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Adeguatezza di un programma di trattamento secondo l’art. 464-quater, co. 3, c.p.p.

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Cass. pen., sez. V, 17/03/2023 (ud. 17/03/2023, dep. 14/04/2023), n. 16083 (Pres. De Marzo, Rel. Cuoco)

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 464-quater, co. 3)

Indice

La questione giuridica

Fermo restando che, come è noto, l’art. 464-quater, co. 3, primo periodo, cod. proc. pen. dispone che la “sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta quando il giudice, in base ai parametri di cui all’articolo 133 del codice penale, reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati”, la Cassazione, nella pronuncia qui in esame, è stata chiamata a stabilire quando tale programma possa ritenersi adeguato.

Difatti, nel procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento, a fronte del fatto che la Corte di Appello di Palermo confermava una sentenza di condanna emessa dal giudice di primo grado per un caso di furto pluriaggravato, avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione la difesa dell’imputato che, tra i motivi ivi addotti, censurava il rigetto della richiesta di messa alla prova proposta dall’imputato fondato, secondo la difesa, su un’erronea interpretazione degli artt. 168-bis cod. pen. e 464-bis cod. proc. pen. in relazione alla ritenuta necessità, ai fini del riconoscimento del beneficio, di un risarcimento dei danni causati, peraltro in misura integrale e correlato ad un pregiudizio unilateralmente determinato dall’ente fornitore del servizio, tanto più se si considera che tale circostanza, invece, non costituirebbe una condizione di ammissibilità, bensì un contenuto (peraltro eventuale) del programma di trattamento.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Suprema Corte, nel ritenere la censura suesposta infondata, rilevava innanzitutto che la sospensione del procedimento con messa alla prova è una modalità alternativa di definizione del processo che permette all’imputato (o anche all’indagato) di estinguere il reato attraverso il compimento di condotte ripristinatorie o risarcitorie e l’affidamento al servizio sociale, deducendo al contempo che il riconoscimento del beneficio non rappresenta un diritto incondizionato, atteso che la relativa richiesta può trovare accoglimento solo nel caso in cui il giudice al quale viene rivolta, all’esito di un percorso valutativo discrezionale da effettuare alla luce dei parametri fissati dall’art. 133 cod. pen., reputi idoneo il trattamento presentato e ritenga che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati, come espressamente previsto dall’art. 464-quater, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 7983 del 26/10/2015).

Ciò posto, venendo al merito della questione giuridica summenzionata, gli Ermellini chiarivano altresì che l’adeguatezza del programma deve essere indagata sia sotto il profilo della sua “coerenza” (con la gravità, oggettiva e soggettiva, del fatto: Sez. 2, n. 34878 del 13/06/2019), sia sotto il profilo dell’essere esso stesso espressione dell’apprezzabilità dello sforzo sostenuto dall’imputato per elidere le conseguenze dannose o pericolose del reato e risarcire il danno cagionato in dipendenza delle condotte da lui stesso poste in essere e, pertanto, in questi termini deve essere interpretato l’inciso “ove possibile”, contenuto nel comma 2 dell’art. 168-bis cod. pen.: il risarcimento del danno deve corrispondere, appunto “ove possibile”, al pregiudizio patrimoniale arrecato alla vittima o, comunque, allo sforzo “massimo” esigibile dall’imputato alla luce delle sue condizioni economiche (Sez. 2, n. 34878 del 13/06/2019).

Cosicché, per la Corte di legittimità, a fronte della manifesta “sproporzione” tra il danno patrimoniale cagionato e l’offerta risarcitoria, al fine di verificare che la concreta entità del risarcimento offerto sia effettiva e reale espressione di uno sforzo apprezzabile dell’imputato, il giudice potrà attivare i poteri di indagine riconosciuti dalla norma richiamata (Sez. 2 n. 34878 del 13/06/2019), ma potrà (e dovrà) al contempo attivarli solo ove residuino aree di indagine suscettibili di approfondimento.

Cosicché, ove il giudice ritenga che la valutazione sistematica delle risultanze istruttorie sia di per sé sufficiente ad apprezzare (in un senso o nell’altro) l’adeguatezza del risarcimento offerto, l’esercizio di tali poteri non sarà più necessario, residuando solo uno specifico onere di adeguata motivazione del percorso argomentativo seguito.

I risvolti applicativi

In materia di messa alla prova, l’adeguatezza del programma di trattamento deve essere indagata sia sotto il profilo della sua “coerenza” (con la gravità, oggettiva e soggettiva, del fatto), sia sotto il profilo dell’essere esso stesso espressione dell’apprezzabilità dello sforzo sostenuto dall’imputato per elidere le conseguenze dannose o pericolose del reato e risarcire il danno cagionato in dipendenza delle condotte da lui stesso poste in essere.

Sulla base di tali profili, si può valutare se il programma di trattamento possa considerarsi idoneo (o meno) a norma dell’art. 464-quater, co. 3, cod. proc. pen..

