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L’art. 581, comma 1-ter, c.p.p. si riferisce anche alla parte civile?

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Cass. pen., sez. V, 13/11/2023 (ud. 13/11/2023, dep. 15/02/2024), n. 6993 (Pres. Catena, Rel. Brancaccio)

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 581, co. 1-ter)

Indice

La questione giuridica

Fermo restando che, come è noto, l’art. 581, co. 1-ter, cod. proc. pen. stabilisce che con “l’atto d’impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena d’inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio”, con la decisione in esame, la Cassazione risponde al quesito se tale precetto normativo si riferisca anche alla parte civile.

Difatti, nel procedimento, in occasione del quale è stata emessa la pronuncia qui in commento, la parte civile, in un procedimento in cui l’imputato era stato assolto dal giudice di pace di Termini Imerese, ricorreva avverso l’ordinanza del Tribunale della medesima città con cui era stato dichiarato inammissibile l’appello proposto dal proprio difensore di fiducia avverso la citata decisione, per violazione dell’art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen., rilevata la mancata dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notifica del decreto di citazione a giudizio in appello, sostenendosi per l’appunto che la disposizione dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. non può essere riferita alla parte civile la quale, secondo l’art. 100, comma 5, cod. proc. pen., “per ogni effetto processuale” ha domicilio presso il difensore, tanto che presso il difensore devono essere eseguite le notificazioni ex art. 154, comma 4, cod. proc. pen..

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Suprema Corte, nel ritenere il ricorso suesposto fondato, dava risposta negativa al quesito summenzionato sostenendo che, nei confronti della parte civile, del responsabile civile e del soggetto civilmente obbligato per la pena pecuniaria, non opera la previsione dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., novellato dall’art. 33, comma 1, lett. d), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che richiede, a pena di inammissibilità, il deposito, unitamente all’atto di impugnazione, della dichiarazione o elezione di domicilio della parte privata, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio, posto che tale adempimento risulterebbe inutile ed eccessivamente formalistico, in ragione dello statuto processuale di tali parti, complessivamente rinvenibile negli artt. 100, commi 1 e 5, e 154, comma 4, cod. proc. pen., secondo cui esse possono stare in giudizio tramite un difensore munito di procura speciale e presso questi vedono necessariamente eletto il proprio domicilio, cui vanno indirizzate le notifiche degli atti processuali.

Ebbene, tra le diverse argomentazioni poste alla base di siffatta decisione, degna di nota è quella secondo la quale imporre alla parte civile – la quale abbia proposto appello depositandolo presso la cancelleria del giudice – l’obbligo di depositare, unitamente all’atto d’impugnazione, una dichiarazione o elezione di domicilio, equivarrebbe a proporre una lettura asistematica della disposizione innovatrice dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., rispetto alla complessiva architettura processuale che regola lo stare in giudizio della parte civile, rappresentando, di fatto, un onere inutile, privo di qualsiasi giustificazione per chi intenda accedere alla tutela dei propri diritti attraverso l’impugnazione dinanzi a un giudice dato che, se non vi è dubbio che l’indicazione letterale della disposizione prevista dall’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. faccia riferimento alle “parti private”, senza alcuna ulteriore specificazione, quali destinatarie dell’obbligo – stabilito a pena di inammissibilità – di depositare dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione in appello (nel caso del ricorrente, l’appello si sarebbe dovuto svolgere dinanzi al Tribunale avverso sentenza del giudice di pace), tuttavia, nel novero di tali parti private, non possano rientrare la parte civile, il responsabile civile e il soggetto civilmente obbligato per la pena pecuniaria, dato che tali parti processuali, a norma dell’art. 100, comma 5, cod. proc. pen., vedono il proprio domicilio “eletto” già prefissato normativamente, “per ogni effetto processuale”, presso il loro difensore ed è dunque presso tale difensore che deve essere eseguita anche la notificazione, a norma dell’art. 154, comma 4, cod. proc. pen., dato che sarebbe superfluo pretendere che la parte civile ribadisca un’elezione di domicilio presso il difensore munito di procura speciale, attraverso la mediazione del quale –  soltanto – è autorizzata a stare in giudizio (in tema, cfr. Sez. 5, n. 33273 del 28/3/2017).

