Cosa occorre dimostrare per l’accertamento del reato di corruzione propria?

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Cass. pen., sez. VI, 19/02/2025 (ud. 19/02/2025, dep. 3/04/2025), n. 13092 (Pres. Fidelbo, Rel. Pacilli)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava cosa è necessario dimostrare ai fini dell’accertamento del reato di corruzione propria.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di appello di Napoli confermava una pronuncia emessa dal Tribunale di Nola, con cui gli imputati era stati condannati alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui agli artt. 319 e 321 cod. pen..

Ciò posto, avverso questa decisione ricorrevano per Cassazione i difensori degli accusati e uno dei quali, tra i motivi ivi addotti, deduceva l’inosservanza della legge penale.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Gli Ermellini ritenevano il motivo suesposto infondato.

In particolare, tra le argomentazioni che inducevano la Corte di legittimità ad addivenire a siffatto esito decisorio, erano richiamati i seguenti orientamenti nomofilattici: 1) ai fini dell’accertamento del reato di corruzione propria è necessario dimostrare che il compimento dell’atto contrario ai doveri di ufficio sia stato la causa della prestazione del denaro o di altra utilità e della accettazione da parte del pubblico ufficiale, non essendo sufficiente a tal fino la mera circostanza dell’avvenuta dazione (cfr., in particolare, Sez. 6, n. 3765 del 9/12/2020; Sez. n. 39008 del 06/05/2016; Sez. 6, n. 5017 del 7/11/2011; Sez. 6, n. 24439 del 25/03/2010), essendo necessario dimostrare, quindi, non solo la dazione indebita dal privato al pubblico ufficiale (o all’incaricato di pubblico servizio), bensì anche la finalizzazione di tale erogazione all’impegno di un futuro comportamento contrario ai doveri di ufficio ovvero alla remunerazione di un già attuato comportamento contrario ai doveri di ufficio da parte del soggetto munito di qualifica pubblicistica; 2) costituiscono atti contrario ai doveri d’ufficio non soltanto quelli illeciti (perché vietati da atti imperativi o illegittimi (perché dettati da norme giuridiche riguardanti la loro validità ed efficacia), ma anche quelli che, pur formalmente regolari, prescindono, per consapevole volontà del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, dall’osservanza di doveri istituzionali espressi in norme di qualsiasi livello, ivi compresi quelli di correttezza e imparzialità (Sez. 6, n. 30762 del 14/05/2009); 3) il reato in oggetto può essere integrato anche mediante atti di natura discrezionale o meramente consultiva, quando essi costituiscano concreto esercizio dei poteri inerenti all’ufficio e l’agente sia il soggetto deputato ad emetterli o abbia un’effettiva possibilità di incidere sul relativo contenuto o sulla loro emanazione, fermo restando che l’atto di natura discrezionale o consultiva non ha mai un contenuto pienamente “libero”, essendo soggetto, per un verso, al rispetto delle procedure e dei requisiti di legge, per altro verso, alla necessità di assegnare comunque prevalenza all’apprezzamento dell’interesse pubblico (Sez. 6, n. 8935 del 13/01/2015; Sez. 6, n. 36212 del 27/06/2013), senza deviare o stravolgerne il contenuto per tutelare interessi di ordine privatistico dietro la corresponsione di somme di denaro; ai fini della configurabilità del reato di corruzione propria, rileva, dunque, la violazione dei doveri che attengono al modo, al contenuto, ai tempi degli atti da compiere e delle decisioni da adottare nel concreto operare della discrezionalità amministrativa in funzione dell’attuazione del pubblico interesse.

Difatti, per i giudici di piazza Cavour, la Corte territoriale aveva fatto una corretta applicazione di siffatti criteri ermeneutici.

I risvolti applicativi

Per l’accertamento del reato di corruzione propria è necessario dimostrare che la prestazione di denaro o altra utilità sia stata causata dal compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio da parte del pubblico ufficiale, mentre non basta la semplice dazione indebita, occorrendo per contro provare che essa fosse finalizzata a influenzare il comportamento del pubblico ufficiale, sia per atti già compiuti, che per comportamenti futuri.

Ad ogni modo, gli atti contrari ai doveri di ufficio non sono solo quelli illeciti, ma anche quelli formalmente regolari che violano i doveri di imparzialità e correttezza, fermo restando che il reato de quo può integrarsi anche attraverso atti discrezionali o consultivi, se influenzano concretamente l’esercizio dei poteri pubblici, violando l’interesse pubblico in favore di interessi privati.

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