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Evidenza della prova nel rito immediato: condizioni per la formulazione del giudizio

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Cass. pen., sez. II, 27/10/2021 (ud. 27/10/2021, dep. 25/01/2022), n. 2858 (Pres. Rago, Rel. Di Pisa)

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 453, co. 1)

Indice

La questione giuridica

Fermo restando che, come è noto, l’art. 453, co. 1, cod. proc. pen. dispone che, quando “la prova appare evidente, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini, il pubblico ministero chiede il giudizio immediato se la persona sottoposta alle indagini è stata interrogata sui fatti dai quali emerge l’evidenza della prova ovvero, a seguito di invito a presentarsi emesso con l’osservanza delle forme indicate nell’articolo 375 comma 3 secondo periodo, la stessa abbia omesso di comparire, sempre che non sia stato adottato un legittimo impedimento e che non si tratti di persona irreperibile”, la Cassazione, nella decisione qui in esame, affronta la questione inerente sul quando è possibile la formulazione del giudizio di evidenza della prova nel rito immediato.

Difatti, nel procedimento, in occasione del quale è stata emessa la sentenza in commento, la Corte di Appello di Milano, nel confermare una sentenza adottata dal Tribunale della medesima città in merito ad un caso di riciclaggio, rigettava proprio un’eccezione di nullità del decreto di giudizio immediato.

Orbene, avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione la difesa dell’imputato che, tra i motivi ivi addotti, deduceva, ex artt. 606 comma 1 lett. c) ed e) c.p.p., nullità del processo per la nullità del decreto di giudizio immediato in quanto emesso in violazione del disposto di cui agli artt. 453 e 178 comma 1 lett. c) c.p.p..

Nel dettaglio, si sosteneva come l’intero processo fosse da ritenere nullo in quanto instaurato nelle forme del giudizio immediato al di fuori delle ipotesi consentite dalla legge e senza il rispetto dei diritti di difesa dell’imputato, osservandosi a tal proposito come il ricorrente non avesse mai ricevuto alcuna contestazione sui fatti dai quali sarebbe emersa l’evidenza della prova a suo carico, né in occasione di interrogatorio, né, comunque, attraverso l’invito a presentarsi con l’osservanza delle forme stabilite dall’ art. 375 comma 3 c.p.p. come previsto dall’ art. 453 comma 1 c.p.p. quale condicio sine qua non per la legittima instaurazione del contradditorio propedeutico alla celebrazione del rito immediato.

Ebbene, pur a fronte di tale situazione, l’impugnante faceva presente come la Corte territoriale si fosse limitata ad adottare una motivazione meramente apparente, confermando le argomentazioni del primo giudice senza rispondere alle censure formulate.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Suprema riteneva la doglianza summenzionata fondata.

In particolare, gli Ermellini richiamavano prima di tutto, in punto di diritto, il seguente passo argomentativo contenuto nella decisione 42979/2014 emessa dalle S.U.: “secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale e la prevalente dottrina, la nozione di evidenza della prova, contenuta nell’art. 453, comma 1, cod. proc. pen., ha una sua precisa valenza semantica che deve essere ricostruita in base alla peculiarità del giudizio immediato senza possibilità di mutuare il suo significato dagli altri istituti processuali (artt. 129, 389, 422 cod. proc. pen.) che richiamano la medesima dizione. Essa qualifica l’indagine condotta dal pubblico ministero e riguarda tutti gli atti delle indagini preliminari e non soltanto le prove utilizzabili in dibattimento, che potrebbero non essere affatto acquisite. L’evidenza probatoria si traduce in una prognosi sulla sostenibilità in giudizio dell’accusa e deve essere tale da consentire di escludere che il contraddittorio fra le parti possa indurre il giudice dell’udienza preliminare a pronunciare una sentenza di non luogo a procedere (Sez. U, n. 22 del 06/12/1991, dep. 1992, omissis. Rv. 19247-9; Corte cost., ordd. nn. 276 del 1995 e 182 del 1992). La sussistenza di elementi di tale pregnanza da escludere la necessità di sottoposizione alla verifica dell’udienza preliminare spiega il fondamento logico-sistematico del giudizio immediato che prevede il passaggio alla fase dibattimentale senza la preventiva celebrazione della suddetta udienza. Il presupposto probatorio sin qui delineato si riflette inevitabilmente sugli altri due, cui è subordinata l’instaurazione del rito in questione. La formulazione del giudizio di evidenza della prova è possibile soltanto in presenza di una compiuta contestazione alla persona sottoposta alle indagini degli elementi di accusa raccolti nei suoi confronti, idonea a consentire il pieno esercizio del diritto di difesa mediante l’illustrazione delle proprie discolpe”

