte dalla “riforma Cartabia”, in assenza di motivazione e pur sussistendone le condizioni.

4. Con memoria inviata per mail il Procuratore Generale Felicetta Marinelli ha chiesto l’annullamento della sentenza in relazione al terzo motivo di ricorso con dichiarazione di inammissibilità nel resto. Il difensore dell’imputato, Avv. R. M., con lo stesso mezzo, ha insistito per l’accoglimento del ricorso, in particolare aderendo alle conclusioni del Procuratore Generale sul terzo motivo di ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile in quanto i motivi su cui si basa sono manifestamente infondati.

1.1 Con il primo motivo si deduce assenza di motivazione in relazione al rigetto della richiesta di giudizio abbreviato condizionato.

Va detto in premessa che si è in presenza di c.d. “doppia conforme” in punto affermazione della penale responsabilità dell’imputato per i fatti di reato come contestati, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stati rispettati i parametri del richiamo della pronuncia di appello a quella di primo grado e dell’adozione – da parte di entrambe le sentenze – dei medesimi criteri nella valutazione delle prove (cfr., Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, omissis, Rv. 257595; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218). Per tale regione, anche sul piano delle decisioni procedurali, il riferimento operato dalla Corte d’appello (pg.3) alla correttezza della soluzione fornita in merito dal primo giudice, con riferimento alla superfluità delle prove richieste (cioè la nuova audizione delle persone offese) appare del tutto sufficiente ed adeguata a fornire all’imputato contezza della decisione assunta.

Quanto al merito della decisione, essa è immune dalle critiche formulate dalla difesa.

La difesa indica quale parametro dimostrativo della erroneità della decisione di rigetto dell’istanza di giudizio abbreviato condizionato, il fatto che l’imputato sia stato assolto da due delle imputazioni a seguito dell’audizione della persona offesa E. O..

Tale argomento è tuttavia errato, in quanto basato su una valutazione ex post, cioè all’esito del dibattimento, una volta che il quadro probatorio sia completo ed esaurita ogni possibile indagine probatoria.

Sennonché, la giurisprudenza constante di questa Corte, cui questa Sezione intende conformarsi, condividendone le premesse e la conclusione, è nel senso che la compatibilità della integrazione probatoria con le finalità di economia processuale proprie del procedimento abbreviato condizionato, vada valutata con riferimento alla situazione esistente al momento della richiesta del rito e non ex post, in base ai tempi del dibattimento tenutosi a seguito del rigetto della stessa (ex multis, Sez. 3 n. 3993 del 01/12/2020, omissis, Rv. 280873 – 01).

Il giudice deve ammettere il rito abbreviato condizionato dopo aver accertato non solo la rilevanza probatoria della richiesta integrazione ma anche l’indispensabilità della stessa ai fini della decisione. L’integrazione non può riguardare fatti e circostanze già risultanti dagli atti e non contraddetti da alcun elemento già acquisito (Sez. U, n. 44711 del 27/10/2004, omissis, Rv. 229173 – 01). Infine, la richiesta deve essere compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, non in base all’esito successivo del procedimento (di assoluzione, come nel caso specifico, in relazione alle prime due imputazioni), ma in base alla necessità di colmare lacune probatorie non imputabili al prevenuto ed indispensabile ai fini della decisione. Il requisito fondamentale per valutare l’ammissibilità dell’integrazione resta quindi la necessità della prova ai fini della decisione e tale necessità prescinde dalla complessità o semplicità della prova e dalla lunghezza dei tempi per espletarla (Sez. 6, n. 11558 del 23/01/2009 omissis Rv. 243063 – 01). L’integrazione richiesta dall’imputato può considerarsi necessaria quando sia idonea a fornire un indispensabile supporto logico valutativo in merito ad un qualsiasi aspetto della regiudicanda ed il suo limite naturale consiste

nel fatto che la nuova prova deve essere integrativa e non sostitutiva del materiale probatorio già acquisito (Sez. 1, Sentenza n. 33502 del 07/07/2010 omissis Rv. 247957 – 01).

