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La fungibilità del periodo di obbligo di dimora nell’applicazione dell’articolo 657 del codice di procedura penale: quando ricorre

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Cass. pen., sez. I, 13/10/2023 (ud. 13/10/2023, dep. 06/02/2024), n. 5295 (Pres. Mancuso, Rel. Masi)

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 657)

Indice

La questione giuridica

La questione giuridica, su cui la Corte di Cassazione era chiamata a decidere con la sentenza in esame, riguardava se il periodo trascorso in regime di obbligo di dimora possa considerarsi fungibile a norma dell’art. 657 cod. proc. pen..

Difatti, nel procedimento, in occasione del quale è stata emessa la decisione in oggetto, a fronte del fatto che il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, quale giudice dell’esecuzione, aveva accolto la richiesta presentata dal condannato, riconoscendogli la fungibilità dell’obbligo di dimora, a cui egli è stato sottoposto nel 2018, con la residua pena da espiare in seguito alla condanna emessa nel 2021, la pubblica accusa proponeva ricorso per Cassazione, articolando un unico motivo con il quale si deduceva l’errata applicazione della legge, con violazione degli artt. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. e 657 cod. proc. pen..

In particolare, secondo il ricorrente, posto che la giurisprudenza di legittimità attribuisce rilievo alla sostanzialità della misura, stabilendo di computare, come presofferto, la custodia cautelare subita, indipendentemente dal nomen iuris attribuitole e quindi ogni qual volta essa sia, in concreto, assimilabile ad una misura detentiva, in particolare agli arresti domiciliari, il giudice dell’esecuzione, invece, aveva fondato il suo provvedimento su una interpretazione estensiva dell’art. 657 cod. proc. pen., affermando che essa deve essere intesa come una norma di apertura e non di chiusura, che consente l’equiparazione delle misure non detentive a quelle detentive, in particolare agli arresti domiciliari, quando siano particolarmente rigide e afflittive.

Pur tuttavia, le due misure mantengono, però, la loro differenza strutturale: negli arresti domiciliari, l’allontanamento dall’abitazione è concesso solo in via eccezionale, e anche quando il soggetto è autorizzato ad allontanarsi egli rimane in stato di detenzione tanto che, in caso di trasgressione di tale autorizzazione, egli commette il delitto di evasione mentre il soggetto sottoposto all’obbligo di dimora, invece, è libero di spostarsi nel territorio stabilito, non può essere sottoposto al divieto di comunicare con estranei, e in caso di trasgressione delle prescrizioni imposte non commette alcun reato.

Per l’autorità requirente, di conseguenza, non era condivisibile la valutazione compiuta nell’ordinanza impugnata, di una completa equiparazione della misura imposta all’istante con quella degli arresti domiciliari, tanto più se si considera come i casi sottoposti all’esame della Corte di Cassazione, nelle sentenze citate nell’ordinanza, fossero relativi a misure a cui erano state applicate ulteriori prescrizioni, effettivamente tali da obbligare alla permanenza in casa per un tempo ben superiore a quello che vi viene usualmente trascorso per le ordinarie esigenze di vita e di riposo mentre, nel caso di specie, l’obbligo riguardava per lo più le ore notturne, lasciando piena libertà di movimento negli orari solitamente destinati al lavoro o alla vita sociale.

Oltre a ciò, l’impugnante faceva altresì presente come l’ordinanza impugnata fosse inoltre errata perché, equiparando agli arresti domiciliari la misura in concreto applicata al richiedente, formulava una interpretazione estensiva dell’art. 657 cod. proc. pen., che non era consentita stante la tassatività delle ipotesi in esso previste.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Suprema Corte, nel ritenere il ricorso suesposto fondato, richiamava a tal proposito quell’orientamento nomofilattico secondo il quale il periodo trascorso in applicazione di un’altra misura cautelare, in particolare l’obbligo di dimora, può essere ritenuto fungibile qualora essa sia accompagnata dall’arbitraria imposizione di obblighi tali da renderla assimilabile alla misura degli arresti domiciliari.

Il giudice, in tale caso, deve, quindi, valutare la concreta afflittività e arbitrarietà degli ulteriori limiti imposti all’imputato, oltre all’obbligo di dimora, al fine di stabilire se, nel caso concreto, la misura imposta abbia comportato una limitazione della libertà di movimento tale da renderla equiparabile agli arresti domiciliari, in quanto fortemente, e arbitrariamente, riduttiva della possibilità di usufruire liberamente del tempo solitamente dedicato al lavoro e alla vita sociale, ferma restando la sua diversità ontologica da tale, più grave, misura cautelare.