Ciò posto, si notava altresì come, sempre in questa pronuncia, come le S.U. abbiano, ancora, evidenziato quanto sussegue: “Il previo interrogatorio della persona sottoposta alle indagini o, comunque, la contestazione dell’accusa con l’invito a comparire emesso nelle forme indicate nell’art. 375, comma 3, cod. proc. pen. è indispensabile per porre la persona in condizione di esporre la sua versione, fornire le sue discolpe, adottare le più opportune iniziative defensionali, interloquire sulla natura, evidente o meno, delle prove, contrastare la richiesta di emissione del decreto di giudizio immediato e la sua eventuale adozione. Il contraddittorio effettivo (o, quanto meno, la possibilità dello stesso) in ordine all’esito delle investigazioni svolte dal pubblico ministero rappresenta un passaggio procedimentale ineludibile per la formulazione del giudizio di evidenza della prova, implicante, come già detto, un apprezzamento di superfluità dell’udienza preliminare’.

Ulteriore richiamo giurisprudenziale, compiuto sempre nel provvedimento qui in commento, era inoltre fatto in relazione a quanto sottolineato dalla Corte costituzionale con la pronunzia n. 203/2002, in cui si era rilevato che il pubblico ministero può avanzare istanza di giudizio immediato solamente “se la persona sottoposta alle indagini sia stata interrogata sui fatti da cui emerge l’evidenza della prova, ovvero se – a seguito di invito a presentarsi emesso a norma dell’art. 375, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen. e contenente, oltre la sommaria enunciazione del fatto risultante dalle indagini compiute, l’indicazione degli elementi e delle fonti da cui risulta l’evidenza della prova e l’avvertimento che potrà essere presentata richiesta di giudizio immediato – la persona indagata non sia comparsa, sempre che non abbia addotto un legittimo impedimento o non sia irreperibile”, ulteriormente aggiungendosi che, ai fini della contestazione del fatto, le suddette garanzie “sono sostanzialmente analoghe a quelle contenute nell’avviso della conclusione delle indagini preliminari, l’unica differenza essendo riscontrabile nel deposito della documentazione delle indagini espletate, previsto dall’art. 415-bis, comma 2, cod. proc. pen., al quale peraltro fa riscontro, ove si ponga mente alla specificità del giudizio immediato, la contestazione verbale degli elementi e delle fonti su cui si basa l’evidenza della prova, richiamata dagli artt. 453 e 375, comma 3, cod. proc. pen.” ed, inoltre, che “a seguito dell’interrogatorio svolto con l’osservanza di tali forme, la persona sottoposta alle indagini, al fine di contestare l’evidenza della prova e, quindi, di evitare di essere tratta a giudizio, è posta in condizione di esercitare le più opportune iniziative defensionali previste in via generale nel corso delle indagini preliminari, dalla presentazione di memorie e richieste scritte al pubblico ministero alle attività di sollecitazione probatoria e alle investigazioni difensive”.