Alla luce dei principi enunciati, la tesi difensiva non soddisfa alcuno dei requisiti richiesti, poiché la prova offerta (audizione delle persone offese) non era integrativa ma sostitutiva del materiale probatorio in quanto non diretta a colmare lacune istruttorie ma a sovvertirne il contenuto. Né si può sostenere che il giudice abbia fatto ricorso, per giungere alla assoluzione dell’imputato per i capi a) e b) di imputazione, al compendio probatorio costituito dai verbali delle indagini difensive depositati dal difensore dell’imputato ed acquisiti con il consenso del Pubblico Ministero. Infatti, la assoluzione dell’imputato per l’aggressione ai danni di uno dei cittadini nigeriani indicati come persone offese è dipesa esclusivamente (cfr. pg .7) dalla deposizione di costui, che ha attestato l’estraneità del T. rispetto all’episodio commesso ai suoi danni.

1.2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato e non consentito: si tratta in definitiva dell’usuale riproposizione in Cassazione di tematiche attinenti alla valutazione del fatto, proponendo una lettura alternativa dei fatti, nella speranza di conseguire in Cassazione la terza valutazione di merito. Ciò non è consentito in questa sede, deputata al vaglio di legittimità e non al terzo grado di giudizio, ed avviene a costo di una forzatura, che consiste nel denunciare un vizio di violazione di legge laddove si dovrebbe dedurre un vizio di motivazione rientrante nella triade prevista dall’art.606 lett. e) c.p.p..

Deve essere in tal senso ribadito che è preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez.3, n. 18521 del 11/01/2018, omissis, Rv. 273217-01, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, omissis, Rv. 275100-01, Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, omissis, Rv. 271702-01). Nel caso concreto è stata pronunziata sentenza di condanna a carico del T. con valutazione conforme del giudice di appello. Le censure articolate nelle

cinque pagine del secondo motivo si limitano alla riproduzione di atti processuali, senza giungere ad enucleare alcuna delle censure che consentono di elevare una critica alla motivazione a livello di legittimità. Pertanto esse vanno respinte en bloc, in quanto concettualmente errate e non sufficienti, a fronte di una ‘doppia conforme’, a disarticolarne la forza dimostrativa.

1.3 Anche il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Si lamenta la mancata pronuncia della Corte d’appello in materia di applicabilità nel caso di specie delle pene sostitutive, come previste dalla c.d. “Riforma Cartabia”.

Tuttavia, l’esame del fascicolo processuale, consentito in questo caso trattandosi di questione processuale (in tali casi, infatti, la Corte di cassazione è giudice anche del ‘fatto processuale’ e può accedere all’esame diretto degli atti per condurre i necessari accertamenti – Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, omissis, Rv. 220092 nonché, da ultimo, Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, omissis, non mass. sul punto) permette di rilevare che né nel verbale dell’udienza in camera di consiglio né in sentenza vengono riportate le conclusioni in merito del difensore, che non risultano rassegnate.

Occorre allora ribadire quanto già affermato in proposito dalla Corte con la sentenza Sez. 6, n. 33027 del 10/05/2023 Rv. 285090 – 01. Affinché il giudice di appello sia tenuto a pronunciarsi in merito alla applicabilità o meno delle nuove pene sostitutive di cui all’art. 20-bis cod. pen., è necessaria una richiesta in tal senso dell’imputato, da formulare non necessariamente con l’atto di gravame, ma che deve comunque intervenire al più tardi nel corso dell’udienza di discussione in appello. Poiché, come si è detto, ciò non si è verificato, il ricorrente non può ora dolersi della mancata applicazione dell’istituto da parte della Corte d’appello ed il motivo risulta manifestamente infondato, conducendo il ricorso, in parte qua, all’inammissibilità.

2. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

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