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La Cassazione deve dichiarare inammissibile l’impugnazione non rilevata dal giudice di secondo grado?

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Cass. pen., sez. II, 17/04/2024 (ud. 17/04/2024, dep. 23/05/2024), n. 20506 (Pres. Rago, Rel. Saraco)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se l’inammissibilità dell’impugnazione, non rilevata dal giudice di secondo grado, deve essere dichiarata dalla Cassazione.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Brescia dichiarava l’inammissibilità di un’istanza di revisione avanzata in relazione ad una sentenza emessa dal Tribunale di Varese, che aveva condannato l’istante per il delitto di cui all’art. 648-ter cod. pen., così riqualificata l’originaria contestazione ai sensi dell’art. 648-bis cod. pen..

Ciò posto, avverso questa decisione il difensore ricorreva per Cassazione.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità, nel ritenere il ricorso suesposto inammissibile, tra le diverse questioni giuridiche ivi affrontate, come suesposto prima, affrontava anche quella riguardante se la Cassazione deve dichiarare inammissibile l’impugnazione non rilevata dal giudice di secondo grado.

Difatti, in tale pronuncia, gli Ermellini affermano che il rilievo della inammissibilità compete ex officio anche alla Corte di Cassazione, dovendo il giudice di legittimità verificare, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, “se non si tratti di motivi manifestamente infondati o altrimenti inammissibili o comunque non concernenti un punto decisivo” (Sez. 2 n.31278 del 15/05/2019) dato che, con risalente e mai confutato indirizzo esegetico, si è sostenuto che la inammissibilità dell’impugnazione non rilevata dal giudice di secondo grado deve essere dichiarata dalla Cassazione, quali che siano state le determinazioni cui detto giudice sia pervenuto nella precedente fase processuale, atteso che, non essendo le cause di inammissibilità soggette a sanatoria, esse devono essere rilevate, anche d’ ufficio, in ogni stato e grado del procedimento (Così già Sez. 4, n. 16399 del 03/10/1990; conf. Da ultimo, Sez. 2, n. 40816 del 10/07/2014; Sez. 3 n. 20356 del 02/12/2020).

I risvolti applicativi

La Cassazione deve dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione, anche se non rilevata dal giudice di secondo grado, posto che le cause di inammissibilità non possono essere sanate e devono essere rilevate in ogni fase del procedimento, anche d’ufficio.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 2 Num. 20506 Anno 2024

Presidente: RAGO GEPPINO

Relatore: SARACO ANTONIO

Data Udienza: 17/04/2024

Data Deposito: 23/05/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A. R. nato il … a …

avverso l’ordinanza in data 23/10/2023 della CORTE DI APPELLO DI BRESCIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ANTONIO SARACO;

letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale PASQUALE SERRAO D’AQUINO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

lette la memoria con motivi nuovi e la memoria di replica fatte pervenire dall’Avvocato N. F. M..

RITENUTO IN FATTO

A. R., per il tramite del suo procuratore speciale, impugna l’ordinanza in data 23/10/2023 della Corte di appello di Brescia, che ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di revisione avanzata in relazione alla sentenza n. 571 del 10/05/2021 del Tribunale di Varese (irrevocabile il 25/06/2012 a seguito di declaratoria di inammissibilità dell’appello), che lo aveva condannato per il delitto di cui all’art. 648-ter cod. pen., così riqualificata l’originaria contestazione ai sensi dell’art. 648-bis cod. pen..

Il ricorrente premette di avere già presentato una prima istanza di revisione ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., indicando quale prova nuova una perizia tecnico informatica dello studio B., volta a dimostrare che gli indirizzi IP utilizzati per l’esecuzione dei bonifici non erano riconducibili ad A.. Specifica che tale istanza veniva dichiarata inammissibile dalla Corte di appello e che il successivo ricorso avverso tale decisione veniva dichiarato inammissibile dalla Corte di cassazione con sentenza in data 28/06/2022.

Aggiunge che «in data 8 febbraio 2023 il signor A. presentava nuova istanza di revisione fondata sui medesimi argomenti, censurando la sentenza del Tribunale di Varese e, prim’ancora, le indagini, allegando una consulenza tecnica a firma del dott. M. B.»; che successivamente integrava l’istanza di

revisione con la denuncia sporta nei confronti dei giudici del Tribunale di Varese per avere falsamente indicato in sentenza che l’imputato era gravato da precedenti penali, così motivando la negazione della sospensione condizionale della pena.

Deduce:

1. Errata applicazione dell’art. 634 cod. proc. pen. – Assenza dei presupposti per la declaratoria d’inammissibilità.

Il ricorrente sostiene che la Corte di appello si sarebbe dovuta limitare a valutare la novità della prova prodotta, senza accedere al merito della sua idoneità a scardinare il giudizio di colpevolezza consolidato nella sentenza irrevocabile di cui si chiede la revisione.

