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La prescrizione, nel caso di patteggiamento, è deducibile in Cassazione?

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Cass. pen., sez. VI, 23/01/2024 (ud. 23/01/2024, dep. 15/02/2024), n. 7027 (Pres. Di Stefano, Rel. D’Arcangelo)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, su cui era chiamata a decidere la Cassazione della decisione in esame, riguarda se, in tema di patteggiamento, è possibile dedurre la prescrizione del reato innanzi alla Cassazione.

Difatti, premesso che la Seconda sezione penale della Cassazione aveva dichiarato inammissibile un ricorso, avverso questo provvedimento veniva proposto ricorso straordinario per Cassazione.

Orbene, tra i motivi ivi addotti, il ricorrente sosteneva che la Corte di Cassazione non avrebbe considerato che le singole condotte di reato in questione avvinte dalla continuazione si sarebbero prescritte, ancor prima dell’apertura delle indagini.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Suprema Corte riteneva il motivo suesposto infondato alla luce di quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, in tema di patteggiamento, la maturata prescrizione del reato al momento della sentenza che omologa l’accordo raggiunto dalle parti non è deducibile in Cassazione, in quanto non determina l’illegalità della pena ai sensi del novellato art. 448, comma 2 -bis, cod. proc. pen., ma può essere rilevata dal giudice al quale è sottoposto l’accordo che non implica di per sé rinuncia alla prescrizione (Sez. 5, n. 26425 del 30/04/2019, omissis, Rv. 276517-01).

I risvolti applicativi

In tema di patteggiamento, la maturata prescrizione del reato, al momento della sentenza che omologa l’accordo raggiunto dalle parti, non è deducibile in Cassazione.

L’unico modo, per farla rilevare, invece, è che sia lo stesso giudice di merito, a cui viene chiesta l’applicazione della pena, a farlo.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 6 Num. 7027 Anno 2024

Presidente: DI STEFANO PIERLUIGI

Relatore: D’ARCANGELO FABRIZIO

Data Udienza: 23/01/2024

Data Deposito: 15/02/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da

M. A., nato a … il …;

avverso l’ordinanza emessa in data 22.03.2023 dalla Corte di cassazione

visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;

udita la relazione del consigliere Fabrizio D’Arcangelo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mariella De Masellis, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso;

udito i difensori, avvocati M. M. e N. C., che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. L’avvocato M. M., nell’interesse di A. M., propone ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. avverso l’ordinanza n. 19132 del 2023 della Seconda sezione penale della Corte di cassazione.

Tale ordinanza ha dichiarato de plano inammissibile il ricorso proposto dall’imputato avverso la sentenza emessa in data 20 ottobre 2023 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Brindisi, che ha applicato la pena concordata dalle parti nei confronti di M. A., nella qualità di amministratore e legale rappresentante della D. s.r.l., in relazione ai reati di cui agli artt. 30 e 44, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; artt. 633 e 639 bis cod. pen.; 4, lett. c), 64, 65, 93, 94 e 95 d.P.R. 380 del 2001 e l’art. 181 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.

1.1. Il difensore deduce la sussistenza di un duplice errore di fatto.

1.2. Il difensore premette che la Corte di cassazione, nell’ordinanza impugnata, ha considerato non consentito il motivo riguardante la qualificazione giuridica dei fatti contestati, in quanto la censura si sarebbe risolta in una sostanziale richiesta di rinnovato esame dei fatti accertati nelle indagini preliminari.

La Corte di cassazione, tuttavia, avrebbe errato nel considerare corretta la qualificazione della condotta di reato ascritta al M., in quanto il reato di lottizzazione abusiva non sarebbe configurabile in relazione alle opere descritte nell’imputazione (un cancello in legno, un’opera in muratura con antistante marciapiede, una telecamera, segnali di divieto di accesso), che non determinano alcun incremento di volume.

Il reato di lottizzazione abusiva sarebbe, infatti, integrato solo dalle condotte che si traducano in interventi mirati alla realizzazione di opere che, per caratteristiche o dimensioni, pregiudichino la riserva pubblica di programmazione territoriale.

Nessuna violazione dello scopo edificatorio sarebbe, tuttavia, ravvisabile nell’utilizzo di un’area come parcheggio privato, anziché pubblico.

Nella specie, peraltro, la misura degli standard sarebbe stata definita con l’approvazione della variante urbanistica e, dunque, non sarebbe configurabile alcuna violazione con atti di lottizzazione “per misura” di standard conformi alla variante urbanistica approvata; difetterebbe, comunque, l’adozione dello strumento di pianificazione esecutiva.

