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L’ambito della confisca “allargata” prevista dall’art. 240-bis del codice penale: cosa considerare?

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Cass. pen., sez. III, 29/02/2024 (ud. 29/02/2024, dep. 09/05/2024), n. 18204 (Pres. Ramacci, Rel. Magro)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava cosa deve essere preso in considerazione quando debba essere disposta la confisca c.d. allargata prevista dall’art. 240-bis c.p. che, come è noto, dispone quanto segue: “Nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per taluno dei delitti previsti dall’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 322, 322-bis, 325, 416, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 453, 454, 455, 460, 461, 517-ter, 517-quater, 518-quater, 518-quinquies, 518-sexies e 518-septies, nonché dagli articoli 452-bis, 452-ter, 452-quater, 452-sexies, 452-octies, primo comma, 452-quaterdecies, 493-ter, 512-bis, 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 600-quater.1, relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600-quinquies, 603-bis, 629, 640, secondo comma, numero 1, con l’esclusione dell’ipotesi in cui il fatto è commesso col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare, 640-bis, 644, 648, esclusa la fattispecie di cui al quarto comma, 648-bis, 648-ter e 648-ter.1, dall’articolo 2635 del codice civile, o per taluno dei delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine costituzionale, è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. In ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale, salvo che l’obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge. La confisca ai sensi delle disposizioni che precedono è ordinata in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta per i reati di cui agli articoli 617-quinquies, 617-sexies, 635-bis, 635-ter, 635-quater, 635-quinquies quando le condotte ivi descritte riguardano tre o più sistemi”.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Bologna dichiarava la penale responsabilità di un imputato in ordine al reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. 309/1990 per aver detenuto, a fini di cessione, all’interno della propria autovettura, una borsa contenente 20 tavolette di sostanza stupefacente del tipo hashish di grammi 2.003,51.

Ciò posto, avverso questa decisione il difensore dell’accusato proponeva ricorso per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, costui deduceva violazione di legge in ordine alla statuizione della confisca per sproporzione disposta ai sensi dell’art. 240 bis cod. pen., della somma pari a euro 21.000,00 rinvenuta all’interno della cassaforte della sua abitazione, rappresentando di aver prodotto, nel corso del giudizio di primo e di secondo grado, corposa documentazione attestante la sua cospicua capacità economica e reddituale derivante da successione ereditaria.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva il motivo suesposto fondato alla luce di quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, ai fini della confisca cd. “allargata” prevista dall’art. 240-bis cod. pen., a nulla rileva il “quantum” ricavato dalla commissione dei cd. “reati spia”, dovendosi unicamente avere riguardo al duplice presupposto che i beni da acquisire si trovino nella disponibilità diretta o indiretta dell’interessato, purché dichiarato responsabile di uno di tali reati, e che il loro valore sia sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica esercitata (Sez. 2, n. 3854 del 30/11/2021).

Difatti, per gli Ermellini, a fronte del fatto che il giudice non avrebbe dovuto limitarsi a constatare l’ammontare del reddito personale derivante da lavoro e dai canoni di locazione, comprensivo sia del reddito da lavoratore quale dipendente di un centro sportivo, che dei canoni di locazione degli immobili di sua proprietà, si era dunque in presenza di un vizio di mancanza di motivazione il quale è ravvisabile, non solo quando quest’ultima venga completamente omessa, ma anche quando sia priva di singoli momenti esplicativi in ordine ai temi sui quali deve vertere il giudizio (Sez. 6, n. 27151 del 27/06/2011; Sez. 6, n. 35918 del 17/06/2009).

I giudici di piazza Cavour, di conseguenza, annullavano la sentenza impugnata limitatamente alla confisca di danaro con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna.

I risvolti applicativi

Per la confisca “allargata” prevista dall’art. 240-bis codice penale, non conta quanto si guadagni dai “reati spia”, ma è essenziale che il responsabile del reato abbia beni in proprio o indirettamente, e che il loro valore sia sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 3 Num. 18204 Anno 2024

Presidente: RAMACCI LUCA

Relatore: MAGRO MARIA BEATRICE

Data Udienza: 29/02/2024

Data Deposito: 09/05/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

V. G. nato a … il …

avverso la sentenza del 20/04/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere MARIA BEATRICE MAGRO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPE RICCARDI che, riportandosi alle conclusioni già depositate, chiede che sia dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

L’avvocato C. A., al termine del proprio intervento, insiste nell’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. G. V. ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata con la quale è stata dichiarata la penale responsabilità per il reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. 309/1990, per aver detenuto, a fini di cessione, all’interno della propria autovettura una borsa contenente 20 tavolette di sostanza stupefacente del tipo hashish di grammi 2.003,51.