Orbene, alla luce di siffatto quadro ermeneutico, per i giudici di piazza Cavour, ne discende che la formulazione del giudizio di evidenza della prova è possibile solamente ove sia intervenuta una compiuta e piena contestazione alla persona sottoposta alle indagini degli elementi di accusa raccolti nei suoi confronti tale da assicurare il pieno esercizio del diritto di difesa mediante l’illustrazione degli elementi a propria discolpa, da ciò derivando che l’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini o, comunque, la rituale previa contestazione degli addebiti e la fissazione dei termini per l’introduzione del giudizio sono funzionali ad un corretto accertamento dell’evidenza probatoria.

Viceversa, nel caso di specie, per la Corte di legittimità, era condivisibile l’assunto difensivo secondo il quale il ricorrente non aveva ricevuto, in relazione al procedimento de quo, alcun invito a comparire e, dunque, non era conoscenza delle fonti e degli elementi di prova a suo carico prima della emissione della richiesta di giudizio immediato a suo carico.

Tal che se ne faceva discendere come fosse di tutta evidenza la violazione dei diritti di difesa e, di conseguenza, le sentenze di primo e di secondo grado erano ambedue annullate senza rinvio e gli atti erano trasmessi al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano per l’ulteriore corso.

I risvolti applicativi

In materia di giudizio immediato, la formulazione del giudizio di evidenza della prova è possibile solamente ove sia intervenuta una compiuta e piena contestazione alla persona sottoposta alle indagini degli elementi di accusa raccolti nei suoi confronti tale da assicurare il pieno esercizio del diritto di difesa mediante l’illustrazione degli elementi a propria discolpa, da ciò derivando che l’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini o, comunque, la rituale previa contestazione degli addebiti e la fissazione dei termini per l’introduzione del giudizio sono funzionali ad un corretto accertamento dell’evidenza probatoria.

Ove quindi la richiesta di giudizio immediato sia stato emesso, senza che siffatta formulazione avvenga in questi termini, ben si potrà contestarla (come avvenuto nella fattispecie in esame).

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 2 Num. 2858 Anno 2022

Presidente: RAGO GEPPINO

Relatore: DI PISA FABIO

Data Udienza: 27/10/2021

Data Deposito: 25/01/2022

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

S. L. nato a … il …

avverso la sentenza del 29/11/2019 della CORTE APPELLO di MILANO

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO DI PISA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale DOMENICO SECCIA che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della disposta confisca nonché il rigetto

degli altri motivi;

udito l’Avv. Z. P. M., dell’Avvocatura dello Stato, per la parte civile che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, depositando conclusioni scritte e nota spese delle quali ha chiesto la liquidazione;

udito l’Avv. E. M., in sostituzione dell’Avv. A. S., che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e annullamento della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 29/11/2019, confermava la sentenza del Tribunale di Milano in data 22/05/2015 in forza della quale S. L. era stato riconosciuto colpevole del reato di concorso in riciclaggio (capo d) e condannato alla pena di anni cinque di reclusione ed euro 2.000,00 di multa oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile, con confisca del profitto del reato di cui all’ art. 648 bis c.p. profitto quantificato nella somma di euro 4.814.999,34.

I giudici di appello rigettavano l’eccezione di nullità del decreto di giudizio immediato nonché l’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con la teste C.; nel confermare la lettura delle complessive risultanze istruttorie operata dai primi giudici, ritenevano dimostrata la responsabilità del predetto imputato, a titolo di concorso, nel riciclaggio della somma di euro 4.814.999,34 provento del delitto di peculato commesso da G. L. nella sua qualità di funzionario amministrativo, economico e finanziario addetto al riscontro contabile della direzione Regionale dei Beni culturali e paesaggistici del Lazio in parte trasferita sui conti correnti svizzeri della T. I. s.a. costituita ed amministrata da S. L. il quale aveva concorso anche alla fase successiva di “ripulitura”.

2. L’ imputato, a mezzo del proprio difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso la suindicata sentenza formulando sette motivi.