1.3. La Corte di cassazione, inoltre, non avrebbe considerato che, pur ipotizzando la sussumibilità del fatto accertato nel reato di lottizzazione abusiva, le singole condotte di reato avvinte dalla continuazione si sarebbero prescritte in data 18 marzo 2011, e, dunque, prima ancora dell’apertura delle indagini.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto i motivi proposti sono diversi da quelli consentiti dalla legge e, comunque, manifestamente infondati.

2. Con il primo motivo i difensori deducono l’erroneità del mancato accoglimento del motivo proposto in ordine alla qualificazione della condotta accertata dalla sentenza di applicazione pena.

3. Il motivo è, tuttavia, inammissibile.

Il ricorso straordinario per errore di fatto è inammissibile quando il preteso errore in cui sarebbe incorsa la Corte di cessazione derivi da una valutazione giuridica relativa a circostanze di fatto correttamente percepite (Sez. 6, n. 28424del 23/06/2022, omissis, Rv. 283667 – 01; Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, omissis ì, Rv. 268981 -01).

In tema di ricorso straordinario, infatti, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. (Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, omissis, Rv. 263686 – 01; conf. Sez. 2, n. 41782 del 30/09/2015, omissis, Rv. 265248 – 01).

Nel caso di specie, peraltro, il ricorrente non deduce la ricorrenza di un errore percettivo del giudice, bensì di valutazione di natura giuridica; la Seconda sezione ha, peraltro, considerato espressamente il motivo proposto dal ricorrente in ordine alla violazione di legge relativamente alla qualificazione giuridica, ma ha ritenuto che la censura si risolvesse in una sollecitazione a un inammissibile esame, in sede di legittimità, delle risultanze di merito del giudizio.

4. Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’erroneità della mancata declaratoria della prescrizione dei reati per i quali è stata applicata la pena.

5. Il motivo è manifestamente infondato.

6. Le sezioni unite di questa Corte hanno sancito nel 2016 che in tema di patteggiamento, la richiesta di applicazione della pena da parte dell’imputato, ovvero il consenso prestato alla proposta del pubblico ministero, non possono valere come rinuncia alla prescrizione, in quanto l’art. 157 comma settimo cod. proc. pen. richiede la forma espressa, che non ammette equipollenti.

La Corte ha, inoltre, affermato che, qualora il giudice non rilevi l’intervenuta prescrizione ex art. 129 cod. proc. pen., l’errore può essere dedotto con ricorso in cassazione (Sez. U, n. 18953 del 25/02/2016, omissis, Rv. 266333 – 01).

L’art. 1, comma 50, della legge 23 giugno 2017, n. 103, ha, tuttavia, inserito nell’art. 448 cod. proc. pen. il comma 2 -bis, che limita l’impugnabilità della pronuncia alle sole ipotesi di violazione di legge in esso tassativamente indicate (ex plurimis: Sez. 4, n. 31242 del 22/06/2023, omissis; Sez. 4, n. 20263 del 30/05/2023, omissis; Sez. F, n. 28742 del 25/08/2020, omissis, Rv. 279761 – 01; Sez. 6, n. 1032 del 07/11/2019, omissis, Rv. 278337; Sez. 2, n. 4727 del 11/01/2018, omissis, Rv. 272014) e„ dunque, «solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra imputazione e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza».

In seguito a tale modifica normativa, dunque, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, in tema di patteggiamento, la maturata prescrizione del reato al momento della sentenza che omologa l’accordo raggiunto dalle parti non è deducibile in cassazione, in quanto non determina l’illegalità della pena ai sensi del novellato art. 448, comma 2 -bis, cod. proc. pen., ma può essere rilevata dal giudice al quale è sottoposto l’accordo che non implica di per sé rinuncia alla prescrizione (Sez. 5, n. 26425 del 30/04/2019, omissis, Rv. 276517-01).

Le Sezioni unite hanno, inoltre, confermato questa interpretazione, nello statuire che nei confronti della sentenza resa all’esito di concordato in appello è proponibile il ricorso per cassazione con cui si deduca l’omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza (Sez. U, n. 19415 del 27/10/2022, omissis, Rv. 28481-01).

Le Sezioni unite ai §§7 e 10.2 del considerato in diritto di questa sentenza hanno, infatti, rilevato come il principio di diritto enunciato per il concordato in appello non operi per la sentenza di patteggiamento, stante la specialità del regime previsto dall’art. 448, comma 2 – bis, cod. proc. pen.

7. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.

Non essendovi ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», in virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

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