2. Errata applicazione dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen..

Anche il secondo motivo muove dalla premessa secondo cui la Corte di appello si sarebbe dovuta limitare a valutare la novità della prova prodotta, senza accedere al merito della sua idoneità a scardinare il giudizio di colpevolezza consolidato nella sentenza irrevocabile di cui si chiede la revisione.

Aggiunge che, in ogni caso, le argomentazioni spese dalla Corte di appello circa l’inidoneità della consulenza B. non possono essere condivise, atteso che i giudici hanno ritenuto l’inammissibilità dell’istanza osservando che detta prova nuova era un elemento diverso rispetto a quello preso in considerazione dal Tribunale di Varese a fondamento della propria decisione.

Osserva che la Corte di cassazione ha sancito l’ammissibilità della consulenza quale prova solo quando essa sia fondata su elementi diversi da quelli presi in considerazione dal precedente giudice.

3. Errata applicazione dell’art. 630, comma 1, lett. d), cod. proc. pen..

A tale proposito il ricorrente premette che A. ha sporto denuncia nei confronti dei magistrati che hanno pronunciato la sentenza di cui si chiede la revisione, in relazione al reato di falso materiale commesso da pubblico ufficiale.

Spiega che sulla base di tale presupposto ha avanzato istanza di revisione ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. d), cod. proc. pen. che, però, la Corte di appello ha dichiarato inammissibile rilevando la mancata allegazione della sentenza irrevocabile di condanna per il reato di falso.

Si deduce, dunque, che la Corte di appello ha ecceduto rispetto ai propri limiti decisionali.

4. Errata applicazione dell’art. 634 cod. proc. pen. – Omessa richiesta del parere del Pubblico ministero, ai fini della decisione sull’inammissibilità – Compressione del contraddittorio.

A tale riguardo il ricorrente osserva che non è stato comunicato l’eventuale parere del Pubblico ministero circa l’istanza di revisione, così che non ha potuto difendersi sulle argomentazioni eventualmente sviluppate da quell’Ufficio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

Va premesso che l’istanza di revisione è stata presenta sia ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., sia ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. d), cod. proc. pen..

Con l’istanza ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., il ricorrente ha indicato quale prova nuova una consulenza stilata dallo studio B..

L’istanza ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. d), cod. proc. pen. è stata avanzata sul presupposto che i giudici del Tribunale di Varese avrebbero commesso il reato di falso materiale nel pronunciare la sentenza di cui si chiede la revisione.

In entrambi i casi si perviene a una declaratoria d’inammissibilità.

1.1. Quanto all’istanza presentata ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. va rilevato come essa sia identica ad altra precedente già presentata da A. e dichiarata inammissibile dalla Corte di appello e quindi dalla Corte di cassazione con sentenza n. 26912 del 28/06/2022.

Tale preliminare notazione serve a evidenziare come l’esame della nuova istanza sia preclusa dal divieto di bis in idem, visto che anche l’istanza oggi in esame è presentata sulla base delle medesime argomentazioni (per come pure riconosciuto dal ricorrente) e sulla base dell’identica indicazione della consulenza dello studio c.d. B. della prima istanza, la cui inammissibilità è già stata affermata in via

definitiva.

Questa Corte, invero, ha già affermato che il principio “ne bis in idem”, finalizzato ad evitare che per lo stesso fatto si svolgano più procedimenti e si adottino più provvedimenti anche non irrevocabili, l’uno indipendentemente dall’altro, assume portata generale nel vigente diritto processuale penale, trovando espressione nelle norme sui conflitti positivi di competenza (art. 28 e segg. cod. proc. pen.), nel divieto di un secondo giudizio (art. 649 cod. proc. pen.), nella disciplina dell’ipotesi di una pluralità di sentenze per il medesimo fatto (art. 669 cod. proc. pen.) (Sez. 1, Sentenza n. 27834 del 01/03/2013, omissis, Rv. 255701 – 01; Sez. 6, n. 1892 del 18/11/2004, dep. 21/01/2005, omissis, Rv. 230760).

Tale portata generale importa che è precluso l’esame di una seconda istanza anche nel caso di revisione fondata sui medesimi presupposti di altra precedente istanza già giudicata in via definitiva.

