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Quando si applica la circostanza attenuante speciale della collaborazione di cui all’art. 12, comma 3-quinquies, T.U. imm.?

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Cass. pen., sez. I, 30/01/2024 (ud. 30/01/2024, dep. 23/05/2024), n. 20527 (Pres. Boni, Rel. Centofanti)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava quando si applica la circostanza attenuante speciale della collaborazione, secondo l’art. 12, comma 3-quinquies, d.lgs, 25/07/1998, n. 286 che, come è noto, stabilisce quanto segue: “Per i delitti previsti dai commi precedenti le pene sono diminuite fino alla metà nei confronti dell’imputato che si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l’individuazione o la cattura di uno o più autori di reati e per la sottrazione di risorse rilevanti alla consumazione dei delitti”.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Assise di Appello di Milano confermava la penale responsabilità di un imputato in ordine al reato di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di migranti, nonché in ordine ai reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, aggravati questi ultimi dal numero dei concorrenti superiore a tre e dal fine di profitto, oltre che la misura della pena principale inflitta, previa continuazione tra i reati e all’esito del rito abbreviato, dal giudice di primo grado, pari complessivamente a due anni e dieci mesi di reclusione e 18.000 euro di multa.

Ciò posto, avverso questa decisione il difensore dell’accusato ricorreva per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, costui deduceva violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante della collaborazione con la giustizia ex art. 12, comma 3-quinquies, T.U. imm., avendo offerto il ricorrente un contributo reale ed utile alle indagini, in funzione della ricostruzione dei fatti e dell’individuazione degli autori e in rapporto alle cognizioni da lui possedute, a torto misconosciuto.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva il motivo suesposto infondato alla stregua di quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, rispetto al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, al fine del riconoscimento della circostanza attenuante ad effetto speciale della collaborazione, prevista dall’art. 12, comma 3-quinquies, T.U. imm, è necessario che l’imputato offra, compatibilmente con il suo bagaglio di conoscenze, una collaborazione reale e utile alle indagini svolte per la ricostruzione dei fatti e per la punizione degli autori dei delitti, a partire pur sempre dalla sua ammissione di responsabilità e dall’assunzione di un atteggiamento di almeno formale resipiscenza (Sez. 1, n. 2203 del 14/11/2017; Sez. 1, n. 6296 del 01/12/2009).

I risvolti applicativi

Per ottenere il riconoscimento della circostanza attenuante ad effetto speciale della collaborazione, secondo l’articolo 12, comma 3-quinquies del Testo Unico sull’Immigrazione, l’imputato deve fornire una collaborazione effettiva e utile alle indagini per la ricostruzione dei fatti e per punire gli autori dei delitti, e ciò comporta l’ammissione di responsabilità e l’adozione di un atteggiamento di almeno formale pentimento.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 1 Num. 20527 Anno 2024

Presidente: BONI MONICA

Relatore: CENTOFANTI FRANCESCO

Data Udienza: 30/01/2024

Data Deposito: 23/05/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da

S. E. C., nato in … il …

avverso la sentenza del 12/04/2023 della Corte di assise di appello di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Francesco Centofanti;

lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mariaemanuela Guerra, che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;

lette le conclusioni del difensore dell’imputato, avvocato V. L., che ha chiesto il rinvio della trattazione del processo;

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di assise di appello di Milano ha ribadito la penale responsabilità di E. C. S. in ordine al reato di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di migranti, contestato al capo A) della rubrica, nonché in ordine ai reati di favoreggiamento

dell’immigrazione clandestina, contestati ai capi Al) e A9), aggravati questi ultimi dal numero dei concorrenti superiore a tre e dal fine di profitto.

La Corte di assise appello ha altresì confermato la misura della pena principale inflitta, previa continuazione tra i reati e all’esito del rito abbreviato, dal giudice di primo grado, pari complessivamente a due anni e dieci mesi di reclusione e 18.000 euro di multa.

2. I fatti accertati si riferiscono al trasporto organizzato illegale di migranti, provenienti dal Centro Africa e diretti in Europa. L’Italia era Paese di transito.