2.1. Il ricorrente deduce, con il primo motivo di ricorso, violazione di legge e vizio della motivazione in ordine all’affermata finalità di spaccio della sostanza detenuta. In ordine alla responsabilità, il ricorrente rappresenta di fare uso di sostanza stupefacente e di essersi reso disponibile in favore di terzi ad effettuare il trasporto dello stupefacente, dietro corresponsione del corrispettivo, costituito dal trattenimento per uso proprio di uno dei venti panetti di stupefacente.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche, in quanto il giudice non ha considerato lo svolgimento dell’attività lavorativa e l’attività di volontariato svolta in favore delle popolazioni colpite da calamità naturali, pur concedendo la sospensione condizionale della pena.

2.3. Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente deduce violazione di legge in ordine alla statuizione della confisca per sproporzione disposta ai sensi dell’art. 240 bis cod. pen., della somma pari a euro 21.000,00 rinvenuta all’interno della cassaforte della sua abitazione, rappresentando di aver prodotto, nel corso del giudizio di primo e di secondo grado, corposa documentazione attestante la sua cospicua capacità economica e reddituale derivante da successione ereditaria, in particolare evidenziando di aver ereditato dalla madre, appena un anno prima il fatto in contestazione, oltre a beni immobili del valore di oltre un milione di euro, anche denaro in contanti del valore di euro 52.000,00. Al riguardo, rappresenta di aver depositato nei giudizi di merito anche la documentazione bancaria che attesta che la madre dell’imputato, nell’ultimo anno di vita, e precisamente nel corso del 2020, aveva effettuato cospicui prelievi di contanti dal proprio conto corrente, pari a euro 30.000,00, e che tale denaro accumulato era rimasto nella disponibilità del ricorrente, unico erede. Evidenzia di aver prodotto il contratto di lavoro da cui emerge la corresponsione dello stipendio mensile di euro 1000,00 e di aver prodotto i contratti di locazione dei beni immobili ereditati. Dunque, egli ha ampiamente documentato che la somma detenuta all’interno della propria cassaforte, oggetto di confisca per sproporzione ai sensi dell’art. 240 bis cod. pen., è di provenienza legittima in quanto derivante dal compendio patrimoniale, relativo a beni mobili ed immobili dell’imputato e certamente non sproporzionata rispetto alle sue condizioni economiche complessive, da definirsi quantomeno agiate. Di tale corposa documentazione fiscale, bancaria e commerciale i giudici di merito hanno effettuato una parziale ed illogica valutazione, avendo la Corte territoriale affermato erroneamente che il reddito complessivo del ricorrente è di importo poco superiore a euro 1000,00, comprensivo dei redditi da locazione relativi ai ben immobili caduti nella successione ereditaria e avendo ritenuto non credibile la tesi difensiva secondo cui la madre del ricorrente abbia prelevato del contante dal proprio conto, anzicchè utilizzare carte di pagamento per sostenere le spese correnti. Altrettanto illogica è l’affermazione del giudice secondo cui non è credibile che il ricorrente abbia scelto di tenere in casa, all’interno di una cassaforte, il denaro in contanti disponibile, piuttosto che depositarlo presso un istituto bancario per proteggerlo da eventuali furti, soprattutto dopo aver subito un furto in abitazione. Rappresenta quindi il ricorrente che il giudice di merito, nel disattendere le argomentazioni difensive illustrate, ha sostanzialmente e surrettiziamente effettuato una confisca ai sensi dell’art. 240 cod. pen.