Va poi precisato che il rilievo della inammissibilità compete ex officio anche alla Corte di cassazione, dovendo il giudice di legittimità verificare, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, “se non si tratti di motivi manifestamente infondati o altrimenti inammissibili o comunque non concernenti un punto decisivo” (Sez. 2 n.31278 del 15/05/2019, Rv. 276982). Si afferma, infatti, con risalente e mai confutato indirizzo esegetico, che la inammissibilità dell’impugnazione non rilevata dal giudice di secondo grado deve essere dichiarata dalla Cassazione, quali che siano state le determinazioni cui detto giudice sia pervenuto nella precedente fase processuale, atteso che, non essendo le cause di inammissibilità soggette a sanatoria, esse devono essere rilevate, anche d’ ufficio, in ogni stato e grado del procedimento. (Così già Sez. 4, n. 16399 del 03/10/1990, Rv. 185996; conf. Da ultimo, Sez. 2, n. 40816 del 10/07/2014, Rv. 260359; Sez. 3 n. 20356 del 02/12/2020 (dep. 2021) Rv. 281630).

Il principio può essere affermato anche con riguardo alla fattispecie in esame, nel senso che l’istanza di revisione, per come formulata, può essere dichiarata dalla Corte di cassazione, allorché la Corte di appello non abbia rilevato la violazione del divieto di bis in idem.

1.2. Quanto all’istanza di revisione ai sensi dell’art. 630, comma 1, let. D), cod. proc. pen., va ricordato che l’art. 633, comma 3, cod. proc. pen. espressamente dispone che alla richiesta di revisione deve essere unita copia autentica della sentenza irrevocabile di condanna per il reato ivi indicato; la norma

va letta in combinazione con l’art. 634 cod., che dispone l’inammissibilità della richiesta di revisione quando non siano state osservate le disposizioni (tra le altre) dell’art. 633, comma 3, cod. proc. pen..

Ne consegue che la Corte di appello ha legittimamente disposto l’inammissibilità della richiesta di revisione, rilevando che essa non era corredata dalla copia autentica della sentenza irrevocabile di condanna per il reato indicato nella stessa istanza, così facendo corretta applicazione dell’art. 633, comma 3, cod. proc. pen..

1.3. Le ragioni di inammissibilità fin qui evidenziate risaltano la piena legittimità della declaratoria d’inammissibilità con procedura de plano, dovendosi ricordare che «In tema di revisione, le valutazioni preliminari di inammissibilità della richiesta possono essere compiute “de plano”, essendo rimessa alla discrezionalità della Corte d’appello l’adozione del rito camerale partecipato nei casi di

inammissibilità di non evidente ed immediato accertamento», (Sez. 5, Sentenza n. 16218 del 14/01/2022, omissis, Rv. 283396 — 01).

1.4. Il ricorrente deduce, infine, di non avere saputo se il Procuratore generale presso la Corte di appello abbia o meno rassegnato le conclusioni e, conseguentemente. Sulla base di ciò si duole della mancata eventuale comunicazione di tali conclusioni, ove acquisite.

A tale proposito va preliminarmente ricordato che nel giudizio di revisione non è previsto che il pubblico ministero renda il parere sull’ammissibilità della richiesta di revisione (in questo senso, cfr. Sezioni Unite, sentenza n. 15189 del 19/01/2012, omissis, in motivazione).

Alla luce di ciò, in mancanza di prova e/o deduzione di segno contrario, deve ritenersi che il procedimento si sia svolto secondo le regole stabilite dal codice di rito, ossia senza l’acquisizione del parere del pubblico ministero circa l’ammissibilità dell’istanza di revisione.

Tanto fa risaltare il difetto di specificità della deduzione difensiva, che apoditticamente solleva un dubbio -del tutto soggettivo e indimostrato- circa l’eventuale acquisizione del parere del pubblico ministero (e la conseguente mancata comunicazione).

Il ricorrente, invero, ha evidenziato che tale evenienza non emerge dalla lettura dell’ordinanza, ma non dichiara di avere effettuato eventuali verifiche presso la Cancelleria della Corte di appello su tale evenienza, così che la doglianza si mostra un’ipotesi astratta, priva di indicazioni oggettive che faccia emergere e/o ritenere che la Corte di appello abbia -irritualmente- acquisito detto parere.

Il ricorrente, quindi, non allega la benché minima circostanza da cui sia possibile ricavare che tale parere sia stato effettivamente reso dal pubblico ministero e acquisito dalla corte di appello, così che la doglianza si mostra priva del benché minimo substrato di concretezza, necessaria per farla assurgere a specifico motivo di ricorso per cassazione.

2. Quanto esposto porta alla declaratoria di inammissibilità

dell’impugnazione, cui segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

3. L’inammissibilità del ricorso principale travolge anche le ulteriori argomentazioni contenute nella memoria difensiva depositata nelle more dell’odierno giudizio.

4. La questione di legittimità costituzionale dedotta con la memoria aggiuntiva risulta affatto generica, non specificando in quale maniera vi sarebbe stata violazione dei parametri costituzionali evocati. Da qui la sua manifesta infondatezza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

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