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Il terzo con diritto reale su un bene sequestrato può contestare la misura cautelare, anche se il bene è in affitto?

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Cass. pen., sez. V, 16/01/2024 (ud. 16/01/2024, dep. 04/04/2024), n. 13802 (Pres. Guardiano, Rel. Cuoco)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se il terzo, titolare di un diritto reale sul bene oggetto di sequestro preventivo, è legittimato ad impugnare la misura cautelare reale disposta sul bene di sua proprietà, anche quando la res è data in locazione a terzi.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

Il Tribunale di Napoli, investito dell’appello proposto avverso un provvedimento reiettivo – emesso dal Gip – dell’istanza di dissequestro avanzata da una società, quale terza interessata, avente per oggetto un immobile, sottoposto a sequestro preventivo in riferimento ad ipotesi di bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte contestati in relazione alla gestione da una società dichiarata fallita, lo confermava in toto.

Ciò posto, avverso questa decisione la predetta società, per il tramite del suo difensore, ricorreva per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, costui deduceva errata interpretazione ed applicazione degli artt. 322-bis cod. proc. pen. e degli artt. 1523 e ss. cod. civ. (disciplinanti la vendita con riserva di proprietà), nella parte in cui avrebbe ritenuto la ricorrente non legittimata a proporre l’impugnazione.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità, sebbene reputasse la società in questione legittimata a proporre ricorso per Cassazione nel caso di specie dato che il terzo, titolare di un diritto reale sul bene oggetto di sequestro preventivo, è legittimato ad impugnare (proponendo appello o istanza di riesame) la misura cautelare reale disposta sul bene di sua proprietà, anche quando la res è data in locazione a terzi, perché da un canto il proprietario conserva la disponibilità giuridica del bene e, dall’altro, essendo la misura cautelare funzionale alla definitiva ablazione del bene, il provvedimento mette in pericolo la situazione giuridica soggettiva nella sua titolarità (Sez. 6, n. 3975 del 16/10/1997, omissis, Rv. 210309; in senso conforme: Sez. 3, n. 44901 del 09/02/2016; Sez. 3, n. 32429 del 16/06/2004), pur tuttavia, considerava il ricorso in questione non meritevole di accoglimento dal momento che considerava il ricorrente soggetto non estraneo alla vicenda giudiziaria in contestazione.

Il ricorso proposto era dunque rigettato con conseguente condanna della società ricorrente al pagamento delle spese.

I risvolti applicativi

Il terzo, titolare di un diritto reale su un bene oggetto di sequestro preventivo, può impugnare la misura cautelare reale ivi disposta su questo bene, anche se il bene è affittato a terzi, e questo perché il proprietario mantiene il controllo legale sul bene e il sequestro minaccia la sua situazione giuridica.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 5 Num. 13802 Anno 2024

Presidente: GUARDIANO ALFREDO

Relatore: CUOCO MICHELE

Data Udienza: 16/01/2024

Data Deposito: 04/04/2024

SENTENZA

sul ricorso propostéda:

S. & C.s.r.1., rappresentata da M. F., nato a … il …;

avverso l’ordinanza dell’8 settembre 2023 del Tribunale di Napoli;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Michele Cuoco;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pasquale Serrao D’Aquino, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

letta la memoria difensiva depositata il 9 gennaio 2024 dall’avv. E. D’A., con la quale, in replica alle conclusioni rassegnate dal Procuratore generale, si insiste per l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Oggetto dell’impugnazione è l’ordinanza, resa 1’8 settembre 2023, con la quale il Tribunale di Napoli, investito dell’appello proposto dalla S. & C. ha confermato l’originario provvedimento reiettivo – emesso dal Gip – dell’istanza di dissequestro avanzata dalla predetta società, quale terza interessata, avente per oggetto l’immobile sito nel Comune di … alla via …, sottoposto a sequestro preventivo in riferimento ad ipotesi di bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte contestati in relazione alla gestione della società B. s.r.l., dichiarata fallita.

2. Il ricorso, proposto nell’interesse della S. & C., si articola in quattro motivi d’impugnazione.

2.1. Il primo, formulato sotto il profilo della violazione di legge, deduce un’errata interpretazione ed applicazione degli artt. 322-bis cod. proc. pen. e degli artt. 1523 e ss. cod. civ. (disciplinanti la vendita con riserva di proprietà), nella parte in cui avrebbe ritenuto la ricorrente non legittimata a proporre l’impugnazione.

La difesa premette che l’immobile oggetto di sequestro, di proprietà della S. & C. s.r.I., veniva originariamente venduto alla società B. s.r.l. per la somma di 690.000 euro, con patto di riservato dominio, e, successivamente, (risolto consensualmente questo primo trasferimento, per inadempimento dell’acquirente), alienato, una seconda volta, sempre con patto di riservato dominio, ad altra società, la R. W. s.r.l., che, nelle more, lo aveva concesso in locazione alla R. D..

