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È sufficiente l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio per dichiarare l’assenza dell’indagato?

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Cass. pen., sez. VI, 06/03/2024 (ud. 06/03/2024, dep. 02/05/2024), n. 17510 (Pres. Ricciarelli, Rel. D’Arcangelo)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se, ai fini della dichiarazione di assenza, possa considerarsi presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio, da parte dell’indagato.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Bologna confermava una sentenza di condanna emessa dal Tribunale della medesima città nei confronti di una persona imputata per il delitto di evasione, condannandola al pagamento delle spese processuali.

Ciò posto, avverso questa decisione la difesa dell’accusato proponeva ricorso per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, costei deduceva l’invalidità della notifica all’imputato del decreto di citazione diretta a giudizio ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., assumendo che, essendo all’epoca l’imputato detenuto per altra causa, la notifica avrebbe dovuto essere eseguita presso il luogo di detenzione.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva il motivo suesposto fondato alla stregua di quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, ai fini della dichiarazione di assenza non può considerarsi presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio, da parte dell’indagato, dovendo il giudice, in ogni caso, verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata l’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia avuto conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla stessa (Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019).

Orbene, per la Corte di legittimità, nel caso di specie, non vi era alcuna prova che si fosse instaurato un rapporto professionale tra l’imputato e il difensore legale domiciliatario, che aveva rinunciato al mandato difensivo il giorno successivo alla ricezione della notifica del decreto di citazione a giudizio, così come parimenti non constava alcun elemento dal quale potesse inferirsi che l’imputato si fosse sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento.

I risvolti applicativi

La semplice elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio non basta per dichiarare l’assenza dell’indagato.

Il giudice, difatti, deve sempre verificare se c’è stato un effettivo rapporto professionale tra il legale e l’indagato, che dimostri che quest’ultimo abbia avuto conoscenza del procedimento o si sia volontariamente sottratto ad esso.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 6 Num. 17510 Anno 2024

Presidente: RICCIARELLI MASSIMO

Relatore: D’ARCANGELO FABRIZIO

Data Udienza: 06/03/2024

Data Deposito: 02/05/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da

C. H., nato in … il …;

avverso la sentenza del 21 ottobre 2022 emessa dalla Corte di appello di Bologna;

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D’Arcangelo;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Raffaele Piccirillo, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Bologna in data 19 luglio 2018 nei confronti di H. C. per il delitto di evasione commesso in data 21 agosto 2016 e ha condannato l’imputato appellante al pagamento delle spese processuali.

2. L’avvocato A. G., nell’interesse dell’imputato, ha presentato ricorso avverso tale sentenza e ne ha chiesto l’annullamento.

2.1. Con il primo motivo il difensore ha censurato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. l’invalidità della notifica all’imputato del decreto di citazione diretta a giudizio ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., assumendo che, essendo all’epoca l’imputato detenuto per altra causa, la notifica avrebbe dovuto essere eseguita presso il luogo di detenzione.

L’imputato, del resto, avrebbe avuto effettiva conoscenza della pendenza del presente procedimento solo per effetto della ricezione della notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello.

Il C., dunque, non sarebbe stato assente nel giudizio di primo grado, come illegittimamente dichiarato dal Tribunale di Bologna, ma sarebbe stato impossibilitato a comparire, in quanto detenuto dal 23 marzo 2018 presso la Casa circondariale di Modena e poi trasferito alla Casa di reclusione di Porto Azzurro.

Il difensore ha rilevato che questa eccezione è stata già proposta alla Corte di appello, nella memoria depositata in data 21 marzo 2022 e che la Corte non ha motivato sul punto.

2.2. Con il secondo motivo, connesso al primo, il difensore censura l’omissione della motivazione della Corte di appello in ordine alla certificazione storica del DAP prodotta, che attesta l’ininterrotta detenzione del C. dal 25 marzo 2018 al 01 aprile 2021.

3. Non essendo stata richiesta la trattazione orale del procedimento, il ricorso è stato trattato con procedura scritta.

Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 15 febbraio 2024, il Procuratore generale, nella persona di Raffaele Piccirillo, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere accolto nei limiti che di seguito si precisano.

2. Con il primo motivo il difensore censura, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. l’invalidità della notifica all’imputato del decreto di citazione diretta a giudizio ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. 3. Il motivo è fondato.

Dall’esame degli atti processuali (ammesso allorché sia dedotto, mediante ricorso per cassazione, un error in procedendo ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. da Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, omissis, Rv. 220092-01) risulta che nel verbale di identificazione del 19 luglio 2017 l’imputato ha eletto domicilio presso lo studio del proprio difensore di fiducia A. C. e che in data 17 gennaio 2018 ha ricevuto la notifica del decreto di citazione a giudizio presso lo stesso.

In data 18 gennaio 2018, tuttavia, l’avvocato A. C.  ha depositato rinuncia alla difesa del C. e ha contestualmente manifestato la volontà di non accettare atti processuali destinati all’imputato presso il proprio studio.

In data 26 marzo 2018, il Tribunale di Bologna ha nominato quale difensore di ufficio dell’imputato l’avvocato N. U., che ha difeso l’imputato nel corso del giudizio di primo grado.

Il Tribunale di Bologna, dunque, nel procedere in absentia nei confronti dell’imputato ha accertato esclusivamente la validità “formale” della notifica eseguita presso il difensore di fiducia, ma non ha accertato l’idoneità della stessa a conseguire l’effettiva conoscenza della pendenza del processo e dell’accusa da parte dell’imputato.

Secondo le Sezioni unite di questa Corte, infatti, ai fini della dichiarazione di assenza non può considerarsi presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio, da parte dell’indagato, dovendo il giudice, in ogni caso, verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata l’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia avuto conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla stessa (Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019 (dep. 2020), omissis, Rv. 279420 — 01).

Nel caso di specie non vi è alcuna prova che si sia instaurato un rapporto professionale tra l’imputato e il difensore legale domiciliatario, che ha rinunciato al mandato difensivo il giorno successivo alla ricezione della notifica del decreto di citazione a giudizio.

Parimenti non consta alcun elemento dal quale possa inferirsi che l’imputato si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento.

4. Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, in quanto il reato per il quale si procede si è prescritto.

Il termine massimo di sette anni e sei mesi per il reato di evasione commesso in data 21 agosto 2016 si è, infatti, perfezionato in 21 febbraio 2024, in quanto non vi sono state nel corso del giudizio cause di sospensione della prescrizione.

Dalla motivazione della sentenza di primo grado, del resto, non risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, secondo quanto previsto dall’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.

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