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Quando manca il contrasto di giudicati per la revisione di una sentenza definitiva?

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Cass. pen., sez. V, 26/01/2024 (ud. 26/01/2024, dep. 24/04/2024), n. 17178 (Pres. Pezzullo, Rel. Brancaccio)

Indice

La questione giuridica

La questione giuridica, affrontata dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava quando non ricorre il contrasto di giudicati rilevante ai fini della revisione di una sentenza definitiva.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Roma dichiarava inammissibile un’istanza di revisione proposta da una persona condannata alla pena di anni 6 di reclusione in relazione al reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Ciò posto, avverso questa decisione la difesa proponeva ricorso per Cassazione.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Suprema Corte riteneva il ricorso suesposto infondato, con particolar riguardo a quell’orientamento nomofilattico secondo cui la sentenza passata in giudicato ha un’efficacia preclusiva soltanto nei confronti del medesimo imputato e in relazione al medesimo fatto e non sussistono rimedi in caso di contrasto sostanziale di giudicati formatisi sullo stesso fatto in procedimenti diversi per imputati diversi e, pertanto, il contrasto di giudicati rilevante ai fini della revisione di una sentenza definitiva non ricorre nell’ipotesi in cui lo stesso verta sulla valutazione giuridica dello stesso fatto operata da giudici diversi (ex multis, Sez. 5, n. 633 del 6/12/2017; Sez. 2, n. 14785 del 20/1/2017), tenuto conto altresì del fatto che, ai fini del diritto ad ottenere la revisione, non sussiste contrasto fra giudicati agli effetti dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. se i fatti posti a base delle due decisioni, attribuiti a più concorrenti nel medesimo reato, siano stati identicamente ricostruiti dal punto di vista del loro accadimento oggettivo ed il diverso epilogo giudiziale sia il prodotto di difformi valutazioni di quei fatti – specie se dipese dalla diversità del rito prescelto nei separati giudizi e dal correlato, diverso regime di utilizzabilità delle prove – dovendosi intendere il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili non in termini di mero contrasto di principio tra le decisioni, bensì con riferimento ad un’oggettiva incompatibilità tra i fatti storici su cui esse si fondano (da ultimo, cfr. Sez. 6, n. 16477 del 15/02/2022); i fatti storici, in altre parole, devono essere stati negati, in un caso, e riconosciuti nell’altro (Sez. 2, n. 18209 del 26/2/2020).

I risvolti applicativi

Il contrasto di giudicati rilevante per la revisione di una sentenza definitiva non si verifica quando riguarda la valutazione giuridica dello stesso fatto da parte di giudici diversi.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 5 Num. 17178 Anno 2024

Presidente: PEZZULLO ROSA

Relatore: BRANCACCIO MATILDE

Data Udienza: 26/01/2024

Data Deposito: 24/04/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C. S. nato a … il …

avverso la sentenza del 27/04/2023 della CORTE APPELLO di ROMA

udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO;

lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale ALESSANDRO CIMMINO

RITENUTO IN FATTO

1. Viene in esame la sentenza della Corte d’Appello di Roma, con cui si è dichiarata inammissibile l’istanza di revisione proposta da S. C., condannato alla pena di anni 6 di reclusione in relazione al reato di concorso esterno in associazione mafiosa, con sentenza della Corte d’Appello di Napoli del 23.5.2017, divenuta irrevocabile in data 26.4.2018.

2. L’istante, tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso avverso la sentenza citata, deducendo un unico motivo di censura, composto essenzialmente dai seguenti argomenti:

a) violazione di legge, quanto all’applicazione degli artt. 110 e 416-bis cod. pen., poiché, in seguito all’assoluzione di molti coimputati (si allegano alcune sentenze, in particolare quella di assoluzione di A. R., divenuta leader del gruppo camorristico “P.”, attivo sul territorio di B.), verrebbe a mancare il numero minimo di partecipi richiesto dal delitto associativo (residuano solo due condannati come partecipi: F. S. e U. F.), con inesistenza, dunque, dell’associazione mafiosa contestata e contrasto tra giudicati;

b) vizio di motivazione apparente, tale da sfociare in violazione di legge, nonché manifestamente illogica e contraddittoria, ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen.

2. Il Sostituto Procuratore Generale Alessandro Cimmino ha chiesto il rigetto del ricorso con requisitoria scritta.

2.1. La difesa del ricorrente ha depositato una memoria di replica alla requisitoria del Procuratore Generale, con la quale, riportandosi al ricorso, deduce l’incoerenza dei riferimenti giurisprudenziali richiamati nella citata requisitoria scritta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato, ai limiti dell’inammissibilità, per le ragioni che si indicheranno di seguito.