Del resto, la giurisprudenza di legittimità ha già ritagliato spazi di differente applicazione dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., per posizioni specifiche di imputati, con l’obiettivo di rendere più razionale e conforme ai principi del fair trial previsto dall’art. 6 CEDU la lettura di disposizioni processuali che impongono oneri di attivazione per le parti funzionali alla miglior organizzazione della fase impugnatoria ed alla conoscenza effettiva dell’udienza fissata per il giudizio.

Così, per coloro i quali risultino detenuti al momento della proposizione del gravame, non può applicarsi la nuova disposizione, posto che tale adempimento risulterebbe privo di effetto, in ragione della vigenza dell’obbligo di procedere alla notificazione a mani proprie dell’imputato detenuto, e comporterebbe la violazione del diritto all’accesso effettivo alla giustizia sancito dall’art. 6 CEDU (Sez. 2, n. 38442 del 13/9/2023, omissis, Rv. 285029; Sez. 2, n. 33355 del 28/6/2023, omissis, Rv. 285021).

Come si è sottolineato nella sentenza n. 38442 del 2023, l’applicazione dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. anche all’imputato detenuto violerebbe, oltre che l’art. 3 Cost., l’art. 6 della CEDU, che impone il pieno rispetto del diritto di accesso effettivo alla giustizia per le decisioni relative al «merito di qualsiasi accusa penale» anche nel giudizio di appello e che – pur ammettendo che il diritto di presentare un ricorso possa essere subordinato a determinate condizioni previste dalla legge – richiede che i giudici nell’applicare le relative norme procedurali “evitino un eccessivo formalismo che pregiudicherebbe l’equità del procedimento”.

I risvolti applicativi

L’articolo 581, comma 1-ter, c.p.p., modificato dall’art. 33, comma 1, lett. d) del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, non si applica alla parte civile, al responsabile civile e al soggetto civilmente obbligato per la pena pecuniaria.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 5 Num. 6993 Anno 2024

Presidente: CATENA ROSSELLA

Relatore: BRANCACCIO MATILDE

Data Udienza: 13/11/2023

Data Deposito: 15/02/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

dalla parte civile G. F. nato a … il …

nel procedimento a carico di:

B. S. nato a … il …

avverso l’ordinanza del 23/06/2023 del TRIBUNALE di TERMINI IMERESE

udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE EiRANCACCIO;

lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale ROBERTO ANIELLO, che ha chiesto l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata,

con trasmissione degli atti al giudice dell’impugnazione

RITENUTO IN FATTO

1. F. G., parte civile nel procedimento a carico di S. B., assolto dal giudice di pace di Termini Imerese con sentenza del 20.2.2023, ricorre avverso l’ordinanza del Tribunale di Termini Imerese con cui è stato dichiarato inammissibile l’appello proposto dal proprio difensore di fiducia avverso la citata decisione, per violazione dell’art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen., rilevata la mancata dichiarazione

o elezione di domicilio ai fini della notifica del decreto di citazione a giudizio in appello.

Il ricorrente evidenzia come la disposizione dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. non possa essere riferita alla parte civile, la quale, secondo l’art. 100, comma 5, cod. proc. pen., “per ogni effetto processuale” ha domicilio presso il difensore, tanto che presso il difensore devono essere eseguite le notificazioni ex art. 154, comma 4, cod. proc. pen.

