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La Cassazione chiarisce la portata applicativa dell’art. 628-bis, co. 5, c.p.p.: vediamo come

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Cass. pen., sez. V, 12/10/2023 (ud. 12/10/2023, dep. 23/11/2023), n. 47183 (Pres. Scarlini, Rel. Borrelli)

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 628-bis)

Indice

La questione giuridica

Considerato che, come è noto, l’art. 628-bis, co. 5, c.p.p. dispone che, fuori “dei casi di inammissibilità, la Corte di cassazione accoglie la richiesta quando la violazione accertata dalla Corte europea, per natura e gravità, ha avuto una incidenza effettiva sulla sentenza o sul decreto penale di condanna pronunciati nei confronti del richiedente” (primo periodo) fermo restando che, se “non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto o comunque risulta superfluo il rinvio, la Corte assume i provvedimenti idonei a rimuovere gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione, disponendo, ove occorra, la revoca della sentenza o del decreto penale di condanna” (secondo periodo), altrimenti, “trasmette gli atti al giudice dell’esecuzione o dispone la riapertura del processo nel grado e nella fase in cui si procedeva al momento in cui si è verificata la violazione e stabilisce se e in quale parte conservano efficacia gli atti compiuti nel processo in precedenza svoltosi” (terzo periodo), nella pronuncia, si chiarisce, perlomeno per taluni aspetti, come deve essere interpretato siffatto precetto normativo.

Orbene, prima di vedere come la Cassazione ha affrontato tale questione, va prima di tutto osservato che il procedimento, in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento, originava da una richiesta che si fondava su una sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, prima sezione, del 24 gennaio 2019, che, adita dalla condannata, aveva ravvisato – nel processo a suo carico per la calunnia – alcune violazioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti, CEDU).

In particolare, tale istanza mirava ad ottenere l’adozione dei provvedimenti necessari per porre rimedio alle predette violazioni, in applicazione del nuovo istituto di cui all’art. 628-bis c.p.p., introdotto dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che costituisce un inedito presidio normativo per dare attuazione, nell’ordinamento interno, alle decisioni favorevoli della Corte di Strasburgo.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Per quello che rileva in questa sede, in riferimento proprio a quanto disposto dall’art. 628-bis, co. 5, c.p.p., gli Ermellini si ponevano innanzitutto il problema di comprendere se, e come, il giudicato Europeo possa ripercuotersi su quello interno.

Orbene, come trapela nella pronuncia in esame, la Corte di cassazione può e deve valutare se le violazioni riscontrate abbiano avuto, per “natura” e “gravità”, un'”incidenza effettiva” sull’esito del procedimento, trattandosi dell’unico vaglio che è consentito al Giudice interno chiamato ad attuare la ricognizione della sentenza sovranazionale, attività che non prevede margini di apprezzamento sulla sussistenza della violazione, dovendo attenersi a quanto sancito dalla Corte Europea, con la sola possibilità, per la Corte di Cassazione, di esprimersi sul “peso” della violazione in rapporto alla sua incidenza sull’esito del processo, tenuto conto che l’incidenza chiama in causa il criterio della “effettività”, trattandosi di nozione che è lessicalmente diversa dalla più volte definita – dalla nostra giurisprudenza – “decisività”, quale idoneità disarticolante del vizio rilevato rispetto al verdetto cui il Giudice di merito sia giunto (Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014; Sez. 6, n. 14916 del 25/03/2010; Sez. 2, n. 16354 del 28/04/2006; Sez. 1, n. 13543 del 18/11/1998).

Da ciò se ne faceva conseguire che i due concetti, pur non coincidendo, non si discostano in maniera particolarmente significativa, nel senso che di “incidenza effettiva” può parlarsi solo relativamente a violazioni della CEDU che abbiano avuto un peso concreto nella decisione interna perché, qualora non avessero contrassegnato il processo, l’esito sarebbe stato -ragionevolmente – diverso, essendo in questo senso può essere indicativo un passaggio della Raccomandazione Rec(2000)2 del 19 gennaio 2000 del Comitato dei Ministri in cui si legge che il rimedio interno andava apprestato in relazione a situazioni in cui la violazione rilevata fosse causata da errori o carenze procedurali di tale gravità da far sorgere seri dubbi sull’esito del procedimento.

Non solo.

