Quando non è legittima la contestazione dell’aggravante ex art. 476, comma 2, c.p.?

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Cass. pen., sez. VI, 14/07/2025 (ud. 14/07/2025, dep. 26/08/2025), n. 29706 (Pres. De Amicis, Rel. Di Nicola Travaglini)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava quando non può ritenersi legittimamente contestata la fattispecie aggravata di cui all’art. 476, comma secondo, cod. pen. che, come è noto, prevede quanto segue: “Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni”.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma di una sentenza emessa dal Tribunale di Trapani, riqualificava il delitto di tentata concussione ai sensi dell’art. 322, terzo comma, cod. pen., riducendo al contempo la pena finale in due anni e nove mesi di reclusione, ritenendo più grave il delitto di falso ideologico.

Ciò posto, avverso codesta decisione proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato il quale, tra i motivi ivi addotti, deduceva violazione del divieto di reformatio in peius in quanto la sentenza impugnata, in assenza di ricorso del pubblico ministero, aveva ritenuto più grave il delitto di falso, ex art. 476 cod. pen., aggravato dal secondo comma, nonostante la sentenza di primo grado avesse quantificato la pena-base su quello di tentata concussione con aumento per la continuazione sul delitto di falso non aggravato.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Il Supremo Consesso riteneva il motivo suesposto fondato.

In particolare, tra le argomentazioni che inducevano gli Ermellini ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo cui, in «tema di reato di falso in atto pubblico, non può ritenersi legittimamente contestata, sì che non può essere ritenuta in sentenza dal giudice, la fattispecie aggravata di cui all’art. 476, comma secondo, cod. pen., qualora nel capo d’imputazione non sia esposta la natura fidefacente dell’atto, o direttamente, o mediante l’impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l’indicazione della relativa norma (in applicazione del principio le Sezioni unite hanno escluso che la mera indicazione dell’atto, in relazione al quale la condotta di falso è contestata, sia sufficiente a tal fine in quanto l’attribuzione ad esso della qualità di documento fidefacente costituisce il risultato di una valutazione)» (Sez. U, n. 24906, 18 aprile 2019).

I risvolti applicativi

In tema di falso in atto pubblico, l’aggravante ex art. 476, comma 2, c.p. non è legittimamente contestata se nell’imputazione non è indicata, anche implicitamente, la natura fidefacente dell’atto.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 6 Num. 29706 Anno 2025

Presidente: DE AMICIS GAETANO

Relatore: DI NICOLA TRAVAGLINI PAOLA

Data Udienza: 14/07/2025

Data Deposito:26/08/2025

SENTENZA

sul ricorso proposti da

B. A. nato il … a …

avverso la sentenza del 26/11/2024 della Corte di appello di Palermo

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dalla Consigliera Paola Di Nicola Travaglini;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Raffaele Piccirillo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

sentito l’avvocato M. C., nell’interesse di A. B., che ha insistito per l’accoglimento del ricorso ritenendo nulla la sentenza per avere applicato una circostanza aggravante non contestata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Palermo, per quanto interessa in questa sede, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Trapani il 17 maggio 2023, nei confronti di A. B., funzionario addetto alla Cancelleria del Tribunale di Trapani, ha riqualificato il delitto di tentata concussione (capo c) ai sensi dell’art. 322, terzo comma, cod. pen., e ha ridotto la pena finale in due anni e nove mesi di reclusione, ritenendo più grave il delitto di falso ideologico.

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso A. B. deducendo i seguenti motivi.

2.1. Violazione di legge, in relazione all’ art. 322, terzo comma, cod. pen., in quanto la sentenza impugnata ha ritenuto seria e idonea la sollecitazione di A. B. a determinare il terzo estraneo ad aderire al sinallagma illecito.

Infatti, il pubblico ufficiale si era limitato ad un solo gesto del pollice e ad una frase pronunciate non nei confronti delle ipotetiche vittime, come contestato nell’imputazione, ma dell’avvocata Sanna, così da non avere consentito neanche l’esercizio del diritto di difesa dell’imputato e risultando pertanto integrata la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen.

2.2. Violazione del divieto di reformatio in peius in quanto la sentenza impugnata, in assenza di ricorso del pubblico ministero, ha ritenuto più grave il delitto di falso, ex art. 476 cod. pen., aggravato dal secondo comma, nonostante la sentenza di primo grado avesse quantificato la pena-base su quello di tentata concussione con aumento per la continuazione sul delitto di falso non aggravato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso è fondato limitatamente al secondo motivo.