Si eccepisce, pertanto, il vizio di violazione di legge chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

2. Il Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di cassazione ha chiesto, con requisitoria scritta, l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata, con trasmissione degli atti al giudice dell’impugnazione (si indica la Corte d’Appello di Palermo).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. L’art. 100, comma 1, cod. proc. pen. stabilisce che la parte civile, così come il responsabile civile e la persona civilmente obbligata, stanno in giudizio col ministero di un difensore munito di procura speciale e, secondo il successivo comma 5, il domicilio delle parti private indicate nel comma 1, per ogni effetto processuale, si intende eletto presso il difensore.

L’art. 154, comma 4, cod. proc. pen. stabilisce, altresì, che le notificazioni alla parte civile costituita in giudizio siano eseguite presso il difensore, sicchè anche il decreto di citazione per il giudizio d’appello va notificato alla parte civile presso il difensore.

Il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 ha introdotto, tra le altre novità in tema di impugnazioni e processo, la disposizione del comma 1-ter all’interno dell’art. 581 cod. proc. pen., con cui si è previsto che, con l’atto di impugnazione delle parti private e dei difensori, sia depositata, a pena d’inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio in appello.

L’intenzione del legislatore, alla base della scelta di imporre tale onere alle parti private impugnanti, è evidentemente quella di ridurre la probabilità di celebrare giudizi di gravame nei confronti di soggetti non effettivamente a conoscenza della data dell’udienza, responsabilizzandole attraverso la richiesta di indicare un indirizzo effettivamente utile, dove ricevere le notificazioni concernenti i giudizi che le riguardino.

2.1. La questione che il ricorso pone, dunque, al Collegio è se sia applicabile l’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. allo statuto processuale dello stare in giudizio della parte civile, come disegnato nell’attuale combinato disposto degli artt. 100 e 154 del codice di rito, norme non toccate dalla riforma del 2022.

Ebbene, ritiene il Collegio che, alla luce del citato quadro normativo, imporre alla parte civile – la quale abbia proposto appello depositandolo presso la cancelleria del giudice(nel caso del ricorrente, presso la cancelleria del Giudice di Pace di Termini Imerese) – l’obbligo di depositare, unitamente all’atto d’impugnazione, una dichiarazione o elezione di domicilio, equivarrebbe a proporre una lettura asistematica della disposizione innovatrice dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., rispetto alla complessiva architettura processuale che regola lo stare in giudizio della parte civile, rappresentando,

di fatto, un onere inutile, privo di qualsiasi giustificazione per chi intenda accedere alla tutela dei propri diritti attraverso l’impugnazione dinanzi a un giudice.

Non vi è dubbio, infatti, che l’indicazione letterale della disposizione prevista dall’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. faccia riferimento alle “parti private”, senza alcuna ulteriore specificazione, quali destinatarie dell’obbligo – stabilito a pena di inammissibilità – di depositare dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione in appello (nel caso del ricorrente, l’appello si sarebbe dovuto svolgere dinanzi al Tribunale avverso sentenza del giudice di pace).

Tuttavia, ritiene il Collegio che, nel novero di tali parti private, come sostenuto anche da alcune prime letture della dottrina, non possano rientrare la parte civile, il responsabile civile e il soggetto civilmente obbligato per la pena pecuniaria, dato che tali parti processuali, a norma dell’art. 100, comma 5, cod. proc. pen., vedono il proprio domicilio “eletto” già prefissato normativamente, “per ogni effetto processuale”, presso il loro difensore. E presso tale difensore deve essere eseguita anche la notificazione, a norma dell’art. 154, comma 4, cod. proc. pen.

Sarebbe, infatti, superfluo pretendere che la parte civile ribadisca un’elezione di domicilio presso il difensore munito di procura speciale, attraverso la mediazione del quale –  soltanto – è autorizzata a stare in giudizio (in tema, cfr. Sez. 5, n. 33273 del 28/3/2017, omissis, Rv. 270472).