Sempre per la Corte di legittimità, milita in questa direzione anche il significato stesso dell’aggettivo “effettivo”, nel senso di ciò “che produce o è atto a produrre un effetto” ovvero “che serve a produrre o produce un effetto” (così due dizionari della lingua italiana), effetto che, riguardato nella prospettiva dell’incidenza della violazione convenzionale sulla sentenza interna, non può che riferirsi alla ripercussione dell’anomalia sull’epilogo del procedimento, deducendosi al contempo come non vada trascurato che circoscrivere o depotenziare il concetto di “effettività” potrebbe condurre ad esiti irragionevoli nell’ottica della doverosa ricerca di un equilibrio tra certezza delle situazioni giuridiche e stabilità delle decisioni giudiziarie, da una parte, e rispetto delle garanzie convenzionali, dall’altra; si pensi – solo a titolo di esempio, perché la casistica può essere molto ampia e variegata – ai casi in cui la violazione accertata riguardi esiti probatori non valutati affatto dal Giudice di merito ai fini della deliberazione o concernenti circostanze marginali della regiudicanda che non abbiano esercitato alcun ruolo nella logica della decisione o attenga a temi estranei alla ratio decidendi della decisione ovvero, ancora, ad argomenti relativi solo ad una delle diverse e concorrenti rationes decidendi della pronunzia del Giudice nazionale.

Chiarito cosa debba intendersi per “incidenza effettiva”, ancora in relazione a quanto sancito da questo comma quinto, un altro problema affrontato, in siffatta decisione, riguardava se la progressione del procedimento sia rivolta verso una nuova valutazione di merito, occorrendosi domandare se e come ciò possa avvenire visto che l’art. 628-bis c.p.p., comma 5, secondo e terzo periodo, non contiene un’indicazione sufficientemente chiara circa gli sbocchi del procedimento quando non sia possibile – come nel caso in esame – concludere il giudizio di revisione in Cassazione.

Ebbene, per il Supremo Consesso, sono configurabili i seguenti scenari giurisprudenziali: laddove non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto o laddove, comunque, risulti superfluo il rinvio, può assumere i provvedimenti idonei a rimuovere gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione, disponendo, ove occorra, la revoca della sentenza; in alternativa, può ordinare la trasmissione degli atti al Giudice dell’esecuzione, oppure la riapertura del processo nel grado e nella fase in cui si procedeva al momento in cui si è verificata la violazione, stabilendo se e in quale parte conservino efficacia gli atti compiuti nel processo in precedenza svoltosi.

In altri termini, la Cassazione, laddove non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto o laddove, comunque, risulti superfluo il rinvio, può assumere i provvedimenti idonei a rimuovere gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione, disponendo, ove occorra, la revoca della sentenza mentre, in alternativa, può ordinare la trasmissione degli atti al Giudice dell’esecuzione, oppure la riapertura del processo nel grado e nella fase in cui si procedeva al momento in cui si è verificata la violazione, stabilendo se e in quale parte conservino efficacia gli atti compiuti nel processo in precedenza svoltosi.

Dunque, per i giudici di piazza Cavour, la possibilità del “rinvio” si renderà necessario allorquando, appunto, occorrano accertamenti di merito, fisiologicamente estranei al giudizio di legittimità.

Non è chiaro, per la Suprema Corte, invece, se la possibilità della “revoca” riguardi entrambe le ipotesi, vale a dire sia quella in cui siano necessari ulteriori accertamenti di fatto e si imponga il rinvio, sia quella in cui tale necessità non sussista e la violazione convenzionale abbia un effetto immediatamente demolitorio rispetto al verdetto di condanna, così come neanche è chiaro se la revoca riguardi la sentenza di merito ovvero quella della Corte di Cassazione che abbia definito il giudizio oppure entrambe.

Quel che è viceversa certo, per la Corte, è che il reingresso del procedimento nella fase di merito è stato previsto come una delle opzioni decisorie da parte del legislatore della riforma, militando in tal senso la circostanza che, a seconda che il procedimento regredisca alla fase del giudizio di primo grado o a quella di appello, l’art. 628-bis c.p., commi 6 e 7 stabiliscono, rispettivamente, che riprenda la decorrenza del termine di prescrizione o di quello di improcedibilità, nonché la constatazione che l’art. 60 c.p.p., u.c., prevede che la qualità di imputato si riacquisti nel caso di accoglimento della richiesta di revisione Europea, trattandosi di indicatori normativi che confermano la conclusione in precedenza illustrata, peraltro ineludibile considerato il vaglio di fatto che può ulteriormente essere necessario – e che è necessario nel caso di specie – sulla regiudicanda e che non avrebbe senso né sede processuale se non si ipotizzasse un rientro del processo nella fase di merito.

Per la Cassazione, quando ricorrere a questa revoca e quando no non è configurabile astrattamente in ipotesi tassative, dato che la scelta della revoca, per quanto riguarda le sentenze della Corte di legittimità, è derivata, da una parte, dall’ampiezza del riferimento all’oggetto della “revoca” che si legge nell’art. 628-bis c.p.p., comma 5, ampiezza coessenziale alla non “codificabilità” a priori delle violazioni accertabili dalla Corte edu e dei conseguenti rimedi; dall’altra, dall’assonanza di questo rimedio straordinario con l’altro che pure può determinare una caducazione delle sentenze del Supremo Consesso – il ricorso straordinario per errore di fatto di cui all’art. 625-bis c.p.p. – che viene concretamente realizzata disponendo, appunto, la “revoca” della sentenza della Corte di cassazione affetta dal vizio lamentato (ne sono esempi, tra le altre, Sez. 1, n. 18363 del 17/11/2022; Sez. 6, n. 36192 del 01/07/2014; Sez. 6, n. 9926 del 12/01/2012).

