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L’applicazione di misure cautelari o coercitive a un pubblico ufficiale autore di delitti contro la pubblica amministrazione può essere illegittima se viola il principio di proporzionalità

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Cass. pen., sez. VI, 20/12/2023 (ud. 20/12/2023, dep. 3/01/2024), n. 242 (Pres. Fidelbo, Rel. Aprile)

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 275, co. 2)

Indice

La questione giuridica

La principale questione giuridica, che la Cassazione era tenuta ad affrontare nel caso di specie, come si ricava già dal titolo di questo articolo, era il seguente: quando è illegittima, per violazione del principio di proporzionalità, l’applicazione, al pubblico ufficiale autore di delitti contro la pubblica amministrazione, di una misura cautelare custodiale o anche di una misura coercitiva.

Nel procedimento, in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento, il Tribunale di Catanzaro, adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., confermava un provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città, a sua volta, aveva disposto l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di una persona indagata in relazione ai reati di cui agli artt. 81, 110, 615-ter, primo, secondo comma n. 2, e terzo comma, cod. pen., 319 e 321 cod. pen..

Ebbene, avverso tale provvedimento la difesa aveva proposto ricorso per Cassazione deducendo, tra i motivi ivi addotti, violazione di legge, in relazione all’art. 274 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per manifesta illogicità, proprio per avere il Tribunale di Catanzaro confermato le scelte operate con il provvedimento genetico in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari e alla scelta della misura da applicare, in ragione del criterio di proporzionalità: in particolare, la difesa si doleva della mancata valutazione della possibilità di salvaguardare i bisogni di cautela con una misura che comportasse un sacrificio meno eccessivo delle libertà personali, quale una misura coercitiva non custodiale se del caso unitamente ad una misura interdittiva.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Suprema Corte riteneva la doglianza summenzionata fondata.

Difatti, fermo restando che, come è noto, l’art. 275, co. 2, cod. proc. pen. dispone che ogni “misura deve essere proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata”, in tale occasione, la Cassazione richiamava quell’orientamento nomofilattico secondo il quale è illegittima, per violazione del principio di proporzionalità, l’applicazione, al pubblico ufficiale autore di delitti contro la pubblica amministrazione, di una misura cautelare custodiale o anche di una

misura coercitiva, qualora in tal modo si sia voluto esclusivamente contenere un pericolo connesso ai bisogni elencati dall’art. 274 cod. proc. pen., quale quello di reiterazione di reati della stessa specie, se la stessa esigenza può essere efficacemente soddisfatta attraverso l’applicazione della meno grave misura interdittiva della sospensione dal servizio o dalla professione (in questo senso, tra le molte, Sez. 6, n. 32402 del 16/07/2010; Sez. 6, n. 13093 del 05/03/2014; Sez. 6, n. 11806 del 11/02/2013).

Ebbene, ad avviso degli Ermellini, il Tribunale del riesame di Catanzaro non aveva fatto una corretta applicazione di tale criterio ermeneutico poiché, a fronte di un (stimato) generico pericolo di recidiva, a loro avviso, non si era presa in considerazione, o altrimenti valutata la possibilità – espressamente prospettata dalla difesa – che quei bisogni processuali avrebbero potuto essere concretamente soddisfatti con l’applicazione di una misura coercitiva meno rigorosa di quella degli arresti domiciliari ovvero della misura interdittiva di cui all’art. 290 cod. proc. pen., la cui idoneità e proporzionalità era stata negata con una (stimata) mera formula di stile.

I risvolti applicativi

In materia di reati contro la pubblicazione, ove debba essere disposta una misura cautelare, deve essere premura del giudice della cautela, in ossequio a quanto richiesto dall’art. 275, co. 2, cod. proc. pen., qualora si voglia esclusivamente contenere un pericolo di reiterazione del reato (art. 274, co. 1, lett. c), cod. proc. pen.), appurare se codesta esigenza possa essere efficacemente soddisfatta attraverso l’applicazione della meno grave misura interdittiva della sospensione dal servizio o dalla professione, anziché disporre una misura cautelare custodiale o anche una misura coercitiva.

Quindi, ove siffatta verifica difetti, come avvenuto nel caso di specie, è consigliabile ricorrere per Cassazione, richiamando siffatto approdo interpretativo.

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