2. Premesso che la condotta materiale contestata ad A. B., Cancelliere del Tribunale di Trapani, non è contestata, il ricorso si limita ad escludere che fosse seria e idonea allo scopo la proposta del ricorrente, avanzata all’Avvocata S., di procedere rapidamente all’inventario dei beni se la sua assistita, erede del de cuius, gli avesse versato 100 euro.

La sentenza impugnata, dopo avere escluso l’esistenza di un’inerzia minacciosa, durata mesi, per indurre la vedova a corrispondere la somma non dovuta, ha correttamente qualificato il fatto nel più tenue delitto di istigazione alla corruzione, avendo il pubblico ufficiale, nell’esercizio delle sue funzioni, sollecitato la dazione di una somma di denaro non dovuta.

Si tratta di univoci elementi di fatto, ammessi dallo stesso B., fondati su prove testimoniali di chi aveva ricevuto la richiesta e coerentemente vagliati dai Giudici di merito, rispetto ai quali il ricorso si è limitato a rappresentare, in modo apodittico, l’assenza di serietà della proposta, comprovata, invece, dalla provenienza dal Cancelliere, tenuto a provvedere all’inventario, avanzata alla persona offesa per il tramite della sua legale, con cui il ricorrente aveva un rapporto di confidenza, in piena correlazione con l’imputazione.

3. Il secondo motivo di ricorso è fondato.

Va chiarito, per comprendere la questione posta, come le sentenze di merito abbiano esaminato le condotte contestate a B. e descritte in due diversi decreti che dispongono il giudizio, senza però modificarne la denominazione: il primo, del 18 aprile 2019, relativo alle condotte indicate ai capi A) e B) per i delitti di falso ideologico di atti fidefacenti, ex art. 479 cod. pen., commessi tra il 2013 ed il 2016 e al capo C) per il delitto di tentata concussione, riqualificato dalla Corte di merito nella condotta di cui all’art. 322, secondo comma, cod. pen.; il secondo decreto, del 15 ottobre 2020, relativo alle condotte indicate al capo C) per il delitto di falso ideologico, ex art. 479, cod. pen., commesso nell’ambito di una procedura fallimentare e al capo D) per il delitto di truffa aggravata, commessi dal 2017.

La Corte di appello, avendo riqualificato il delitto di tentata concussione, di cui al capo C) del decreto di citazione del 18 aprile 2019, ritenuto più grave dal Tribunale di Trapani, ai fini della continuazione, nella fattispecie meno grave di cui all’art. 322, secondo comma, cod. pen., ha modificato gli addendi del calcolo finale della pena applicata a B. e ha ritenuto più grave il delitto di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale di cui al capo C) del secondo decreto che dispone il giudizio del 15 ottobre 2020 (pagg. 8 e 9), che non solo non richiama l’art. 476, secondo comma, cod. pen., ma non evidenzia testualmente la natura fidefacente degli atti falsificati anche con eventuali espressioni evocative di tale natura. In tal modo la sentenza impugnata ha contravvenuto al principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite S., secondo cui «In tema di reato di falso in atto pubblico, non può ritenersi legittimamente contestata, sì che non può essere ritenuta in sentenza dal giudice, la fattispecie aggravata di cui all’art. 476, comma secondo, cod. pen., qualora nel capo d’imputazione non sia esposta la natura fidefacente dell’atto, o direttamente, o mediante l’impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l’indicazione della relativa norma. (In applicazione del principio le Sezioni unite hanno escluso che la mera indicazione dell’atto, in relazione al quale la condotta di falso è contestata, sia sufficiente a tal fine in quanto l’attribuzione ad esso della qualità di documento fidefacente costituisce il risultato di una valutazione)» (Sez. U, n. 24906, 18 aprile 2019, omissis, Rv.

275436).

Non sussistevano, quindi, le condizioni perché la circostanza aggravante di cui all’art. 476, comma 2, cod. pen., potesse ritenersi contestata all’imputato.

Esclusa l’aggravante di cui all’art. 476, comma 2, cod. pen., annulla senza Rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di falso di cui al capo C del decreto di rinvio giudizio emesso in data 15 ottobre 2020 perché è estinto per prescrizione. Rinvia per la rideterminazione della pena relativa ai reati oggetto dei residui capi di imputazione ad altra sezione della Corte di appello di Palermo. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

Visto l’art. 624, comma 2, cod. proc. pen. dichiara irrevocabile, in relazione ai predetti residui capi di imputazione, l’accertamento della responsabilità.

Così deciso il 14 luglio 2025

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