3. Il Procuratore generale presso questa Corte, in udienza, ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. In ordine alla prima doglianza, concernente l’uso personale dello stupefacente, si osserva che trattasi di motivo che non rientra nel numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decísum. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha inferito la sussistenza della finalità di spaccio in quanto l’imputato era stato arrestato in flagranza a seguito di un servizio di osservazione e di pedinamento effettuato dagli agenti di polizia, che erano stati informati in ordine all’attività di spaccio svolta dal V.. A seguito di tali operazioni di pedinamento, durante il controllo effettuato all’interno dell’auto del ricorrente, sul sedile posteriore, veniva rinvenuta una valigetta contenente due chilogrammi di sostanza stupefacente del tipo hashish, da cui è possibile trarre 22.400 dosi medie singole. Al riguardo, il ricorrente ha dichiarato di fare uso di sostanze stupefacenti, dopo la morte della madre, ed ha ammesso di essersi introdotto nel traffico di stupefacenti, assumendo il ruolo di corriere – trasportatore, e di aver pattuito come compenso uno dei 20 panetti trasportato, senza tuttavia svelare i nomi dei committenti. Dalle cadenze motivazionali della sentenza d’appello è quindi enucleabile una ricostruzione dei fatti precisa e circostanziata, avendo i giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alla decisione attraverso una disamina completa ed approfondita delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile sotto il profilo della correttezza logica, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa

sede.

2.Anche le determinazioni del giudice di merito in ordine al trattamento sanzionatorio sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione esente da vizi logico-giuridici. Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata è senz’altro da ritenersi adeguata, avendo la Corte territoriale fatto richiamo, con riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche, all’assenza di elementi positivi dì rilievo a fini della attenuazione della pena. Al riguardo, si ricorda che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Rv. 283489).

3.E’ invece fondata la censura formulata con il terzo motivo di ricorso. Al riguardo, si ricorda che ai fini della confisca cd. “allargata” prevista dall’art. 240-bis cod. pen., a nulla rileva il “quantum” ricavato dalla commissione dei cd. “reati spia”, dovendosi unicamente avere riguardo al duplice presupposto che i beni da acquisire si trovino nella disponibilità diretta o indiretta dell’interessato, purché dichiarato responsabile di uno di tali reati, e che il loro valore sia sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica esercitata (Sez. 2, n. 3854 del 30/11/2021 Cc. (dep. 03/02/2022) Rv. 282687).

Tuttavia, con riguardo alla affermata sproporzione della somma detenuta in contanti rispetto al reddito dichiarato dal V., nel tessuto argomentativo della pronuncia impugnata non è dato rinvenire alcun specifico riferimento alle ragioni per le quali il giudice territoriale non abbia preso in considerazione quanto risulta dalla dichiarazione di successione del 2021, da cui emerge che il ricorrente ha ereditato un asse costituito da beni immobili, per oltre un milione di euro, e di beni mobili, ai sensi dell’art. 9 T.U. successioni, del valore di oltre 50 milioni di euro, sebbene il ricorrente abbia, con l’atto di appello, richiamato all’attenzione del giudice territoriale i documenti che attestano tale cospicua capacità economica, ben superiore al milione di euro, non certo sproporzionata rispetto la somma detenuta in contanti. Inoltre, il giudice territoriale nulla ha affermato in ordine alla documentazione bancaria prodotta dal ricorrente, da cui risulta che la madre dell’imputato, nell’ultimo anno di vita e poco prima dei fatti in contestazione, aveva effettuato prelevamenti di somme di denaro in contanti dal proprio conto corrente pari a euro 30.000,00. L’atto di gravame era, pertanto, del tutto idoneo a radicare in capo alla Corte territoriale il dovere di pronunciarsi sulla questione relativa alla provenienza lecita del denaro custodito all’interno della cassaforte e della sua sproporzione rispetto alla situazione economica complessiva del ricorrente alla luce della corposa documentazione bancaria e fiscale prodotta (si richiama in proposito, solo a titolo esemplificativo l’estratto conto del conto corrente, la dichiarazione di successione del 2021, i contratti di locazione).

Pertanto, il giudice non avrebbe dovuto limitarsi a constatare l’ammontare del reddito personale derivante da lavoro e dai canoni di locazione, di poco superiore a euro mensili, comprensivo sia del reddito da lavoratore quale dipendente di un centro sportivo, che dei canoni di locazione degli immobili di sua proprietà.

Siamo dunque in presenza del vizio di mancanza di motivazione, che è ravvisabile non solo quando quest’ultima venga completamente omessa ma anche quando sia priva di singoli momenti esplicativi in ordine ai temi sui quali deve vertere il giudizio (Sez. 6, n. 27151 del 27/06/2011; Sez. 6, n. 35918 del 17/06/2009, Rv. 244763).

Si impone, quindi, al riguardo, un pronunciamento rescindente.

4. La sentenza, pertanto, deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna, limitatamente alla statuizione della confisca di danaro.

Il ricorso è inammissibile nel resto.

PQM

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla confisca di danaro con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.

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