Il giudice di appello è tenuto a motivare il rigetto della richiesta congiunta sulla pena, formulata con rinuncia agli altri motivi?

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Cass. pen., sez. V, 12/02/2025 (ud. 12/02/2025, dep. 30/04/2025), n. 16422 (Pres. Vessichelli, Rel. Cuoco)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se il giudice di appello sia tenuto a motivare il rigetto della richiesta congiunta sulla pena, formulata con rinuncia agli altri motivi.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Palermo, confermando una condanna pronunciata in primo grado, riteneva gli imputati responsabili, nelle loro qualità di amministratori di una società a responsabilità limitata dichiarata fallita, dei reati di bancarotta impropria da operazioni dolose e di bancarotta semplice documentale.

Ciò posto, avverso questo provvedimento ricorrevano per Cassazione ambedue gli accusati i quali, tra i motivi ivi addotti, deducevano l’omessa valutazione della proposta formulata ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. con la quale i ricorrenti, rinunciando a tutti gli altri motivi d’impugnazione formulati con l’atto di appello, chiedevano (ottenendo il consenso del Pubblico Ministero) la rideterminazione della pena nei termini indicati nell’istanza.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Gli Ermellini ritenevano il motivo suesposto infondato.

In particolare, tra le argomentazioni che inducevano la Corte di legittimità ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, qualora il giudice di appello ritenga di non accogliere la richiesta concordata delle parti sulla misura della pena, con rinunzia agli altri motivi, non deve esplicitare le ragioni del rigetto, essendo sufficiente l’ordine di prosecuzione del dibattimento (Sez. 4, n. 16195 del 22/01/2019; Sez. 2, n. 8745 del 22/11/2019).

I risvolti applicativi

Se il giudice di appello non accoglie la richiesta concordata delle parti sulla pena, con rinuncia agli altri motivi, non è obbligato a motivare il rigetto, essendo sufficiente l’ordine di prosecuzione del dibattimento.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 5 Num. 16422 Anno 2025

Presidente: VESSICHELLI MARIA

Relatore: CUOCO MICHELE

Data Udienza: 12/02/2025

Data Deposito: 30/04/2025

SENTENZA

sui ricorsi proposti da

G. A. nata in Austria il 9 giugno 1968;

G. M. nato a Roma 1’11 settembre 1953;

avverso la sentenza del 27 giugno 2024 della Corte d’appello di Palermo;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Michele Cuoco;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giulio Monferini, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Oggetto dell’impugnazione è la sentenza con la quale la Corte d’appello di Palermo, confermando la condanna pronunciata in primo grado, ha ritenuto A. e M. G. responsabili, nelle loro qualità di amministratori della B. C. s.r.l. (dichiarata fallita il 16 aprile 2019), dei reati di bancarotta impropria da operazioni dolose (per aver cagionato il fallimento della società omettendo sistematicamente il pagamento di contributi previdenziali ed imposte, capo A) e di bancarotta semplice documentale (così riqualificata l’originaria imputazione in termini di bancarotta fraudolenta documentale specifica, capo B).

2. I ricorsi sono proposti nell’interesse degli imputati e si articolano in quattro motivi di censura.

3.1. Il primo deduce l’omessa valutazione della proposta formulata ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. con la quale i ricorrenti, rinunciando a tutti gli altri motivi d’impugnazione formulati con l’atto di appello, chiedevano (ottenendo il consenso del Pubblico Ministero) la rideterminazione della pena nei termini indicati nell’istanza.

3.2. Il secondo si articola in due censure. La prima, afferente alla bancarotta impropria contestata al capo A), deduce che l’omesso versamento delle imposte non sarebbe frutto di una deliberata scelta degli amministratori, ma conseguenza inevitabile delle gravi condizioni economiche nelle quali versava l’impresa, tanto più alla luce delle rassicurazioni dello stesso commercialista che seguiva la gestione economica. La seconda attiene alla bancarotta semplice documentale contestata al capo B e deduce che non solo non vi sarebbe alcuna preordinazione (come riconosciuto dalla Corte d’appello), ma non potrebbe ravvisarsi neanche alcun profilo di responsabilità in capo agli imputati, ancorché a titolo di colpa.

3.3. Il terzo e il quarto attengono al trattamento sanzionatorio e, in particolare, al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (illogicamente escluse, sostiene la difesa, non considerando il limitato danno causato e la corretta condotta processuale tenuta dai ricorrenti) e alla determinazione delle pene accessorie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è infondato. A prescindere dalla chiara circostanza per cui non vi è prova che la richiesta di applicazione della pena concordata ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. sia stata ritualmente sottoposta alla valutazione della Corte territoriale, contrariamente a quanto ritenuto nella prospettazione difensiva, qualora il giudice di appello ritenga di non accogliere la richiesta concordata delle parti sulla misura della pena, con rinunzia agli altri motivi, non deve esplicitare le ragioni del rigetto, essendo sufficiente l’ordine di prosecuzione del dibattimento (Sez. 4, n. 16195 del 22/01/2019, Rv. 275581; Sez. 2, n. 8745 del 22/11/2019, dep. 2020, omissis, Rv. 278527). Si tratta di un orientamento che ha ripreso e condiviso quanto già affermato nella vigenza del precedente patteggiamento in appello (Sez. 5, n. 29896 del 01/07/2002, Rv. 2223869) e che, con l’introduzione delle nuove previsioni normative, trova fondamento nella lettera delle disposizioni dettate dall’art. 599-bis comma 3 e 602 comma 1-bis cod. proc. pen., nelle quali viene espressamente riferito che il giudice di appello, ove ritenga di non dovere accogliere la richiesta di concordato ordina la citazione dell’imputato ovvero dispone la prosecuzione del dibattimento, a seconda della fase nella quale viene formulata la richiesta ed ottenuto il consenso del Pubblico Ministero. E tanto è avvenuto in concreto, con la prosecuzione del giudizio (nelle forme cartolari) e la pronuncia della sentenza (di conferma della decisione impugnata) (Sez. 2, n. 8745, cit., in motivazione).