I membri dell’organizzazione criminale operavano con una precisa distribuzione di ruoli, occupandosi, i capi e promotori, di individuare e reclutare gli stranieri da trasferire irregolarmente, di pianificare i trasbordi, di imporre il prezzo e di impartire direttive ai facilitatori, mentre gli altri aderenti agivano in quest’ultima veste, prenotando i viaggi su piattaforma informatica e garantendo nelle more ai migranti provvisoria sistemazione alloggiativa, procacciando loro documenti fittizi e munendoli all’occorrenza di carte di credito clonate.

L’imputato, intraneo al sodalizio, aveva svolto tali precisi compiti in occasione dei trasferimenti oggetto dei reati fine a lui specificamente contestati.

Gli elementi di prova a carico erano rappresentati da intercettazioni telefoniche, da dichiarazioni testimoniali provenienti da taluni degli autisti e dei migranti coinvolti, da servizi di osservazione diretta operati dalla polizia giudiziaria.

3. E. C. S. ricorre per cassazione avverso la sentenza di secondo grado, con il ministero del difensore di fiducia, avvocato V. L..

Il ricorso è articolato in sette motivi.

4. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione della legge processuale e mancata assunzione di prova decisiva.

L’imputato aveva chiesto che il processo a suo carico fosse definito con il rito abbreviato, condizionato all’effettuazione di perizia diretta alla trascrizione delle registrazioni telefoniche, in atti riprodotte (in tesi) in modo parzialmente contraddittorio e determinanti ai fini della prova. Solo in subordine aveva chiesto che si procedesse nelle forme dell’abbreviato puro.

Il G.u.p. aveva rigettato la prima richiesta e accolto la seconda, ma così deliberando aveva mancato di dare corso ad un’integrazione probatoria di assoluta importanza, con ricadute sulla tenuta del giudizio di penale responsabilità.

5. Con il secondo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità sul reato associativo.

Rammenta il ricorrente che l’elemento materiale di tale reato è integrato dall’organizzazione strutturale di uomini e mezzi, funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti. Sotto il profilo psicologico, l’associato deve agire nella consapevolezza di essere parte di un tale durevole sodalizio e deve essere disponibile ad operare per l’attuazione del relativo programma.

Questi ultimi elementi non sarebbero ravvisabili. L’imputato agiva in proprio sulla piattaforma informatica, quando sporadicamente ne era richiesto, spendendo il suo nome e utilizzando mezzi leciti di pagamento, e non aveva il minimo sentore di stare fornendo un contributo ad un’associazione criminale, né alcun intento di realizzarne il programma, essendo anche ignaro che i suoi connazionali fossero clandestini. Il suo nome non figurerebbe mai nelle intercettazioni aventi rilievo per l’integrazione del reato associativo. Neppure i contatti telefonici con gli altri presunti membri del sodalizio potevano ritenersi in tal senso significativi. Né egli era mai stato ritratto in loro compagnia o in quella dei migranti. Non era stato infine dimostrato che egli avesse tratto alcun profitto dall’organizzazione dei viaggi.

6. Con il terzo motivo (erroneamente numerato come quarto) il ricorrente deduce la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. in rapporto alle aggravanti relative al reato associativo.

Vi sarebbe difetto di correlazione tra accusa e sentenza, giacché, a fronte di contestazione dell’aggravante di cui al sesto comma dell’art. 416 cod. pen., la condanna farebbe riferimento all’aggravante di cui al comma quinto.

7. Con il quarto motivo (erroneamente numerato come terzo) il ricorrente deduce violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante della compartecipazione criminosa di minima importanza.

Esclusa l’affiliazione alla compagine di cui al capo A) per difetto di coscienza e volontà di appartenenza al sodalizio, la responsabilità dell’imputato potrebbe eventualmente residuare solo a titolo di concorso ex art. 110 cod. pen. nel reato continuato. La condotta concorsuale si configurerebbe, in tal caso, come di minima rilevanza ed efficienza causale. L’applicazione della corrispondente attenuante (art. 114, primo comma, cod. pen.) sarebbe stata ingiustamente negata.

8. Con il quinto motivo (erroneamente numerato come quarto) il ricorrente deduce vizio di motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità sui reati di cui ai capi Al) e A9).

L’imputato non avrebbe avuto la consapevolezza dello stato di clandestinità dei connazionali, in favore dei quali effettuava le prenotazioni informatiche. Egli riteneva che il suo intervento fosse richiesto solo in quanto costoro non possedevano carte prepagate per effettuare acquisti online.