2. Il ricorrente, in estrema sintesi, anche con una diffusa genericità argomentativa, contesta di essere stato condannato nell’ambito del medesimo procedimento e per il reato di concorso esterno nell’associazione camorristica denominata “clan P.” (con il ruolo di tenere la cassa dell’organizzazione attraverso le società da lui gestite per conto del capo clan), insieme ad altri soli due coimputati, mentre tutti gli altri soggetti originariamente coinvolti sono stati assolti, con sentenze rese da diversi giudici.

Il ricorrente è stato condannato definitivamente con sentenza della Corte d’Appello di Napoli del 23.5.2017, n. 6304, divenuta irrevocabile con sentenza Sez. 2, n. 29248 del 26.4.2018, e lamenta che diverse decisioni abbiano chiuso le posizioni di altri coimputati con soluzioni assolutorie, creando un contrasto tra giudicati che avrebbe dovuto condurre la Corte d’Appello di Roma ad aprire il procedimento di revisione.

A giudizio della difesa, i procedimenti nei quali sono state emesse le sentenze non sarebbero “diversi”, avendo avuto tutti la stessa unica matrice, poi diramatasi in procedimenti “stralcio”, quale conseguenza delle scelte di ciascun imputato tra rito ordinario e abbreviato.

Il motivo non ha pregio.

L’orientamento costante di questa Corte regolatrice ricorda che la sentenza passata in giudicato ha un’efficacia preclusiva soltanto nei confronti del medesimo imputato e in relazione al medesimo fatto e non sussistono rimedi in caso di contrasto sostanziale di giudicati formatisi sullo stesso fatto in procedimenti diversi per imputati diversi. Pertanto, il contrasto di giudicati rilevante ai fini della revisione di una sentenza definitiva non ricorre nell’ipotesi in cui lo stesso verta sulla valutazione giuridica dello stesso fatto operata da giudici diversi (ex multis, Sez. 5, n. 633 del 6/12/2017, omissis, Rv. 271928; Sez. 2, n. 14785 del 20/1/2017, omissis, Rv. 269671).

Ed inoltre, ai fini del diritto ad ottenere la revisione, non sussiste contrasto fra giudicati agli effetti dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. se i fatti posti a base delle due decisioni, attribuiti a più concorrenti nel medesimo reato, siano stati identicamente ricostruiti dal punto di vista del loro accadimento oggettivo ed il diverso epilogo giudiziale sia il prodotto di difformi valutazioni di quei fatti – specie se dipese dalla diversità del rito prescelto nei separati giudizi e dal correlato, diverso regime di utilizzabilità delle prove – dovendosi intendere il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili non in termini di mero contrasto di principio tra le decisioni, bensì con riferimento ad un’oggettiva incompatibilità tra i fatti storici su cui esse si fondano (da ultimo, cfr. Sez. 6, n. 16477 del 15/02/2022, omissis, Rv. 283317). I fatti storici, in altre parole, devono essere stati negati, in un caso, e riconosciuti nell’altro (Sez. 2, n. 18209 del 26/2/2020, omissis, Rv. 279446).

Nel caso di specie, la Corte territoriale, passando in rassegna ciascuna delle pronunce che, a giudizio della difesa, radicherebbero il contrasto tra giudicati, poiché chiuse con l’assoluzione di alcuni degli originari coimputati, ha ben chiarito non soltanto i riferimenti giurisprudenziali ai quali si uniforma la Corte di cassazione da tempo, ma ha anche precisato che, nei contenuti, tali sentenze sono, invece, del tutto coerenti tra loro: tutte hanno accertato il ruolo del ricorrente quale uomo di sostegno del capo clan D. P..

Non rileva, poi, che quest’ultimo non figuri tra gli imputati del procedimento, essendo accertato con sentenze definitive plurime il dato storico dell’esistenza del sodalizio camorristico da lui diretto e, soprattutto, essendo tale dato storico il punto di partenza e di approdo di tutte le sentenze che il ricorrente assume espressive del contrasto tra giudicati.

Il ricorso, infine, neppure si preoccupa di evidenziare quali siano le contestazioni in relazione alle quali i coimputati sarebbero stati assolti, nonostante l’evidente, cruciale rilievo di tale particolare, al fine di qualsiasi valutazione circa l’esistenza di un contrasto tra giudicati.

2.1. Nessun rilievo, anche per le ragioni anzidette, può essere rivolto alla circostanza  dell’insussistenza del numero minimo di associati voluto dalla disposizione incriminatrice di cui all’art. 416-bis cod. proc. pen., dovendosi aver riguardo alla contestazione di concorso esterno del ricorrente in un sodalizio “storico”, la cui esistenza è stata più volte accertata con sentenze passate in giudicato, all’epoca di riferimento della sua condotta concorsuale; da ultimo, anche dalla sentenza Sez. 2, n. 29248 del 2018, alla base dell’istanza di revisione.

3. Il ricorso deve essere, dunque, rigettato e al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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