Stante il mancato pagamento di alcune rate del prezzo, la società venditrice provvedeva a inviare alla R. W. atto di costituzione in mora e, successivamente, persistendo l’inadempimento, agiva prima per ottenere decreto ingiuntivo per il mancato pagamento della rate di prezzo non pagate e successivamente, avvalendosi della clausola risolutiva espressa, anche per l’accertamento dell’inadempimento e la conseguente risoluzione del contratto.

Veniva, così pronunciata (il 17 maggio 2023) ordinanza ex art. 702-biscod. proc. civ. con la quale veniva dichiarato risolto il contratto di vendita e accertato il diritto della società alienante di trattenere le somme versate dalla parte acquirente sino al momento dell’inadempimento.

Così ricostruite le vicende circolatorie relative all’immobile, la difesa deduce che il Tribunale, ritenendo non legittimata alla restituzione la S. & C. s.r.l., avrebbe violato l’art. 322-bis cod. proc. pen., perché, non avrebbe considerato che l’unico effettivo proprietario continuava ad essere la S. &

C., odierna ricorrente, non essendosi mai perfezionato il trasferimento, in ragione dell’inadempimento dell’acquirente e della conseguente risoluzione del rapporto. Per cui, se è vero che il contratto di locazione stipulato fra la R. W. e la … d. è opponibile alla proprietaria degli immobili, questo non fa

venir meno il diritto di quest’ultima ad ottenere la revoca del provvedimento cautelare emesso e trascritto sull’immobile, rimasto comunque in sua proprietà.

Gli altri motivi (il secondo, il terzo e il quarto), tutti formulati sotto il profilo della violazione di legge (in relazione all’art. 240 cod. pen. e 125 cod. proc. pen.), deducono, sostanzialmente, l’estraneità e la buona fede del M. e della società da lui rappresentata rispetto alla complessiva operazione posta in essere (in relazione alla quale, semmai, rivestirebbero la posizione di persona offesa) nonché la radicale assenza di motivazione in ordine ad eventuali condotte di partecipazione rispetto alle attività distrattive o fraudolente oggetto di contestazione e, comunque, la mancanza di un vantaggio ricevuto dal M. o dalla società da lui amministrata all’esito della complessiva operazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Per come si è detto, il ricorrente deduce, da un canto, la sua legittimazione ad interloquire sulle vicende che interessano il bene di sua proprietà e, dall’altro, la sua totale estraneità rispetto ai fatti contestati agli indagati.

Il ricorso è infondato.

Seguendo un ordine logico, va preliminarmente ribadito, a fronte di un’unica pronuncia difforme (Sez. 3, n. 42144 del 25/06/2013, omissis, Rv. 257369), il principio, affermato sin dal 1997 (Sez. 6, n. 3975 del 16/10/1997, omissis, Rv. 210309) e più volte confermato (Sez. 3, n. 44901 del 09/02/2016, omissis, Rv. 267921; Sez. 3, n. 32429 del 16/06/2004, omissis, Rv. 229351), per cui il terzo, titolare di un diritto reale sul bene oggetto di sequestro preventivo, è legittimato ad impugnare (proponendo appello o istanza di riesame) la misura cautelare reale disposta sul bene di sua proprietà, anche quando la res è data in locazione a terzi, perché da un canto il proprietario conserva la disponibilità giuridica del bene e, dall’altro, essendo la misura cautelare funzionale alla definitiva ablazione del bene, il provvedimento mette in pericolo la situazione giuridica soggettiva nella sua titolarità.

Se, però, la S. è legittimata a proporre impugnazione avverso il provvedimento ablatorio del suo diritto di proprietà, non è, all’evidenza, estranea alla fattispecie.

Dalla stessa pacifica ricostruzione della scansione fattuale (per come indicata dallo stesso ricorrente) emerge che la società fallita, all’esito della consensuale risoluzione del contratto di compravendita (per inadempimento dell’acquirente), abbia perso tanto l’immobile, quanto il relativo prezzo (inutilmente) pagato; parallelamente, la nuova società (riconducibile sostanzialmente agli stessi indagati), acquista l’immobile ad un prezzo ridotto, sostanzialmente decurtato di quanto già pagato dalla fallita.

Cosicché, sotto il profilo delle rispettive consistenze patrimoniali (e a prescindere dalle determinazioni convenzionali evocate con la memoria depositata), il valore economico dei canoni pagati dalla società fallita viene trasferito, nella sostanza, alla nuova società acquirente con patto di riservato dominio.

In ciò la condotta distrattiva, concretamente realizzata con la partecipazione della S., della cui consapevolezza non si può dubitare alla luce di quanto evidenziato dalla Corte territoriale: le reciproche cointeressenze tra le diverse società acquirenti e conduttrici (tutte sostanzialmente riconducibili ai medesimi amministratori); le tempistiche dei due trasferimenti (avvenuti in prossimità della dichiarazione di fallimento); le condotte processuali della S., proprietaria dell’immobile (che non si sarebbe tempestivamente attivata per ottenere il pagamento di quanto dovuto ed anzi avrebbe sostanzialmente proseguito con le medesime persone lo stesso rapporto contrattuale).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna della società ricorrente al pagamento delle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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