Il criterio distintivo tra truffa ed estorsione quando è presente la minaccia: in cosa consiste?

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Cass. pen., sez. I, 7/11/2024 (ud. 7/11/2024, dep. 5/12/2024), n. 44777 (Pres. Santalucia, Rel. Zoncu)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava qual è il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna sollevava un conflitto negativo di competenza ritenendo che la competenza, ad emettere misura nei confronti di una persona gravemente indiziata di una pluralità di reati connessi fra loro ai sensi dell’art. 81 cod. pen., fosse del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, luogo ove si era consumato il primo dei reati di truffa aggravata contestati all’indagato, previa riqualificazione di uno dei fatti contestati, non già come estorsione, bensì come truffa aggravata.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Gli Ermellini ritenevano come la competenza in questione dovesse essere radicata in capo al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma.

In particolare, tra le argomentazioni che inducevano i giudici di piazza Cavour ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo il quale il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima: ricorre la prima ipotesi delittuosa se il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non è coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l’ingiusto profitto dell’agente, perché tratta in errore dalla esposizione di un pericolo inesistente; si configura, invece, l’estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, poiché in tal caso la persona offesa è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all’agente il preteso profitto o di subire il male minacciato (Sez. 2, Sentenza n. 46084 del 21/10/2015).

I risvolti applicativi

Il criterio distintivo tra truffa ed estorsione, quando c’è minaccia, dipende dal tipo di condotta e dal suo effetto sulla vittima nel senso che: nella truffa, la minaccia riguarda un male eventuale e non proveniente da chi lo prospetta, inducendo la vittima a un errore; nell’estorsione, invece, la minaccia riguarda un male certo e realizzabile, costringendo la vittima a scegliere tra cedere al profitto dell’agente o subire il danno.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 1 Num. 44777 Anno 2024

Presidente: SANTALUCIA GIUSEPPE

Relatore: ZONCU MARIA GRECA

Data Udienza: 07/11/2024

Data Deposito: 5/12/2024

SENTENZA

sul conflitto di competenza sollevato da:

GIP BOLOGNA nei confronti di:

GIP ROMA

con l’ordinanza del 19/09/2024 del GIP TRIBUNALE di BOLOGNA

udita la relazione svolta dal Consigliere MARIA GRECA ZONCU;

lette le conclusioni del PG GIANLUIGI PRATOLA che chiedeva che la competenza venisse stabilita in capo al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna, con ordinanza in data 19 settembre 2024 sollevava conflitto negativo di competenza ritenendo che la competenza ad emettere misura nei confronti di C. G., gravemente indiziato di una pluralità di reati connessi fra loro ai sensi dell’art. 81

cod. pen., fosse del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, luogo ove si era consumato il primo dei reati di truffa aggravata contestati all’indagato, previa riqualificazione del fatto contestato sub 6) non già come estorsione, bensì come truffa aggravata.

2. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, cui era stata in precedenza avanzata richiesta di emissione di misura cautelare nei confronti di C. G., con ordinanza emessa in data 14 agosto 2024 dichiarava l’incompetenza territoriale del Tribunale di Roma e disponeva la trasmissione degli atti al PM.

Rilevava che a C. erano contestate una pluralità di condotte del tutto analoghe, alcune delle quali qualificate come truffe aggravate e due delle quali come estorsioni aggravate, l’una commessa in Roma, sub capo 1) e l’altra commessa in Bologna, sub capo 6).

Pertanto, i reati più gravi, in ragione dei quali determinare la competenza ex art. 16 cod. proc. pen., stante la connessione ex art. 12 lett b) cod. proc. pen. erano quelli rubricati su 1) e 6).

Ritenuto, però, di dovere riqualificare il fatto sub 1) come truffa aggravata, rilevava come la competenza dovesse determinarsi tenendo presente il locus commissi delicti di cui al residuo reato di estorsione e, dunque, Bologna.

La riqualificazione del fatto da estorsione a truffa aggravata discendeva dal fatto che il pericolo prospettato alla vittima, in ragione del quale la stessa si determinava ad effettuare un esborso, non era attribuibile direttamente o indirettamente all’agente, pertanto la vittima non era coartata nella volontà da una condotta violenta o minacciosa dell’agente, ma depauperava il proprio patrimonio in quanto indotta in errore dal medesimo.

3. Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna condividendo i rilievi contenuti nell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma faceva presente come i medesimi rilievi si potessero fare anche con riguardo alla condotta qualificata come estorsione e di cui al capo 6), che radicava la competenza a Bologna.

Anche in quel caso, infatti, si trattava di condotte che avevano indotto in errore la vittima, ma che non ne avevano coartato direttamente la volontà, in quanto anche in questo caso il pericolo, l’evento negativo su cui era indotta in errore la vittima non era posto in diretta dipendenza da una condotta del soggetto agente.