2.1. Con il primo motivo deduce, ex artt. 606 comma 1 lett. c) ed e) c.p.p., nullità del processo per la nullità del decreto di giudizio immediato in quanto emesso in violazione del disposto di cui agli artt. 453 e 178 comma 1 lett. c) c.p.p.; apparenza della motivazione sul punto.

Lamenta che, nel caso in esame, l’intero processo era da ritenere nullo in quanto instaurato nelle forme del giudizio immediato al di fuori delle ipotesi consentite dalla legge e senza il rispetto dei diritti di difesa dell’imputato.

Osserva che il ricorrente non aveva mai ricevuto alcuna contestazione sui fatti dai quali sarebbe emersa l’evidenza della prova a suo carico né in occasione di interrogatorio né, comunque, attraverso l’invito a presentarsi con l’osservanza delle forme stabilite dall’ art. 375 comma 3 c.p.p. come previsto dall’ art. 453 comma 1 c.p.p. quale condicio sine qua non per la legittima instaurazione del contradditorio propedeutico alla celebrazione del rito immediato.

Lamenta che, sul punto, la corte di appello si era limitata ad adottare una motivazione meramente apparente, confermando le argomentazioni del primo giudice senza rispondere alle censure formulate.

2.2. Con il secondo motivo deduce, ex artt. 606 comma 1 lett. b) ed e) c.p.p., violazione degli art. 110 e 648 bis c.p. nonché omesso esame delle censure proposte. Lamenta che la motivazione era gravemente illogica e contradditoria in quanto, fra l’altro, non era stata affrontata la questione della consapevolezza da parte dell’imputato della provenienza illecita dell’intera somma di euro 4.814.999,34 ma i giudici di appello si erano soffermati, unicamente, sulla consapevolezza di tale provenienza limitatamente agli importi sui conti transitati sulla T. I., società riferibile all’ imputato.

Rileva che non era dato comprendere sulla base di quali presupposti poteva ritenersi che il ricorrente aveva commesso una complessa ed articolata operazione di riciclaggio coinvolgente diverse società ali’ interno delle quali pacificamente egli non aveva mai operato. 2.3. Con il terzo motivo deduce, ex artt. 606 comma 1 lett. b) ed e) c.p.p., violazione delle norme in teme di concorso di persone nel reato nonché omesso esame delle censure proposte.

Rileva che la corte territoriale non aveva esaminato la contestazione secondo, cui avendo il coimputato V. L. concorso con G. L. nei vari episodi di distrazione di denaro pubblico, il ricorrente, unitamente al concorrente V., avrebbero dovuto, al più rispondere, quali istigatori del reato presupposto.

2.4. Con il quarto motivo deduce, ex artt. 606 comma 1 lett. b) ed e) c.p.p., violazione di legge quanto all’ elemento soggettivo del reato di riciclaggio nonché omesso esame delle censure proposte.

Rileva che la circostanza che l’imputato avesse amministrato, per alcuni mesi, la T. I. non poteva essere ritenuta sufficiente per l’affermazione della sua responsabilità e che la corte di appello aveva omesso di valutare adeguatamente le censure formulate volte a dimostrare che il ricorrente non avesse alcuna consapevolezza della provenienza illecita delle somme posto che aveva conferito una amplissima delega al V., ulteriormente precisando che nel caso in esame non era emersa in alcun modo la prova del dolo di riciclaggio in capo all’imputato.

2.5. Con il quinto motivo deduce, ex artt. 606 comma 1 lett. b) ed e) c.p.p., violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla ritenuta giurisdizione del giudice italiano.

Osserva che la corte di appello aveva trascurato di considerare che nel caso in esame mancava qualunque elemento di fatto idoneo a radicare la giurisdizione italiana.

2.6. Con il sesto motivo deduce, ex artt. 606 comma 1 lett. d) ed e) c.p.p., mancata assunzione di prova decisiva costituita dall’ audizione delle teste C..

