I motivi di appello, contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali, possono essere formulati per relationem?

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Cass. pen., sez. VI, 28/11/2024 (ud. 28/11/2024, dep. 08/01/2025), n. 610 (Pres. Di Stefano, Rel. Calvanese)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se i motivi di appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali possono limitarsi a richiamare gli argomenti addotti a fondamento della originaria richiesta di applicazione.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

Il Tribunale di Catanzaro dichiarava inammissibile un appello cautelare proposto avverso il rigetto di un’istanza ex art. 299 cod. proc. pen., con la quale era stata chiesta la sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella domiciliare.

Ciò posto, avverso questa decisione ricorreva per Cassazione il difensore dell’indagato, il quale deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 272 e ss., 275, comma 4 cod. proc. pen. e 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Gli Ermellini ritenevano il ricorso suesposto inammissibile.

In particolare, tra le argomentazioni che inducevano i giudici di piazza Cavour ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo cui i motivi di appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali non possono limitarsi al semplice richiamo “per relationem” degli argomenti addotti a fondamento della originaria richiesta di applicazione, ma devono soddisfare, a pena di inammissibilità, il requisito della specificità, consistente nella precisa indicazione dei punti censurati e delle questioni di fatto e di diritto da sottoporre al giudice del gravame (Sez. 6, n. 47546 del 01/10/2013).

I risvolti applicativi

I motivi di appello contro le ordinanze cautelari devono essere specifici, indicando chiaramente i punti censurati e le questioni di fatto e di diritto, e non possono limitarsi a un semplice richiamo agli argomenti della richiesta originaria, pena l’inammissibilità.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 6 Num. 610 Anno 2025

Presidente: DI STEFANO PIERLUIGI

Relatore: CALVANESE ERSILIA

Data Udienza: 28/11/2024

Data Deposito: 08/01/2025

SENTENZA

sul ricorso proposto da

A. D., nato a … il …

avverso la ordinanza del 09/07/2024 del Tribunale di Catanzaro

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Ersilia Calvanese;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Raffaele Gargiulo, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Catanzaro dichiarava inammissibile l’appello cautelare proposto da D. A. avverso il rigetto dell’istanza ex art. 299 cod. proc. pen., con la quale era chiesta la sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella domiciliare.

Secondo il Tribunale, l’appello era la mera riproposizione dei dati fattuali esposti nella istanza de libertate e quindi era privo di specificità rispetto al contenuto del provvedimento appello, in quanto si sostanziava in un mero invito alla revisione della decisione impugnata o alla mera riproposizione dei nova già disattesi dal primo Giudice, pur a fronte di un provvedimento articolato ed esaustivo.

2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 272 e ss., 275, comma 4 cod. proc. pen. e 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990.

Il Giudice per le indagini preliminari aveva rigettato l’istanza difensiva molto articolata con motivazione sintetica, generica, schematica, di stile e standardizzata, omettendo di confrontarsi con i temi devoluti. Anche l’ordinanza impugnata ha fornito una risposta altrettanto generica e di stile.

E’ pacifico che con l’appello non si possano introdurre non altro che gli stessi elementi già sottoposti al primo giudice (incorrendo altrimenti nell’inammissibilità); che l’ordinanza che decide sulla richiesta di riesame può integrare la motivazione adotta dal primo giudice, salvo la stessa sia mancante; che la mancanza di autonoma valutazione legittima la corte di cassazione ad accedere agli atti.

La lettura dell’istanza e dell’appello viene a smentire l’assunto del Tribunale.

3. Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito illustrate.

2. E’ principio pacifico che i motivi di appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali non possono limitarsi al semplice richiamo “per relationem” degli argomenti addotti a fondamento della originaria richiesta di applicazione, ma devono soddisfare, a pena di inammissibilità, il requisito della specificità, consistente nella precisa indicazione dei punti censurati e delle questioni di fatto e di diritto da sottoporre al giudice del gravame. (Sez. 6, n. 47546 del 01/10/2013, Rv. 258664).

L’appello cautelare di cui all’art. 310 cod. proc. pen. ha infatti la fisionomia strutturale e strumentale degli ordinari mezzi di impugnazione, con la conseguenza che allo stesso si applicano le norme generali in materia, tra cui le disposizioni di cui agli artt. 581 e 591 cod. proc. pen.; ne deriva che l’impugnazione deve non solo indicare i capi e i punti ai quali si riferisce, ma anche enunciare i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta. (Sez. 5, n. 9432 del 12/01/2017, Rv. 269098).

L’onere di specificità non viene meno di fronte un provvedimento immotivato, posto che in tal caso la critica sarà pur sempre diretta al vizio del provvedimento e non può essere surrogata dalla mera riproposizione della istanza.

Le Sezioni Unite infatti hanno infatti chiarito che l’onere di specificità dei motivi di impugnazione, proposti con riferimento ai singoli punti della decisione, è direttamente proporzionale alla specificità delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, con riferimento ai medesimi punti (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, omissis, Rv. 268822).

Come si è già condivisibilmente affermato (Sez. 4, n. 41981 del 24/10/2024), con questa precisazione si vuole intendere che, quanto più il provvedimento impugnato si presenti carente sotto il profilo argomentativo in relazione ad un punto o più punti della decisione oggetto di critica da parte dell’impugnante, tanto più si attenua l’onere difensivo di confutare in modo puntuale e rigoroso le valutazioni espresse dal primo giudice nell’atto di impugnazione. Tuttavia, la difesa deve necessariamente indicare nell’atto di appello quali punti della decisione siano interessati da carenza argomentativa e superficialità in relazione alle questioni di cui è investita la Corte d’appello, non potendo limitarsi ad una critica avulsa da riferimenti ai punti della sentenza censurata senza incorrere nel vizio della “genericità estrinseca”, la quale si connota per la mancanza di correlazione fra questi e le ragioni di fatto o di diritto su cui si basa la sentenza impugnata. Il tasso di indeterminatezza del provvedimento impugnato – il quale può essere più o meno elevato – non esonera la difesa dall’indicare i punti sui quali si sollecita l’intervento correttivo del giudice dell’appello.

Da quanto precede si ricava che l’indeterminatezza della pronuncia di primo grado, rispetto alla quale si misura in termini proporzionali la specificità dei motivi di appello, non può mai consentire la mancata individuazione nell’atto di impugnazione dei punti sui quali la difesa intende sollecitare l’intervento del giudice di appello, non potendosi intendere il giudizio di secondo grado come un giudizio nuovo, a tutto campo.

3. Da quanto precede consegue l’inammissibilità del ricorso.

Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.

Considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.

La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter,disp. att. cod. proc. pen.

Così deciso il 28/11/2024.

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