Dovendosi quindi riqualificare anche il fatto sub 6) come truffa aggravata, la competenza doveva determinarsi ai sensi dell’art. 16 cod. proc. pen.; a parità di gravità di reati, trattandosi di condotte contestate tutte come truffe aggravate, la competenza territoriale si radica nel luogo ove è stato commesso il primo reato, cioè Roma.

Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma depositava osservazioni sul conflitto di competenza sollevato dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna, sottolineando come nella descrizione della condotta di cui al capo 6) emergessero dei profili differenti rispetto al capo 1) in quanto coloro che si erano presentati come carabinieri avevano riferito alla vittima che se non avesse corrisposto una somma di danaro, il figlio, arrestato, sarebbe stato condotto in carcere.

Nella prospettazione del GIP di Roma tale condotta ricollegherebbe il male minacciato direttamente agli agenti e non ad eventi esterni non controllati.

4. Il difensore di G. C. depositava memoria adesiva rispetto alla tesi contenuta nell’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna aveva sollevato il conflitto negativo di competenza.

5. Il sostituto procuratore generala Gianluigi Pratola depositava conclusioni scritte chiedendo che la competenza venisse stabilita in capo al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, dovendosi riqualificare anche il fatto sub 6) come truffa aggravata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La competenza è radicata in capo al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma,

1.1 II criterio distintivo tra il delitto di estorsione mediante minaccia e quello di truffa cd. vessatoria consiste nel diverso atteggiarsi del pericolo prospettato, sicché si ha truffa aggravata ai sensi dell’art. 640, comma secondo, n. 2, cod. pen. quando il danno viene prospettato come possibile ed eventuale e mai proveniente direttamente o indirettamente dall’agente, di modo che la persona offesa non è coartata nella sua volontà, ma si determina all’azione od omissione versando in stato di errore, mentre ricorre il delitto di estorsione quando viene prospettata l’esistenza di un pericolo reale di un accadimento il cui verificarsi è attribuibile, direttamente o indirettamente, all’agente ed è tale da non indurre la persona offesa in errore, ma, piuttosto, nell’alternativa ineluttabile di subire lo spossessamento voluto dall’agente o di incorrere nel danno minacciato. (Sez. 2 -, Sentenza n. 24624 del 17/07/2020 Rv. 279492 – 01)

Integra gli estremi del delitto di truffa, e non di estorsione, la condotta di chi, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, rappresenti falsamente alla vittima un pericolo immaginario proveniente da terzi, in sé non ingiusto ma anzi astrattamente legittimo. (Sez. 2, Sentenza n. 28390 del 20/03/2013 ì Rv. 256459 – 01)

Il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima: ricorre la prima ipotesi delittuosa se il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non è coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l’ingiusto profitto dell’agente, perché tratta in errore dalla esposizione di un pericolo inesistente; si configura, invece, l’estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, poiché in tal caso la persona offesa è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all’agente il preteso profitto o di subire il male minacciato. (Sez. 2, Sentenza n. 46084 del 21/10/2015 Rv. 265362 – 01).

1.2 Nel caso in esame, cioè nella condotta di cui al capo 6) di imputazione, la volontà dell’anziana vittima viene coartata dall’indagato che, fingendosi un esponente delle forze dell’ordine, le comunica che il figlio aveva investito una persona, ed era stato arrestato; per poterlo liberare erano necessari 8500 euro.

La donna veniva invitata a prendere contatti con un sedicente avvocato T., il quale le confermava che avrebbe dovuto consegnare quella somma altrimenti il figlio non sarebbe stato liberato e avrebbe rischiato la condanna ad una pena da uno a tre anni di carcere.

Come correttamente ritenuto dal giudice per le indagini preliminari di Bologna, l’indagato non ha mai fatto credere alla vittima di potere intervenire direttamente, ma le ha fatto credere che per evitare la carcerazione e la condanna, impersonalmente intesi come eventi negativi, indipendenti dalla volontà

dell’agente e fuori dal suo controllo, la donna avrebbe dovuto pagare la somma richiesta.

Non si sarebbe trattato, dunque, per la persona offesa di una volontà coartata dalla violenza o dalla minaccia, ma di una induzione in errore, tramite artifizi o raggiri e quindi tipicamente di una condotta ascrivibile al paradigma della truffa.

Di conseguenza, la competenza si radica ove è stata commessa la più risalente delle truffe e, cioè Roma.

4. Risolvendo il conflitto, dunque, la competenza deve essere individuata in capo al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, cui vengono trasmessi gli atti.

PQM

Decidendo sul conflitto, dichiara la competenza del Tribunale di Roma, ufficio Gip, cui dispone trasmettersi gli atti.

Così deciso il 7 novembre 2024.

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