Ciò posto, un’altra questione, sempre afferente questo comma quinto, riguarda il rapporto tra la decisione con cui la Cassazione annulla con rinvio e quella che il Giudice del rinvio dovrà assumere.

Orbene, per gli Ermellini, tale rapporto può essere ricavato dalla stessa logica e finalità dell’istituto, a prescindere dall’inquadramento della progressione del giudizio nelle maglie del combinato disposto degli artt. 623 e 627 c.p.p., essendo, appunto, la logica e la finalità dell’istituto che impongono di prendere atto, in primo luogo, che il Giudice del rinvio non può contestare l’effettiva lesione dei diritti garantiti dalla Convenzione già accertata dalla Corte di Strasburgo, laddove tale prerogativa non è concessa neanche alla Cassazione.

Ciò posto, in secondo luogo, poiché la Corte di Cassazione è l’unica interfaccia tra la decisione della Corte edu e il giudicato interno, sarebbe del tutto distonico con il ruolo così delineato dal legislatore della novella ipotizzare che il Giudice del rinvio possa rimettere in discussione la “natura” e la “gravità” della violazione e l'”incidenza effettiva” della medesima sul giudicato, perché tale vaglio è appannaggio esclusivo di questa Corte regolatrice.

In altri termini, è nella stessa struttura della revisione Europea, come delineata dal legislatore della novella, che la Corte di Cassazione abbia il compito di indicare al Giudice di merito la portata del dictum Europeo sulla concreta regiudicanda, senza che il Giudice del rinvio possa riesaminare l’an dell’incidenza delle violazioni della Convenzione e che possa formulare un nuovo ed autonomo giudizio che replichi ed eventualmente smentisca quello che la Suprema Corte ha già svolto ai sensi dell’art. 628-bis c.p.p., comma 5, primo periodo.

Del resto, è poi insito nelle ragioni stesse del rinvio che al Giudice di merito venga rimessa la valutazione in fatto che mancava e che la Corte di legittimità non ha potuto svolgere, ma che può e deve indicare come necessaria per lo sviluppo successivo del procedimento, una volta depurato dalle violazioni convenzionali accertate.

Insomma, uno schema processuale che, se non vede un richiamo espresso agli artt. 623 e 627 c.p.p., ne replica in sostanza la fisionomia.

Chiarito ciò, le ultime questioni, affrontate dai giudici di piazza Cavour nel caso di specie, riguardavano i rapporti tra l’equo indennizzo riconosciuto dalla Corte edu e la revoca delle sentenze chiesta dal richiedente e quella della portata del dispositivo che la Corte edu ha pronunziato.

Ebbene, quanto alla prima questione, la Cassazione riteneva come non fosse di ostacolo alla riapertura del processo, che consegue alla decisione odierna, che la Corte edu abbia riconosciuto un equo indennizzo, essendo un dato acquisito nella giurisprudenza convenzionale – tanto da essere considerato ius receptum anche nelle sentenze della Corte costituzionale n. 113 del 2011 e n. 210 del 2013- che, poiché, con l’art. 46 della Convenzione, le Parti contraenti si sono impegnate a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle liti nelle quali esse sono parti, ne deriva che “Lo Stato convenuto, riconosciuto responsabile di una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, è chiamato non solo a versare agli interessati le somme assegnate a titolo di equo indennizzo, ma anche a scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure generali e/o, eventualmente, individuali da adottare nel suo ordinamento giuridico interno al fine di porre fine alla violazione accertata dalla Corte e di cancellarne per quanto possibile le conseguenze”.

In virtù dell’art. 41 della Convenzione, invero, “lo scopo delle somme assegnate a titolo di equo indennizzo è unicamente quello di accordare un risarcimento per i danni subiti dagli interessati nella misura in cui questi costituiscano una conseguenza della violazione che non può in ogni caso essere cancellata” (Grande Camera, sentenza 13 luglio 2000, Scozzari e Giunta contro Italia; in termini, Grande Camera, sentenza 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia; Grande Camera, sentenza 1 marzo 2006, Sejdovic contro Italia).