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 5 Num. 16083 Anno 2023

Presidente: DE MARZO GIUSEPPE

Relatore: CUOCO MICHELE

Data Udienza: 17/03/2023

Data Deposito: 14/04/2023

SENTENZA

sul ricorso proposto da

N. A., nato a …, il …;

avverso la sentenza del 22 settembre 2021, della Corte d’appello di Palermo;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

sentita la relazione svolta dal consigliere MICHELE CUOCO;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale PERLA LORI, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;

letta la memoria del 6 marzo 2023, depositata dall’avv. D. G., nell’interesse del ricorrente

RITENUTO IN FATTO

Oggetto dell’impugnazione è la sentenza con la quale la Corte d’appello di Palermo, confermando la condanna pronunciata in primo grado (riformata solo quanto al riconoscimento del beneficio della non menzione), ha ritenuto A. N. responsabile del delitto di furto pluriaggravato di energia elettrica.

Il ricorso, proposto nell’interesse dell’imputato, si compone di tre motivi, formulati sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione.

Con il primo, in particolare, si censura il rigetto della richiesta di messa alla prova proposta dall’imputato, fondato, secondo la difesa, su un’erronea interpretazione degli artt. 168-bis cod. pen. e 464-bis cod. proc. pen. in relazione alla ritenuta necessità, ai fini del riconoscimento del beneficio, di un risarcimento dei danni causati, peraltro in misura integrale e correlato ad un pregiudizio unilateralmente determinato dall’ente fornitore del servizio.

Circostanza che, invece, non costituirebbe una condizione di ammissibilità, bensì un contenuto (peraltro eventuale) del programma di trattamento.

Il secondo motivo attiene al profilo della ritenuta responsabilità e deduce l’omessa valutazione di circostanze asseritamente rilevanti, quali l’allocazione e la facile fruibilità del contatore, nonché l’illegittima valorizzazione, quale elemento di riscontro alla prospettazione accusatoria, di un elemento in sé neutro, rappresentato dalla legittima scelta processuale dell’imputato di rimanere silente nel corso del suo interrogatorio di garanzia.

Il terzo, in ultimo, censura la ritenuta sussistenza dell’aggravante del mezzo fraudolento e l’eccessività del trattamento sanzionatorio, viziato, secondo la difesa, da un immotivato diniego delle circostanze attenuanti generiche in termini di prevalenza rispetto alle contestate aggravanti e da un infondato disconoscimento dell’attenuante di cui al n. 4 dell’art. 62 del codice penale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è infondato.

La sospensione del procedimento con messa alla prova è una modalità alternativa di definizione del processo che permette all’imputato (o anche all’indagato) di estinguere il reato attraverso il compimento di condotte ripristinatorie o risarcitorie e l’affidamento al servizio sociale.

Il riconoscimento del beneficio non rappresenta un diritto incondizionato, atteso che la relativa richiesta può trovare accoglimento solo nel caso in cui il giudice al quale viene rivolta, all’esito di un percorso valutativo discrezionale da effettuare alla luce dei parametri fissati dall’art. 133 cod. pen., reputi idoneo il trattamento presentato e ritenga che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati, come espressamente previsto dall’art. 464-quater, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 7983 del 26/10/2015, dep. 2016, omissis, Rv. 266256 – 0).

L’adeguatezza del programma, in particolare, deve essere indagata sia sotto il profilo della sua “coerenza” (con la gravità, oggettiva e soggettiva, del fatto: Sez. 2, n. 34878 del 13/06/2019, omissis, Rv. 277070 – 01), sia sotto il profilo dell’essere esso stesso espressione dell’apprezzabilità dello sforzo sostenuto dall’imputato per elidere le conseguenze dannose o pericolose del reato e risarcire il danno cagionato in dipendenza delle condotte da lui stesso poste in essere.

In questi termini deve essere interpretato l’inciso “ove possibile”, contenuto nel comma 2 dell’art. 168-bis cod. pen.: il risarcimento del danno deve corrispondere, appunto “ove possibile”, al pregiudizio patrimoniale arrecato alla vittima o, comunque, allo sforzo “massimo” esigibile dall’imputato alla luce delle sue condizioni economiche (Sez. 2, n. 34878 del 13/06/2019 cit.).

Cosicché, a fronte della manifesta “sproporzione” tra il danno patrimoniale cagionato e l’offerta risarcitoria, al fine di verificare che la concreta entità del risarcimento offerto sia effettiva e reale espressione di uno sforzo apprezzabile dell’imputato, il giudice potrà attivare i poteri di indagine riconosciuti dalla norma richiamata (Sez. 2 n. 34878 del 13/06/2019, cit., in motivazione). Ma potrà (e dovrà) attivarli solo ove residuino aree di indagine suscettibili di approfondimento. Cosicché, ove il giudice ritenga che la valutazione sistematica delle risultanze istruttorie sia di per sé sufficiente ad apprezzare (in un senso o nell’altro) l’adeguatezza del risarcimento offerto, l’esercizio di tali poteri non sarà più necessario, residuando solo uno specifico onere di adeguata motivazione del percorso argomentativo seguito.