Oltre a ciò, veniva del resto dedotto come tale principio sia stato ribadito, recentemente, oltre che dalla sentenza sopra citata, non massimata, da Sez. 1, n. 37302 del 09/09/2021, secondo cui: «Ai fini della determinazione della pena detentiva da eseguire a seguito di condanna per un determinato reato, la misura cautelare dell’obbligo di dimora subita in relazione ad esso, non è fungibile, ai sensi dell’art. 657 cod. proc. pen., con la pena inflitta, salvo che sia accompagnata dall’arbitraria imposizione all’imputato di obblighi tali da renderla assimilabile al regime degli arresti domiciliari. (In motivazione la Corte ha aggiunto che l’elemento caratterizzante l’assimilazione delle due misure consiste nell’imposizione arbitraria dell’obbligo della permanenza domiciliare per un lasso temporale eccedente sia le specifiche esigenze cautelari che quello usualmente trascorso nella dimora per le ordinarie necessità di vita, riposo e cura della propria ed altrui persona)».

Pertanto, alla stregua di tale quadro ermeneutico, per gli Ermellini, l’ordinanza, oggetto di gravame nella fattispecie in esame, non si era conformata ai principi sopra indicati, in quanto aveva genericamente affermato che la misura dell’obbligo di dimora nel Comune di Desio imposta all’imputato fosse «sostanzialmente assimilabile al regime degli arresti domiciliari» perché accompagnata dal divieto di lasciare l’abitazione per un periodo di quindici ore, e perché imposta «nella piccola località ove risiedeva l’imputato quindi con ulteriori ridotte facoltà di movimento».

Per la Corte di legittimità, il giudice avrebbe dovuto, invece, valutare se l’ulteriore obbligo di trattenersi nell’abitazione eccedesse il tempo abitualmente trascorso in casa per svolgere le ordinarie attività di riposo e cura, alla luce del concreto contenuto dell’obbligo stesso.

Nel caso di specie, l’organo giudicante avrebbe dovuto, in particolare, valutare che l’orario imposto occupasse, per la sua maggior parte, le ore notturne, cioè il periodo in cui abitualmente le persone si trattengono nella propria abitazione, e che solo occasionalmente viene dedicato, in parte, ad attività da svolgersi all’esterno, mentre all’imputato era stata lasciata la piena libertà di movimento, con i soli limiti imposti dall’obbligo di dimora, per il tempo e gli orari propri di una normale giornata lavorativa.

L’ordinanza de qua era, poi, del tutto reputata erronea pure laddove assimilava la misura dell’obbligo di dimora a quella degli arresti domiciliari anche perché imposta in una piccola località, in quanto anche ciò avrebbe limitato la facoltà di movimento dell’imputato.

I risvolti applicativi

Il periodo trascorso con la misura dell’obbligo di dimora può essere considerato equivalente agli arresti domiciliari, solo se accompagnato da restrizioni aggiuntive che limitano significativamente la libertà di movimento dell’imputato.

Il giudice deve quindi valutare a tal proposito l’afflittività e l’arbitrarietà di tali limitazioni aggiuntive rispetto all’obbligo di dimora per determinare se la misura imposta abbia comportato una restrizione simile agli arresti domiciliari, fermo restando che questa restrizione aggiuntiva deve essere così significativa da interferire con la normale vita lavorativa e sociale dell’imputato, pur restando distinta dalla misura più grave degli arresti domiciliari.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 1 Num. 5295 Anno 2024

Presidente: MANCUSO LUIGI FABRIZIO AUGUSTO

Relatore: MASI PAOLA

Data Udienza: 13/10/2023

Data Deposito: 06/02/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI MILANO

nel procedimento a carico di:

C. A. nato a … il …

avverso l’ordinanza del 10/03/2023 del GIP TRIBUNALE di MILANO

udita la relazione svolta dal Consigliere PAOLA MASI;

lette le conclusioni del procuratore generale, nella persona del sostituto procuratore Nicola Lettieri, che ha chiesto, con requisitoria scritta, l’annullamento senza rinvio del provvedimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 10 marzo 2023 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, quale giudice dell’esecuzione, ha accolto la richiesta presentata da A. C. ed ha riconosciuto la fungibilità dell’obbligo di dimora, a cui egli è stato sottoposto in data 13/07/2018, con la residua pena da espiare in seguito alla condanna emessa il 19/02/2021. Ha perciò detratto dalla pena da espiare, calcolata dal pubblico ministero in tre anni, sette mesi e ventotto giorni di reclusione, il periodo dal 13/07/2018 al 04/04/2019, rideterminando detta pena in due anni e undici mesi di reclusione.