Del resto, la giurisprudenza di legittimità ha già ritagliato spazi di differente applicazione dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., per posizioni specifiche di imputati, con l’obiettivo di rendere più razionale e conforme ai principi del fair trial previsto dall’art. 6 CEDU la lettura di disposizioni processuali che impongono oneri di attivazione per le parti funzionali alla miglior organizzazione della fase impugnatoria ed alla conoscenza effettiva dell’udienza fissata per il giudizio.

Così, per coloro i quali risultino detenuti al momento della proposizione del gravame, non può applicarsi la nuova disposizione, posto che tale adempimento risulterebbe privo di effetto, in ragione della vigenza dell’obbligo di procedere alla notificazione a mani proprie dell’imputato detenuto, e comporterebbe la violazione del diritto all’accesso effettivo alla giustizia sancito dall’art. 6 CEDU (Sez. 2, n. 38442 del 13/9/2023, omissis, Rv. 285029; Sez. 2, n. 33355 del 28/6/2023, omissis, Rv. 285021).

Come si è sottolineato nella sentenza n. 38442 del 2023, l’applicazione dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. anche all’imputato detenuto violerebbe, oltre che l’art. 3 Cost., l’art. 6 della CEDU, che impone il pieno rispetto del diritto di accesso effettivo alla giustizia per le decisioni relative al «merito di qualsiasi accusa penale» anche nel giudizio di appello e che – pur ammettendo che il diritto di presentare un ricorso possa essere subordinato a determinate condizioni previste dalla legge – richiede che i giudici nell’applicare le relative norme procedurali “evitino un eccessivo formalismo che pregiudicherebbe l’equità del procedimento”.

2.2. In particolare, applicando i principi generali suddetti alla fattispecie in esame, deve essere sottolineato come, nella giurisprudenza della Corte Edu, sia leggibile una linea interpretativa consolidata che va nel senso, più volte affermato, di ritenere che l’applicazione da parte delle Corti nazionali di formalità ingiustificate o irragionevoli da osservare per proporre un ricorso (e a maggior ragione un’impugnazione di merito in appello) rischia di violare il diritto di accesso alla giustizia, compromettendolo nella sua essenza, quando l’interpretazione eccessivamente formalistica della legge ordinaria impedisce di fatto l’esame nel merito del ricorso proposto dall’interessato (Corte Edu, 12 luglio 2016, Reichman c. Francia; 5 novembre 2015, Henrioud c. Francia; Beles e a. c. Repubblica ceca, 2002, Zvols19? Zvolské c. Repubblica Ceca, 2002).

La giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha attribuito al diritto di accesso alla tutela giurisdizionale, implicito nell’art. 6 § 1 della Convenzione (come chiarito sin dalla pronuncia Golder c. Regno Unito del 21 febbraio 1975), un ruolo sempre più centrale nell’architettura complessiva del “processo equo” disegnato dalla CEDU, nella consapevolezza che una moderna democrazia e lo Stato di diritto non possono garantire adeguata tutela al sistema europeo dei diritti umani senza un apparato giurisdizionale credibile, indipendente, imparziale ed accessibile a tutti, come è stato ricordato anche da autorevole dottrina.

La ricostruzione dei principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte Edu in tema si ritrova in alcune importanti sentenze più recenti della Grande Camera: Zubac c. Croazia, GC, del 5 aprile 2018 (v. soprattutto §§ 76-82); Succi c. Italia del 28 ottobre 2021 e Willems e Gorjon c. Belgio del 21 settembre 2021, quest’ultima in tema di inammissibilità del ricorso dovuta alla mancanza di indicazione, da parte del difensore, del possesso dei requisiti di legittimazione e abilitazione. Attraverso i passaggi motivazionali cruciali di tali pronunce è possibile comprendere come la Corte consideri fisiologiche possibili restrizioni all’accesso presso le Corti supreme, che possono ritenersi, quindi, ammissibili se

giustificate da un fine legittimo e se proporzionate.