Nel motivo si ribadisce che l’imputato accedeva al sito Internet con il proprio regolare account e usava correttamente propri strumenti di pagamento, venendo semplicemente rimborsato, senza lucrare dunque alcun profitto.

9. Con il sesto motivo (erroneamente numerato come quinto) il ricorrente deduce violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante della collaborazione con la giustizia ex art. 12, comma 3-quinquies, T.U. imm., avendo offerto un contributo reale ed utile alle indagini, in funzione della ricostruzione dei fatti e dell’individuazione degli autori e in rapporto alle cognizioni da lui possedute, a torto misconosciuto.

10. Con il settimo motivo (erroneamente numerato come sesto) il ricorrente deduce vizio di motivazione in ordine alla dosimetria della pena, tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2022, che imporrebbe di differenziare il trattamento sanzionatorio dei trafficanti da quello di quanti agiscano per finalità solidaristiche o secondo modalità comunque meno gravi.

11. La trattazione del ricorso è avvenuta in forma scritta, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176. Le parti hanno concluso come in epigrafe.

A sostegno della richiesta di rinvio della trattazione, in tali conclusioni articolata, la difesa ha richiamato l’intervenuta definizione del giudizio di primo grado a carico dei coimputati che avevano optato per la celebrazione del dibattimento. La Corte di assise, nel dispositivo pronunciato all’udienza dell’Il dicembre 2023, aveva escluso le aggravanti relative al reato associativo. Sarebbe pertanto necessario attendere la pubblicazione della decisione, onde prevenire un conflitto tra giudicati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La richiesta di rinvio della trattazione non può essere accolta, per molteplici ragioni.

Il segnalato conflitto tra giudicati è allo stato meramente ipotetico, posto che il processo celebrato con rito ordinario, concluso in primo grado con pronuncia in attesa di pubblicazione, è appunto ben lontano da una definizione irrevocabile.

L’accertamento ivi operato è fisiologicamente precario e in attesa di eventuale consolidamento.

Quand’anche il consolidamento intervenisse, il contrasto verterebbe su elementi accidentali del reato, ossia su elementi tali da far luogo, ove esclusi, soltanto alla condanna dell’imputato per un reato meno grave, e non già al suo proscioglimento. Un tale contrasto non sarebbe processualmente rilevante, perché inidoneo a fondare una domanda di revisione ai sensi degli artt. 630, comma 1, lett. a), e 631, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 18016 del 08/01/2019, omissis, Rv. 276080-02, e Sez. 6, n. 1751 del 14/09/2017, dep. 2018, omissis, Rv. 271966-01, qui richiamate anche nella parte in cui sanciscono la tenuta costituzionale e convenzionale di un tale assetto).

Non è infine inutile rimarcare che le aggravanti, allo stato escluse nel processo celebrato con rito ordinario, sono in questa sede investite da una censura di ordine solo formale, la cui deduzione è pregiudizialmente inammissibile secondo quanto si dirà infra al § 4.

2. Ciò premesso, il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Da un lato, infatti, all’imputato che, a seguito del rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato, abbia optato per il rito abbreviato puro è preclusa la possibilità di contestazione successiva della legittimità del provvedimento di rigetto, in quanto tale opzione è equiparabile al mancato rinnovo in limine litis, ai sensi dell’art. 438, comma 6, cod. proc. pen., della richiesta di accesso al rito alternativo previa assunzione di prove integrative (Sez. 2, n. 13368 del 27/02/2020, omissis, Rv. 278826-01; Sez. 1, n. 37244 del 13/11/2013, dep. 2014, omissis, Rv. 260532-01; Sez. 3, n. 27183 del 05/06/2009, omissis, Rv. 248477-01). Il principio vale anche nel caso in cui l’opzione sia effettuata contestualmente alla richiesta di abbreviato condizionato e per l’ipotesi in cui quest’ultima non venga accettata, come espressamente consentito dall’art. 438, comma 5-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103.

E d’altra parte, una volta avuto legittimo ingresso il giudizio abbreviato non condizionato, non è deducibile come motivo di ricorso per cassazione la mancata assunzione di una prova decisiva, al cui esercizio l’imputato ha rinunziato nel mentre ha acconsentito alla celebrazione del rito alternativo (da ultimo, Sez. 1, n. 3253 del 12/06/2018, dep. 2019, omissis, Rv. 276395-02).