Ed è quanto in concreto è avvenuto. Il giudice, pur senza attivare i suoi poteri istruttori, ha comunque ritenuto il risarcimento offerto “inadeguato”, in quanto non coerente con la sua effettiva capacità economica. Una capacità logicamente desunta dal valore dei beni strumentali utilizzati, dagli stessi consumi di energia calcolati (la cui entità viene contestata in ricorso in termini di assoluta genericità) e, quindi, dai complessivi capitali investiti nello svolgimento dell’attività imprenditoriale e dall’incoerenza del risarcimento offerto (prima mille e poi duemila euro) rispetto ad una precedente proposta transattiva formulata dallo stesso imputato in favore dell’ente erogatore (per cinquemila euro). Si tratta di elementi rispetto ai quali il mero dato formale della dichiarazione reddituale, proveniente dallo stesso imputato (sulla quale poi si fonda anche la successiva ammissione al patrocinio a spese dello Stato) appare evidentemente recessivo. E tanto dà conto dell’infondatezza del motivo.

2. Il secondo motivo è, invece, manifestamente infondato ed il terzo inammissibile. Sotto il profilo contestato dal ricorrente, i giudici di merito hanno dato atto che l’imputato era l’unico soggetto presente nel corso della verifica e, in quanto titolare dell’impresa a lui intestata, unico fruitore dell’energia. Il misuratore, collocato in un luogo ad agevole possibilità di controllo, non poteva essere manomesso da un soggetto estraneo; comunque, sotto un profilo generale, era contrario ad ogni logica che altri avesse, di propria iniziativa, inteso manomettere fraudolentemente il misuratore, “in danno” di un “ignaro” beneficiario, titolare dell’impresa. La motivazione è logica e coerente con i dati processuali richiamati e, in quanto tale, insindacabile in sede di legittimità.

In questo contesto, la Corte territoriale valorizza il silenzio serbato dal ricorrente nel corso del suo interrogatorio non come elemento a carico, ma solo come espressivo dell’assenza di elementi, provenienti dall’imputato, idonei a scardinare l’univocità delle risultanze probatorie altrimenti acquisite, attraverso l’emersione di indicatori di un dubbio ragionevole sulla colpevolezza. Infatti, va

ribadito che il dubbio ragionevole di cui all’art. 530, primo comma, cod. proc. pen. deve identificarsi in una ricostruzione della vicenda non solo astrattamente ipotizzabile in rerum natura, ma la cui plausibilità nella fattispecie concreta risulti ancorata alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. È dunque necessario che il dubbio ragionevole risponda non solo a criteri dotati di intrinseca razionalità, ma sia suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 – dep. 03/04/2018, omissis, Rv. 272430), non potendo il dubbio fondarsi su un’ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile (Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, P. Rv. 281647 – 04).

Quanto alla sussistenza dell’aggravante del mezzo fraudolento, è sufficiente ribadire quanto già precisato da questa Corte, in altre, analoghe, fattispecie. Il “mezzo fraudolento”, nel furto, si identifica in qualsiasi azione dotata di marcata efficienza offensiva e caratterizzata da insidiosità, astuzia, scaltrezza, idonea, quindi, a sorprendere la contraria volontà del detentore e a vanificare le misure che questi ha apprestato a difesa dei beni di cui ha la disponibilità (Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, omissis, Rv. 255974; Sez. 5, n. 32847 del 03/04/2019, omissis, Rv. 276924-01; Sez. 4, n. 8128 del 31/01/2019, omissis, Rv. 275215-02).

In questi termini, la collocazione di un magnete sul misuratore dei consumi, al fine di alterarne la registrazione, integra la predetta circostanza aggravante, in quanto espediente o malizioso accorgimento diretto a superare la naturale custodia e protezione predisposta dall’ente fornitore (Sez. 5, n. 19937 del 15/04/2021, Rv. 281108; Sez. 5, n. 48360 del 20/11/2019; Sez. 5, n. 11201 del 26/10/2018, Sez. 5, n. 27926 del 22/02/2018, tutte non massimate).

Ad identiche conclusioni si giunge in relazione all’invocata attenuante (attesa l’oggettiva entità del danno arrecato all’ente erogatore, da valutarsi non già in ragione dei singoli prelievi, ma in funzione del complessivo quantitativo di energia sottratto: Sez. 4, n. 18485 del 23/01/2009, Rv. 243977) e al censurato giudizio di comparazione tra le circostanze (che, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfugge al sindacato di legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretto da sufficiente motivazione, tale dovendosi ritenere quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto: Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, omissis, Rv. 2459319).

La contestazione dell’aggravante di cui al n. 7 del primo comma dell’art. 625 cod. pen. (essendo il fatto stato commesso su cose destinate a pubblico servizio o pubblica utilità) rende il reato procedibile d’ufficio anche all’esito delle modifiche introdotte dal d.lgs. n.150 del 2022.

3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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