Secondo il Tribunale la misura non detentiva applicata al C. doveva essere ritenuta assimilabile agli arresti domiciliari perché, oltre all’obbligo di dimora nel Comune di Desio, prevedeva quello di trattenersi in casa dalle ore 18.00 alle ore 9.00. La lunga durata di tale obbligo, ben quindici ore, unito al fatto che l’obbligo di dimora vigeva in una piccola località quale il Comune indicato, limitava in modo rilevante la libertà di movimento del sottoposto, tanto da poter essere detta misura assimilata ad una misura detentiva. Tale obbligo, inoltre, era stato imposto senza una specifica ragione che giustificasse una limitazione così lunga, ed era stato pertanto imposto in modo arbitrario, cioè senza una effettiva esigenza cautelare.

2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, articolando un unico motivo con il quale deduce la errata applicazione della legge, con violazione degli artt. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. e 657 cod. proc. pen.

La giurisprudenza di legittimità attribuisce rilievo alla sostanzialità della misura, stabilendo di computare, come presofferto, la custodia cautelare subita, indipendentemente dal nomen iuris attribuitole e quindi ogni qual volta essa sia, in concreto, assimilabile ad una misura detentiva, in particolare agli arresti domiciliari. Il giudice dell’esecuzione, invece, ha fondato il suo provvedimento

su una interpretazione estensiva dell’art. 657 cod. proc. pen., affermando che essa deve essere intesa come una norma di apertura e non di chiusura, che consente l’equiparazione delle misure non detentive a quelle detentive, in particolare agli arresti domiciliari, quando siano particolarmente rigide e afflittive. Le due misure mantengono, però, la loro differenza strutturale: negli arresti domiciliari, l’allontanamento dall’abitazione è concesso solo in via eccezionale, e anche quando il soggetto è autorizzato ad allontanarsi egli rimane in stato di detenzione tanto che, in caso di trasgressione di tale autorizzazione, egli commette il delitto di evasione. Il soggetto sottoposto all’obbligo di dimora, invece, è libero di spostarsi nel territorio stabilito, non può essere sottoposto al divieto di comunicare con estranei, e in caso di trasgressione delle prescrizioni imposte non commette alcun reato. Non è perciò condivisibile la valutazione compiuta nell’ordinanza impugnata, di una completa equiparazione della misura imposta al C. con quella degli arresti domiciliari.

I casi sottoposti all’esame della Corte di cassazione, nelle sentenze citate nell’ordinanza, erano relativi a misure a cui erano state applicate ulteriori prescrizioni, effettivamente tali da obbligare alla permanenza in casa per un tempo ben superiore a quello che vi viene usualmente trascorso per le ordinarie esigenze di vita e di riposo, mentre nel caso del C. l’obbligo riguardava per lo più le ore notturne, lasciando piena libertà di movimento negli orari solitamente destinati al lavoro o alla vita sociale.

L’ordinanza è inoltre errata perché, equiparando agli arresti domiciliari la misura in concreto applicata al C., formula una interpretazione estensiva dell’art. 657 cod. proc. pen., che non è consentita stante la tassatività delle ipotesi in esso previste.

3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto l’accoglimento del ricorso, con annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano è fondato e deve essere accolto.

1.1. L’ordinanza propone un’interpretazione estensiva dell’art. 657 cod. proc. pen., affermando che esso deve essere letto «pensando alla sua massima estensione e non come norma di chiusura ma come norma di apertura», ma tale interpretazione non è corretta, essendo stata sempre ribadita, da questa Corte, la tassatività dei periodi computabili a titolo di pena detentiva da espiare, precisando che la norma consente la fungibilità solo con riferimento alla custodia cautelare e agli arresti domiciliari, in virtù del disposto dell’art. 284, comma 5, cod. proc. pen..

Il principio di tassatività è stato dettato già dalle sentenze Sez. 1, n. 17223 del 26/02/2001, Rv., 218764 e Sez. 1, n. 47428 del 28/11/2007, Rv. 238174, ed è stato ribadito da tutte le pronunce successive, tra cui quelle citate nell’ordinanza stessa. La sentenza Sez. 1, n. 36231 dei 08/11/2016 (dep. 2017), Rv. 271043, ha anche respinto una questione di legittimità costituzionale della norma, ricordando che essa è stata dichiarata manifestamente infondata dalla Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 215/1999 che ha affermato l’erroneità di una pretesa assimilazione agli arresti domiciliari dell’obbligo di dimora, anche quando aggravato dall’obbligo di non allontanarsi da casa in alcune ore del giorno. Anche la sentenza citata nel corpo della motivazione come emessa dalla Sez. 1 in data 13 marzo 2020, rectius la n. 10062/2020 emessa in data 25/02/2020, conferma tale principio e non propone, invero, alcuna interpretazione estensiva dell’art. 657 cod. proc. pen.