2. Il secondo motivo è, anch’esso, complessivamente infondato. Il ricorrente, per come si è detto, deduce, da un canto, la (pregressa) sussistenza di una significativa difficoltà finanziaria (che avrebbe precluso la possibilità di adempiere alle obbligazioni tributarie) e, dall’altro, la parallela esistenza di un credito da porre in compensazione con tale debito (che avrebbe, secondo la difesa, giustificato la condotta omissiva degli amministratori).

2.1. La prima censura è infondata. Rientrando fra le prerogative proprie dell’amministratore il versamento delle imposte e la sottoscrizione delle relative dichiarazioni fiscali, entrambi i ricorrenti erano sicuramente a conoscenza dei debiti erariali (circostanza peraltro riconosciuta dallo stesso M. G.) e, quindi, alla luce della loro funzione e della conseguente consapevolezza del dato contabile, anche nella condizione di poter prevedere concretamente che il protratto, esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni tributarie e previdenziali avrebbe esposto il patrimonio sociale alle azioni di riscossione erariale, particolarmente gravose per gli imponenti interessi e sanzioni che per legge vengono applicati. In questa situazione, la scelta di non adempiere alle obbligazioni fiscali e contributive non è imposta da nessuna prescrizione cogente, ma è solo il risultato di una libera determinazione dell’imprenditore (attraverso cui la prosecuzione dell’attività economica è stata finanziata con l’utilizzo del denaro spettante all’Erario e agli istituti previdenziali).

2.2. La seconda censura è, invece, generica, mancando ogni concreto riferimento documentale in ordine all’effettiva esistenza di tale credito. Tanto più alla luce della totale inerzia di entrambi i ricorrenti nelle (eventuali) attività di recupero dello stesso.

2.3. In ultimo, la censura afferente alla sussistenza della bancarotta documentale è chiaramente generica, essendosi limitati i ricorrenti a dedurre l’assenza di dolo o di colpa nella condotta di omessa tenuta della documentazione.

D’altronde, a fronte della deduzione di aver affidato la contabilità ad un professionista incaricato della relativa tenuta, è sufficiente ribadire come, a norma degli artt. 2214 e 2241 cod. civ., l’imprenditore che esercita un’attività commerciale è sempre obbligato, personalmente, alla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili nella propria azienda. Per cui egli potrà avvalersi dell’opera di un tecnico, sia esso un proprio dipendente o un libero professionista, ma resterà comunque responsabile per l’attività da essi svolta nell’ambito dell’impresa, dovendosi presumere che i dati siano stati trascritti secondo le indicazioni e i documenti forniti dall’imprenditore medesimo (Sez. 5, n. 709 del 01/10/1998, dep. 1999, Rv. 212147) e sussistendo, comunque, l’obbligo di vigilare e controllare le attività svolte dai delegati (Sez. 5, n. 2812 del 17/10/2013, dep. 2014, Rv. 258947).

4. Il terzo e il quarto sono, invece, indeducibili.

4.1. Quanto al terzo motivo, va ribadito che il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in sé, non costituisce oggetto di un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma necessita, in positivo, di elementi ritenuti idonei a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio rendendolo coerente alla concreta gravità del fatto (Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Rv. 271315; Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Rv. 252900; Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, Rv. 281590).

Cosicché, non potendo essere data per presunta, il riconoscimento delle dette circostanze necessita di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti idonei a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata, a fronte di specifica richiesta dell’imputato, anche attraverso la sola indicazione delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza la stretta necessità della contestazione o dell’invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda. Ebbene, in concreto, Corte territoriale, nell’escludere la possibilità del riconoscimento di tali circostanze, ha valorizzato la non ridotta gravità della condotta, la pervicace capacità a delinquere e il conseguente depauperamento aziendale. La motivazione esiste, è logica e coerente e, in quanto tale, insindacabile in questa sede.

4.2. Il quarto motivo è, in ultimo, evidentemente generico, in quanto si limita a censurare la quantificazione della pena accessoria irrogata, senza, tuttavia, indicare le ragioni, in fatto o in diritto, poste a fondamento della censura prospettata, così impedendo a questa Corte l’esercizio del sindacato invocato con l’impugnazione.

5. In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati e ricorrenti condannati in solido al pagamento delle spese processuali.

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