Precisato ciò, per la Corte, non rileva neanche che la Corte di Strasburgo non abbia affermato che le violazioni potevano essere rimediate con la riapertura del processo ovvero che fosse necessaria la revoca delle sentenze, essendo stato sostenuto a questo riguardo (Grande Camera, sentenza 1/12/2020, Gudmundur Andri Astrasson contro Islanda) che “in linea di principio, spetta in primo luogo allo Stato in causa scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, quali mezzi utilizzare nel proprio ordinamento giuridico interno per adempiere al suo obbligo rispetto all’art. 46 della Convenzione”, ma che “tuttavia, in alcune circostanze particolari, essa ha ritenuto utile indicare allo Stato convenuto quali tipi di misure potessero essere adottate per porre fine al problema – spesso di ordine sistemico – all’origine della constatazione di violazione”, trattandosi, tuttavia, di ipotesi “eccezionali” “per aiutare lo Stato convenuto ad adempiere ai propri obblighi ai sensi dell’art. 46 della Convenzione” (Quarta sezione, sentenza del 7/4/2015, Cestaro contro Italia; in linea con Grande Camera, sentenza 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia, cit.).

Orbene, Dai principi sopra richiamati, in primo luogo, se ne faceva conseguire che, secondo la giurisprudenza convenzionale, non vi è alcuna alternatività tra risarcimento del danno attuato a mezzo dell’equo indennizzo e la riparazione delle conseguenze pregiudizievoli accordata con la riapertura del processo o con la revoca della sentenza affetta dalle violazioni accertare dalla Corte edu; in secondo luogo, che il silenzio della Corte edu circa la necessità del risarcimento in “forma specifica” costituito dalla rimozione degli effetti pregiudizievoli della violazione accertata non ha alcun significato, dal momento che quella di un’esplicita indicazione degli strumenti per eliminare la violazione è un’evenienza possibile (o, addirittura eccezionale), ma non necessaria.

I risvolti applicativi

In relazione a quanto statuito dall’art. 628-bis, co. 5, c.p.p., alla luce di quanto statuito in tale sentenza, possono ricavarsi i seguenti criteri ermeneutici: 1) l’”incidenza effettiva” si riferisce solo a quelle violazioni della CEDU che abbiano avuto un peso concreto nella decisione interna perché, qualora non avessero contrassegnato il processo, l’esito sarebbe stato -ragionevolmente – diverso; 2) fermo restando che la Cassazione, laddove non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto o laddove, comunque, risulti superfluo il rinvio, può assumere i provvedimenti idonei a rimuovere gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione, disponendo, ove occorra, la revoca della sentenza, così come in alternativa, può ordinare la trasmissione degli atti al Giudice dell’esecuzione, oppure la riapertura del processo nel grado e nella fase in cui si procedeva al momento in cui si è verificata la violazione, stabilendo se e in quale parte conservino efficacia gli atti compiuti nel processo in precedenza svoltosi, la possibilità del “rinvio” si renderà necessaria allorquando occorrano accertamenti di merito, fisiologicamente estranei al giudizio di legittimità; 3) quando ricorrere a questa revoca e quando no non è configurabile astrattamente in ipotesi tassative, dato che la scelta della revoca, per quanto riguarda le sentenze della Corte di legittimità, è derivata dall’ampiezza del riferimento all’oggetto della “revoca” che si legge nell’art. 628-bis c.p.p., comma 5, ampiezza coessenziale alla non “codificabilità” a priori delle violazioni accertabili dalla Corte edu e dei conseguenti rimedi; 4) per riguarda il rapporto tra la decisione con cui la Cassazione annulla con rinvio e quella che il Giudice del rinvio dovrà assumere, la Corte di Cassazione ha il compito di indicare al Giudice di merito la portata del dictum Europeo sulla concreta regiudicanda, senza che il Giudice del rinvio possa riesaminare l’an dell’incidenza delle violazioni della Convenzione e che possa formulare un nuovo ed autonomo giudizio che replichi ed eventualmente smentisca quello che la Suprema Corte ha già svolto ai sensi dell’art. 628-bis c.p.p., comma 5, primo periodo, mentre spetta al Giudice di merito che gli venga rimessa la valutazione in fatto, che mancava e che la Corte di legittimità non ha potuto svolgere, ma che può e deve indicare come necessaria per lo sviluppo successivo del procedimento, una volta depurato dalle violazioni convenzionali accertate; 6) non vi è alcuna alternatività tra risarcimento del danno attuato a mezzo dell’equo indennizzo e la riparazione delle conseguenze pregiudizievoli accordata con la riapertura del processo o con la revoca della sentenza affetta dalle violazioni accertare dalla Corte edu; 7) il silenzio della Corte edu, ove sussistente, circa la necessità del risarcimento in “forma specifica”, costituito dalla rimozione degli effetti pregiudizievoli della violazione accertata, non ha alcun significato, dal momento che quella di un’esplicita indicazione degli strumenti per eliminare la violazione è un’evenienza possibile (o, addirittura eccezionale), ma non necessaria.

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