3. Il secondo e il quinto motivo vanno trattati congiuntamente, sia per la parziale comunanza delle censure – tese a rimarcare la buona fede dell’imputato, la sua incoscienza della natura illegale dei viaggi e, a fortiori, l’inconsapevolezza del loro inserirsi in un più vasto programma criminale organizzato – sia perché l’odierno giudizio riflette paradigmaticamente una delle caratteristiche dei fenomeni di delinquenza associativa, ossia il fatto che il singolo delitto non viene in considerazione solo di per sé, ma anche come prova di altri delitti (Sez. 1, n. 41098 del 15/07/2011, omissis, Rv. 251171-01, § 1 del Considerato in diritto).

L’affermazione deve essere intesa nel senso che dalla consumazione di taluno dei reati fine è possibile desumere, a certe condizioni, la prova della partecipazione dell’agente al sodalizio e dell’integrazione, a suo carico, del reato associativo (Sez. 2, n. 5424 del 22/01/2010, omissis, Rv. 246441-01), nel cui scenario più nitidamente risaltano, e restano suggellate, le stesse condotte attuative.

3.1. La sentenza impugnata ricostruisce in modo impeccabile, con argomentazioni saldamente ancorate alle evidenze probatorie di cui in narrativa, rimaste sostanzialmente prive di censura, l’esistenza di un’organizzazione finalizzata al trasferimento illegale di soggetti, già illegalmente fatti affluire sul territorio milanese e di nazionalità per lo più camerunense, verso la Francia e altri Paesi dell’Europa centrale e settentrionale.

I membri dell’organizzazione operavano secondo modelli di comportamento standardizzati, che spaziavano dal reclutamento dei migranti ad una pianificata e ben remunerata assistenza, includente la fornitura di false generalità e fraudolenti strumenti di pagamento, nonché l’acquisto dei titoli di viaggio che avveniva anche mediante servizi di car sha ring.

3.2. A tale preciso modello rispondono le condotte individualmente ascritte a S.. Dalle conversazioni telefoniche intercettate, esaustivamente illustrate già nella sentenza di primo grado, emerge che l’imputato, mosso da ragioni di lucro, contribuì a far partire due immigrati irregolari verso la Francia, dopo aver prenotato e pagato il viaggio, materialmente effettuato da ignaro autista, sul noto portale «…»; il suo intervento diretto si rese necessario dopo il fallimento di un primo tentativo di trasbordo realizzato da altri sodali. In una seconda occasione, l’imputo procurò, con analoghe modalità, l’ingresso in Svizzera di altro migrante che non aveva titolo per entrarvi, dopo averlo rifornito di falsi documenti e di carte di credito clonate.

Tale ricostruzione degli accadimenti, perfettamente aderenti alle fattispecie contestate nei capi A1) e A9), è in ricorso avversata in termini generici e di puro fatto, mentre la motivazione a sostegno della riconosciuta colpevolezza è sorretta da adeguata ricognizione del materiale probatorio e da convincente rilevazione dell’elemento psicologico, svelato peraltro, oltre ogni ragionevole dubbio, dalle modalità accessorie delle condotte.

3.3. Quanto al collegamento tra queste ultime e il ruolo associativo, va appunto rimarcato e ribadito che l’appartenenza di un soggetto al sodalizio criminale può essere ritenuta anche in base alla partecipazione a uno o più reati fine, laddove il compito svolto e le modalità dell’azione siano tali da evidenziare la sussistenza del vincolo (Sez. 1, n. 29093 del 24/05/2022, omissis, Rv. 283311-01; Sez. 5, n. 6446 del 22/12/2014, dep. 2015, omissis, Rv. 262662-01; Sez. 1, n. 6308 del 20/01/2010, omissis, Rv. 246115-01).

E’ questa la conclusione cui giunge la sentenza impugnata, che resiste alle reiterative obiezioni mosse al riguardo e supera il vaglio di legittimità.