Assume che la corte di appello non aveva considerato che la testimonianza di quest’ultima funzionario della Banca R. appariva di rilievo decisivo in quanto la stessa avrebbe potuto riferire in ordine alle movimentazioni della T. I. ed ai chiarimenti chiesti al V. nel 2012 ed alle spiegazioni offerte.

2.7. Con il settimo motivo deduce, ex artt. 606 comma 1 lett. d) ed e) c.p.p., erronea applicazione della legge penale in ordine alla qualificazione dei fatti ed al trattamento sanzionatorio nonché omessa motivazione in ordine alla disposta confisca.

Lamenta che, erroneamente, la corte di appello aveva disatteso la contestazione diretta a riqualificare la condotta nell’ ipotesi meno grave di cui all’ art. 648 c.p., che la motivazione era gravemente carente e lacunosa in ordine al trattamento sanzionatorio certamente eccessivo e che i giudici di appello aveva del tutto omesso di pronunziarsi sulle specifiche censure riguardanti la disposta confisca.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Osserva la Corte che il primo motivo del ricorso è da ritenere fondato, con carattere assorbente rispetto agli ulteriori motivi.

2. Va premesso che, secondo quanto ritenuto dai giudici di merito, il procedimento de quo si è svolto a seguito di istanza del P.M. in data 8 aprile 2013 secondo le forme del rito immediato c.d. ordinario in situazione di “evidenza della prova”, richiedendosi in tali ipotesi, per come testualmente stabilito dall’ art. 453 comma 1 c.p.p., che la persona sottoposta ad indagini sia “stata interrogata sui fatti da quali emerge l’evidenza della prova” ovvero abbia ricevuto rituale avviso a comparire.

2.1. Avendo l’imputato, sin dalla prima udienza dibattimentale, eccepito la nullità del decreto di giudizio immediato per il mancato interrogatorio dello stesso e per violazione del suo diritto di difesa la questione che si pone all’ attenzione della Corte è quella di verificare se la tesi dei giudici di merito circa la insussistenza di cause di nullità in ragione della preventiva audizione del S. presso l’ autorità giudiziaria svizzera e del suo consenso alla trasmissione dei verbali di interrogatori all’ autorità italiana sia corretta.

2.2. La corte territoriale, nel confermare quanto già osservato dal tribunale in primo grado, ha precisato che il S. era stato già interrogato dal Procuratore Pubblico di Lugano nell’ambito del procedimento penale, promosso dall’ autorità giudiziaria svizzera nei confronti del predetto per il reato di riciclaggio, in due occasioni (il 13 Dicembre 2012 e il 7 Marzo 2013) in relazione alle condotte di malversazione ai danni della Direzione Regionale per i beni culturali e Paesaggistici del Lazio e che, nel corso del secondo interrogatorio, il predetto aveva acconsentito alla trasmissione dei detti verbali all’ autorità giudiziaria italiana che conduceva le indagini in relazione a tali “malversazioni”, prendendo atto, in tale occasione, dell’esistenza di una “domanda di assistenza dell’autorità italiana” che gli era stata “mostrata” e che successivamente gli sarebbe stata trasmessa.

I giudici di merito, muovendo da tali elementi, hanno concluso nel senso che il S. ” sapeva l’oggetto delle accuse che gli venivano mosse dall’ A.G. Italiana, si è diffusamente difeso, come si rileva dalla lettura dei relativi verbali illustrando le ragioni per cui doveva ritenersi estraneo alle condotte di riciclaggio ed ha espressamente prestato il suo consenso a che i due interrogatori venissero trasmessi all’ autorità italiana”, precisando che risultava rispettato il presupposto indefettibile della previa contestazione a suo carico in sede di interrogatorio dei fatti addebitati e degli elementi di prova a suo carico, come peraltro dimostrato anche dalle difese rese dal S., in fase cautelare, allorquando lo stesso aveva dichiarato di avere contribuito all’ accertamento dei fatti, con conseguente insussistenza del rischio di inquinamento probatorio.