Sotto il primo profilo, deve mettersi in luce che – secondo la Corte Edu – il fine perseguito dai “sistemi di filtraggio” alle impugnazioni proposte dinanzi alle Corti supreme (soprattutto le corti di cassazione ed i tribunali superiori di ultima istanza), vale a dire la razionalizzazione del contenzioso e la necessità di assicurare un accesso qualitativamente controllato delle impugnazioni, affinché il giudice di esse possa preservare il suo ruolo e la sua funzione per assicurare la buona amministrazione della giustizia, radica del tutto ragionevolmente le sanzioni di inammissibilità.

In particolare, per la Corte di cassazione, il fine perseguito dai “sistemi di filtraggio” tramite inammissibilità si risolve nella garanzia, in ultima istanza, dell’applicazione uniforme e della corretta interpretazione del diritto nazionale (nomofilachia): nella sentenza Succi c. Italia questi elementi valutativi, ad esempio, sono stati considerati e valorizzati per argomentare della legittimità, in linea astratta, del principio di autosufficienza del ricorso, che persegue, quindi, quei fini legittimi anzidetti, tendendo a semplificare l’attività della Corte di cassazione e, allo stesso tempo, ad assicurare la certezza del diritto (sécurité juridique), nonché, ancora una vota preme ribadirlo, la buona amministrazione della giustizia.

E’ soprattutto, però, con riguardo al tema della proporzionalità che la giurisprudenza di Strasburgo sembra essere molto rigorosa, indicando la necessità di una stringente valutazione in concreto della ragionevolezza della restrizione al diritto di accesso, da svolgersi tenendo in considerazione, di regola, alcuni parametri essenziali, tra questi: la prevedibilità della restrizione; la responsabilità della parte nei cui confronti viene dichiarata l’inammissibilità per gli eventuali errori procedurali che abbiano impedito l’accesso alla giurisdizione superiore; l’assenza di indici di “formalismo eccessivo”

nell’applicazione della regola processuale restrittiva, cui segua l’inammissibilità.

Ancor più tale parametro di proporzionalità della sanzione, con cui si determina un diniego di accesso al giudizio di impugnazione, deve essere attentamente maneggiato dal giudice d’appello che, nel nostro sistema ordinamentale, pur godendo oramai di prerogative di declaratoria di inammissibilità in parte analoghe a quelle della Corte di cassazione (cfr. il rimodellato art. 581 cod. proc. pen.), rimane un giudice di seconda istanza “piena” per le parti processuali.

2.3. Alla luce di tali premesse, la questione proposta deve essere risolta, come già anticipato, nel senso che, nei confronti della parte civile, del responsabile civile e del soggetto civilmente obbligato per la pena pecuniaria, non opera la previsione dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., novellato dall’art. 33, comma 1, lett. d), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che richiede, a pena di inammissibilità, deposito, unitamente all’atto di impugnazione, della dichiarazione o elezione di domicilio della parte privata, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio, posto che tale adempimento risulterebbe inutile ed eccessivamente formalistico, in ragione dello statuto processuale di tali parti, complessivamente rinvenibile negli artt. 100, commi 1 e 5, e 154, comma 4, cod. proc. pen., secondo cui esse possono stare in giudizio tramite un difensore munito di procura speciale e presso questi vedono necessariamente eletto il proprio domicilio, cui vanno indirizzate le notifiche degli atti processuali.

Si tratta di una scelta interpretativa che tiene conto della necessità di evitare che una sanzione di inammissibilità dell’impugnazione si fondi su un’interpretazione di un parametro normativo caratterizzata da eccessivo formalismo e dell’esigenza di dare piena attuazione ai principi del fair trial stabiliti dall’art., 6 CEDU, come interpretati dalla Corte europea dei diritti umani.

Il provvedimento impugnato, pertanto, deve essere annullato senza rinvio e va disposta il rinvio

P. Q. M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Termini Imerese per l’ulteriore corso.

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