Cerca
Close this search box.

Quando il giudice di appello, su impugnazione dell’imputato, riducendo la gravità del reato condannato in primo grado senza l’impugnazione della pubblica accusa, non viola il divieto di “reformatio in peius”?

Facebook
LinkedIn

Cass. pen., sez. V, 02/02/2024 (ud. 02/02/2024, dep. 16/05/2024), n. 19600 (Pres. Pezzullo, Rel. Cananzi)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava quando il giudice di appello, su impugnazione dell’imputato, riducendo la gravità del reato condannato in primo grado senza l’impugnazione della pubblica accusa, non viola il divieto di “reformatio in peius“.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Milano confermava una sentenza emessa dal Tribunale della medesima sede, che aveva accertato la responsabilità penale di un imputato, in relazione al delitto di concorso nella formazione di una falsa carta di identità, ai sensi dell’art. 497-bis, comma 2, cod. pen..

Ciò posto, avverso questa decisione la difesa dell’accusato ricorreva per Cassazione, deducendo violazione dell’art. 597 cod. proc. pen. e vizio di motivazione, sostenendosi come la Corte territoriale avesse deciso in peius, in assenza di appello del pubblico ministero in quanto, con la riduzione inferiore ad un terzo per le circostanze attenuanti generiche, avrebbe disatteso il criterio che avrebbe seguito il Tribunale, se avesse valutato la natura autonoma della fattispecie, applicando il minimo della pena, nel caso concreto pari ad anni uno, mesi nove e giorni dieci di reclusione.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva il ricorso suesposto infondato.

In particolare, tra le argomentazioni che avevano indotto gli Ermellini ad addivenire a siffatto esito decisorio, vi era quell’orientamento nomofilattico secondo il quale non viola il divieto di “reformatio in peius” il giudice di appello che, su impugnazione del solo imputato, proceda alla derubricazione del reato per cui vi era stata condanna in primo grado in altro meno grave e ad un corretto giudizio di bilanciamento delle circostanze, deteriore rispetto a quello formulato erroneamente dal giudice di prime cure, purchè venga irrogata una pena non superiore a quella inflitta dal primo giudice (Sez. 2, n. 43288 del 01/10/2015).

Difatti, per i giudici di piazza Cavour, nel caso in esame, vi era stata una corretta valutazione della autonomia della fattispecie in contestazione, con conseguente altrettanto corretta valutazione della riduzione per l’attenuante, senza alcuna maggiorazione della pena, il che rendeva, a loro avviso, legittima la decisione impugnata.

 I risvolti applicativi

Il giudice di appello non viola il divieto di “reformatio in peius” se, su impugnazione dell’imputato, derubrica il reato, per cui vi è stata condannata in primo grado, e applica una pena non più severa di quella inflitta dal primo giudice, anche se il suo giudizio di bilanciamento delle circostanze è meno favorevole rispetto a quello compiuto dal giudice di primo grado.

Leggi anche

Contenuti Correlati