2.3. Ritiene questa Corte che tali conclusioni non appaiono condivisibili.

Come correttamente contestato dalla difesa: all’ epoca degli interrogatori il S. non aveva avuto dagli uffici competenti alcuna notizia di indagini a suo carico in territorio italiano;  in territorio svizzero lo stesso era stato sentito su fatti contestati solo in parte coincidenti conquelli dell’ indagine italiana; gli interrogatori non sono stati eseguiti su richiesta rogatoriale dell’autorita giudiziaria dell’ Italia; le richieste di assistenza giudiziaria in data 10 Ottobre 2012 e 25 ottobre 2012 hanno riguardato il sequestro di documentazione bancaria ed, in generale, attività di perquisizione e sequestro nei confronti degli indagati senza alcun riferimento all’ audizione del S..

Ciò premesso non può revocarsi in dubbio che allorquando l’odierno ricorrente venne sentito in occasione dei due menzionati interrogatori non ebbe ad instaurarsi alcun adeguato contraddittorio preventivo nei sui confronti propedeutico alla celebrazione del rito immediato c.d. ordinario.

Va osservato che, come precisato da S.U. 42979/2014, “secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale e la prevalente dottrina, la nozione di evidenza della prova, contenuta nell’art. 453, comma 1, cod. proc. pen., ha una sua precisa valenza semantica che deve essere ricostruita in base alla peculiarità del giudizio immediato senza possibilità di mutuare il suo significato dagli altri istituti processuali (artt. 129, 389, 422 cod. proc. pen.) che richiamano la medesima dizione. Essa qualifica l’indagine condotta dal pubblico ministero e riguarda tutti gli atti delle indagini preliminari e non soltanto le prove utilizzabili in dibattimento, che potrebbero non essere affatto acquisite. L’evidenza probatoria si traduce in una prognosi sulla sostenibilità in giudizio dell’accusa e deve essere tale da consentire di escludere che il contraddittorio fra le parti possa indurre il giudice dell’udienza preliminare a pronunciare una sentenza di non luogo a procedere (Sez. U, n. 22 del 06/12/1991, dep. 1992, omissis. Rv. 19247-9; Corte cost., ordd. nn. 276 del 1995 e 182 del 1992). La sussistenza di elementi di tale pregnanza da escludere la necessità di sottoposizione alla verifica dell’udienza preliminare spiega il fondamento logico-sistematico del giudizio immediato che prevede il passaggio alla fase dibattimentale senza la preventiva celebrazione della suddetta udienza. Il presupposto probatorio sin qui delineato si riflette inevitabilmente sugli altri due, cui è subordinata l’instaurazione del rito in questione. La formulazione del giudizio di evidenza della prova è possibile soltanto in presenza di una compiuta contestazione alla persona sottoposta alle indagini degli elementi di accusa raccolti nei suoi confronti, idonea a consentire il pieno esercizio del diritto di difesa mediante l’illustrazione delle proprie discolpe”

Nella citata pronunzia le S.U. hanno, ancora, evidenziato come: “Il previo interrogatorio della persona sottoposta alle indagini o, comunque, la contestazione dell’accusa con l’invito a comparire emesso nelle forme indicate nell’art. 375, comma 3, cod. proc. pen. è indispensabile per porre la persona in condizione di esporre la sua versione, fornire le sue discolpe, adottare le più opportune iniziative defensionali, interloquire sulla natura, evidente o meno, delle prove, contrastare la richiesta di emissione del decreto di giudizio immediato e la sua eventuale adozione. Il contraddittorio effettivo (o, quanto meno, la possibilità dello stesso) in ordine all’esito delle investigazioni svolte dal pubblico ministero rappresenta un passaggio procedimentale ineludibile per la formulazione del giudizio di evidenza della prova, implicante, come già detto, un apprezzamento di superfluità dell’udienza preliminare’.