Le risultanze processuali delineano, in effetti, un quadro eloquente, caratterizzato dalla facilità e continuità di rapporti con i correi, strettamente funzionale alla messa in atto di una più vasta progettualità, ex ante impostata. Il preciso e ripetitivo ruolo che l’imputato svolgeva nei traffici riflette, del resto, il suo consapevole inserimento in una tale pianificazione, riferibile ad un contesto organizzato di matrice criminale.

L’imputato gestiva gli account delle piattaforme multimediali sulle quali operava, pagava i viaggi e gli alloggi dei migranti, si occupava delle carte di credito clonate. Il suo era un ruolo strategico, attivabile al bisogno, il cui rilievo è possibile cogliere appieno solo riguardandolo in ottica associativa e in seno al relativo disegno.

3.4. I motivi in scrutinio devono giudicarsi infondati, alla stregua delle considerazioni che precedono.

4. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

La violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, riferita al regime delle aggravanti di cui al capo A), risulta infatti dedotta in termini assolutamente generici.

In ogni caso, essa integrerebbe una nullità a regime intermedio che, in quanto verificatasi in primo grado, poteva essere dedotta fino alla deliberazione della sentenza nel grado successivo, e non per la prima volta in sede di legittimità (tra le molte, Sez. 4, n. 19043 del 29/03/2017, omissis, Rv. 269886-01), come viceversa avvenuto.

5. Il quarto motivo è manifestamente infondato.

La circostanza attenuante della partecipazione di minima importanza non è compatibile con i reati associativi (Sez. 1, n. 7188 del 10/12/2020, dep. 2021, omissis, Rv. 280804-02; Sez. 2, n. 17879 del 13/03/2014, omissis, Rv. 260010-01; Sez. 2, n. 36538 del 21/09/2011, omissis, Rv. 251146-01) e postula, con riferimento ai reati concorsuali ulteriori, l’assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve rispetto all’evento da risultare trascurabile nell’economia generale dell’iter criminoso (Sez. 4, n. 49364 del 19/07/2018, P., Rv. 274037-01; Sez. 2, n. 835 del 18/12/2012, dep. 2013, omissis, Rv. 254051-01), che le risultanze processuali smentiscono in maniera categorica.

La sentenza impugnata appare sul punto ineccepibile.

6. Il sesto motivo è manifestamente infondato.

Rispetto al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, al fine del riconoscimento della circostanza attenuante ad effetto speciale della collaborazione, prevista dall’art. 12, comma 3-quinquies, T.U. imm, è necessario che l’imputato offra, compatibilmente con il suo bagaglio di conoscenze, una collaborazione reale e utile alle indagini svolte per la ricostruzione dei fatti e per la punizione degli autori dei delitti, a partire pur sempre dalla sua ammissione di responsabilità e dall’assunzione di un atteggiamento di almeno formale resipiscenza (Sez. 1, n. 2203 del 14/11/2017, dep. 2018, omissis, Rv. 272058-01; Sez. 1, n. 6296 del 01/12/2009, dep. 2010, omissis, Rv. 246104-01).

Alla luce della condotta processuale, totalmente scevra da tale caratteristiche, non si comprende come l’attenuante possa essere plausibilmente rivendicata.

7. Il settimo motivo, sull’entità della pena, è totalmente generico.

Non pertinente è il riferimento alla sentenza n. 63 del 2022 della Corte costituzionale, con la quale è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 12, comma 3, lett. d), T.U. imm. nella parte in cui prevede, come circostanza aggravante del reato di immigrazione clandestina, l’uso di mezzi internazionali di trasporto ovvero di documenti contraffatti, alterati o comunque illegalmente ottenuti.

Tali aggravanti non risultano infatti contestate, né per l’effetto ritenute, nell’odierno processo. Ne difettavano, infatti, le condizioni. I servizi di trasporto, che la norma caducata prendeva in considerazione, erano solo quelli di linea (Sez. 1, n. 12542 del 25/11/2014, dep. 2015, omissis, Rv. 263377-01), e i documenti contraffatti erano solo quelli, presentati all’Autorità consolare o di frontiera del Paese d’ingresso, a quest’ultimo direttamente strumentali (Sez. 1, n. 2285 del 15/12/2009, dep. 2010, omissis, Rv. 245964-01; Sez. 2, n. 40789 del 21/09/2004, omissis, Rv. 230256-01): Le relative circostanze non sono mai emerse.

8. Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

A tale esito consegue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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