Questa Corte, in tutte le sue pronunce, ha in realtà affermato che, ferma restando la non applicabilità dell’art. 657 cod. proc. pen. a misure cautelari diverse da quelle detentive, il periodo trascorso in applicazione di un’altra misura cautelare, in particolare l’obbligo di dimora, può essere ritenuto fungibile qualora essa sia accompagnata dall’arbitraria imposizione di obblighi tali da renderla assimilabile alla misura degli arresti domiciliari. Il giudice deve, quindi, valutare la concreta afflittività e arbitrarietà degli ulteriori limiti imposti all’imputato, oltre all’obbligo di dimora, al fine di stabilire se, nel caso concreto, la misura imposta abbia comportato una limitazione della libertà di movimento tale da renderla equiparabile agli arresti domiciliari, in quanto fortemente, e arbitrariamente, riduttiva della possibilità di usufruire liberamente del tempo solitamente dedicato al lavoro e alla vita sociale, ferma restando la sua diversità ontologica da tale, più grave, misura cautelare. In particolare tale principio è stato ribadito, recentemente, oltre che dalla sentenza sopra citata, non massimata, da Sez. 1, n. 37302 del 09/09/2021, Rv. 281908, secondo cui «Ai fini della determinazione della pena detentiva da eseguire a seguito di condanna per un determinato reato, la misura cautelare dell’obbligo di dimora subita in relazione ad esso, non è fungibile, ai sensi dell’art. 657 cod. proc. pen., con la pena inflitta, salvo che sia accompagnata dall’arbitraria imposizione all’imputato di obblighi tali da renderla assimilabile al regime degli arresti domiciliari. (In motivazione la Corte ha aggiunto che l’elemento caratterizzante l’assimilazione delle due misure consiste nell’imposizione arbitraria dell’obbligo della permanenza domiciliare per un lasso temporale eccedente sia le specifiche esigenze cautelari che quello usualmente trascorso nella dimora per le ordinarie necessità di vita, riposo e cura della propria ed altrui persona)».

1.2. L’ordinanza impugnata non si è, pertanto, conformata ai principi sopra indicati, in quanto ha genericamente affermato che la misura dell’obbligo di dimora nel Comune di Desio imposta all’imputato era «sostanzialmente assimilabile al regime degli arresti domiciliari» perché accompagnata dal divieto di lasciare l’abitazione per un periodo di quindici ore, e perché imposta «nella piccola località ove risiedeva l’imputato quindi con ulteriori ridotte facoltà di movimento». Il giudice avrebbe dovuto, invece, valutare se l’ulteriore obbligo di trattenersi nell’abitazione eccedesse il tempo abitualmente trascorso in casa per svolgere le ordinarie attività di riposo e cura, alla luce del concreto contenuto dell’obbligo stesso. Nel caso di specie avrebbe dovuto, in particolare, valutare che l’orario imposto occupa, per la sua maggior parte, le ore notturne, cioè il periodo in cui abitualmente le persone si trattengono nella propria abitazione, e che solo occasionalmente viene dedicato, in parte, ad attività da svolgersi all’esterno, mentre all’imputato è stata lasciata la piena libertà di movimento, con i soli limiti imposti dall’obbligo di dimora, per il tempo e gli orari propri di una normale giornata lavorativa.

L’ordinanza è, poi, del tutto erronea laddove assimila la misura dell’obbligo di dimora a quella degli arresti domiciliari anche perché imposta in una piccola località, in quanto anche ciò limiterebbe la facoltà di movimento dell’imputato.

La libertà di movimento non è correlata alla grandezza dell’area territoriale in cui l’imputato è obbligato a trattenersi, essendo questa, in ogni caso, notevolmente più ampia del luogo in cui viene abitualmente scontata la misura degli arresti domiciliari. Affermare il contrario significa eliminare ogni differenza tra la misura dell’obbligo di dimora e quella degli arresti domiciliari quando la prima venga applicata a carico di persone dimoranti nei molti Comuni italiani di piccole dimensioni, mentre la diversità della limitazione alla libertà di movimento imposta dalle due misure è di assoluta ed immediata evidenza.

2. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, accolto, e l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano per un nuovo giudizio, da svolgersi con piena libertà valutativa, ma nel rispetto dei principi sopra puntualizzati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al G.i.p. del Tribunale di Milano.

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