Appare, poi, opportuno richiamare quanto sottolineato dalla Corte Costituzionale con la pronunzia n. 203/2002 in cui si è rilevato che il pubblico ministero può avanzare istanza di giudizio immediato solamente “se la persona sottoposta alle indagini sia stata interrogata sui fatti da cui emerge l’evidenza della prova, ovvero se – a seguito di invito a presentarsi emesso a norma dell’art. 375, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen. e contenente, oltre la sommaria enunciazione del fatto risultante dalle indagini compiute, l’indicazione degli elementi e delle fonti da cui risulta l’evidenza della prova e l’avvertimento che potrà essere presentata richiesta di giudizio immediato – la persona indagata non sia comparsa, sempre che non abbia addotto un legittimo impedimento o non sia irreperibile” ulteriormente aggiungendosi che ai fini della contestazione del fatto, le suddette garanzie “sono sostanzialmente analoghe a quelle contenute nell’avviso della conclusione delle indagini preliminari, l’unica differenza essendo riscontrabile nel deposito della documentazione delle indagini espletate, previsto dall’art. 415-bis, comma 2, cod. proc. pen., al quale peraltro fa riscontro, ove si ponga mente alla specificità del giudizio immediato, la contestazione verbale degli elementi e delle fonti su cui si basa l’evidenza della prova, richiamata dagli artt. 453 e 375, comma 3, cod. proc. pen.” ed, inoltre, che “a seguito dell’interrogatorio svolto con l’osservanza di tali forme, la persona sottoposta alle indagini, al fine di contestare l’evidenza della prova e, quindi, di evitare di essere tratta a giudizio, è posta in condizione di esercitare le più opportune iniziative defensionali previste in via generale nel corso delle indagini preliminari, dalla presentazione di memorie e richieste scritte al pubblico ministero alle attività di sollecitazione probatoria e alle investigazioni difensive”.

Muovendo da tali principi appare, dunque, chiaro che la formulazione del giudizio di evidenza della prova è possibile solamente ove sia intervenuta una compiuta e piena contestazione alla persona sottoposta alle indagini degli elementi di accusa raccolti nei suoi confronti tale da assicurare il pieno esercizio del diritto di difesa mediante l’illustrazione degli elementi a propria discolpa, da ciò derivando che l’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini o, comunque, la rituale previa contestazione degli addebiti e la fissazione dei termini per l’introduzione del giudizio sono funzionali ad un corretto accertamento dell’evidenza probatoria.

Nel caso in esame deve convenirsi con l’affermazione del ricorrente secondo cui lo stesso, il quale pacificamente non ha ricevuto in relazione al procedimento de quo alcun invito a comparire, non era conoscenza delle fonti e degli elementi di prova a suo carico prima della emissione della richiesta di giudizio immediato intervenuta in data 8 aprile 2013, risultando chiaro, quindi, che quando venne sentito dall’ autorità svizzera non conosceva né l’esatta contestazione a suo carico oggetto dell’odierno procedimento né le specifiche fonti di prova a suo carico.

In tale contesto, risultando di tutta evidenza la violazione dei diritti di difesa dell’imputato, a nulla rileva la circostanza che lo stesso acconsentì alla trasmissione dei suoi interrogatori resi in Svizzera alla autorità giudiziaria italiana non potendosi attribuire a tale condotta alcun effetto sanante così come non può, in sé, rilevare, in ragione della rilevata indefettibile necessità di un concreto e pieno contraddittorio preventivo sulla specifica tematica dell’evidenza della prova, il fatto che, successivamente, nel corso della fase cautelare il S. abbia negato la sussistenza del rischio di inquinamento probatorio in ragione del contributo offerto e ciò a fronte di una nullità verificatasi ed eccepita tempestivamente.

3. In accoglimento del primo motivo del ricorso va, pertanto, disposto l’annullamento senza rinvio delle sentenze di primo e secondo grado con trasmissione gli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano per l’ulteriore corso.

P.Q.M.

annulla senza rinvio le sentenze di primo e secondo grado e dispone trasmettersi gli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano per l’ulteriore corso.

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