Cass. pen., sez. I, 4/03/2025 (ud. 4/03/2025, dep. 15/05/2025), n. 18390 (Pres. Santalucia, Rel. Grieco)
Indice
- La questione giuridica
- Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica
- I risvolti applicativi
La questione giuridica
La questione giuridica, affrontata dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se l’opposizione proposta al Tribunale di sorveglianza avverso i provvedimenti del Magistrato di sorveglianza in materia di espulsione ex art. 16, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998[1] può essere dichiarata inammissibile ai sensi del combinato disposto degli artt. 666, comma 2[2], e 678, comma 1, cod. proc. pen.[3].
Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.
Il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma dichiarava inammissibile un’opposizione avverso un decreto di espulsione, adottata quale sanzione alternativa alla detenzione, avendo «il condannato rinunciato ai termini per l’opposizione».
Ciò posto, avverso questa decisione il difensore dell’opponente ricorreva per Cassazione il quale, tra i motivi ivi addotti, deduceva la nullità del provvedimento impugnato in riferimento alle disposizioni di cui agli artt. 70, comma 2, ord. giud e artt. 33 e 34 cod. pen. per violazione delle norme in materia di capacità del giudice e composizione dei collegi giudicanti e in materia di incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento.
In particolare, il ricorrente eccepiva la violazione delle sopramenzionate disposizioni in quanto l’atto di opposizione era stato dichiarato inammissibile con decreto del Presidente del Tribunale, nella persona fisica dello stesso magistrato che aveva emanato il provvedimento impugnato.
Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica
Il Supremo Consesso riteneva il motivo suesposto fondato.
In particolare, tra le argomentazioni che inducevano gli Ermellini ad addivenire a siffatto esito decisorio, dopo essersi fatto presente che, nel procedimento di sorveglianza, la declaratoria di inammissibilità dell’istanza del condannato, pronunciata con decreto presidenziale emesso inaudita altera parte ai sensi del combinato disposto degli artt. 666, comma 2, e 678, comma 1, cod. proc. pen.; è espressamente limitata alle ipotesi in cui la richiesta appaia manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge ovvero costituisce mera riproposizione di richiesta già respinta e basata sui medesimi elementi, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo il quale «tale forma di declaratoria non è, dunque, applicabile nei giudizi di impugnazione, al cui genus èriconducibile, alla stregua del consolidato orientamento di legittimità, l’opposizione proposta al tribunale di sorveglianza avverso i provvedimenti del magistrato di sorveglianza in materia di espulsione ex art. 16, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998 (così Sez. 1, n. 41753 del 16/9/2013; Sez. I, n. 38699 del 28/9/2007; Sez. 1, n. 281 del 13/12/2007; Sez. 1, n. 9235 del 19/12/2003), facendosene conseguire da ciò che il relativo giudizio è soggetto alle regole generali previste dal codice in tema di impugnazioni, tra le quali quella contenuta nell’art. 591 cod. proc. pen., il quale esclude l’applicazione dell’art. 666 comma 2, cod. proc. pen. dettato per il ricorso introduttivo e non esportabile nel giudizio di impugnazione, nel quale l’inammissibilità, per le tassative ragioni di cui all’art. 591, comma 1, cod. proc. pen., è dichiarata con ordinanza dal giudice dell’impugnazione (ex art. 591, comma 2, cod. proc. pen.) e, dunque, nel caso in cui questo sia un organo collegiale, dal Collegio». (Sez. I, n. 48949 del 7/11/2019).
I risvolti applicativi
Se è vero che la dichiarazione di inammissibilità, emessa inaudita altera parte, nel procedimento di sorveglianza, è ammessa solo quando l’istanza sia manifestamente infondata o riproponga motivi già respinti, tuttavia, tale modalità non è applicabile ai giudizi di impugnazione, come l’opposizione al Tribunale di sorveglianza contro i provvedimenti del Magistrato in materia di espulsione, dovendo essa essere annoverata nell’ambito dei giudizi di impugnazione secondo quanto rilevato ormai da una giurisprudenza consolidata.
[1]Ai sensi del quale: “Nei confronti dello straniero, identificato, detenuto, che si trova in taluna delle situazioni indicate nell’articolo 13, comma 2, che deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni, è disposta l’espulsione. Essa non può essere disposta nei casi di condanna per i delitti previsti dall’articolo 12, commi 1, 3, 3-bis e 3-ter, del presente testo unico, ovvero per uno o più delitti previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a) del codice di procedura penale, fatta eccezione per quelli consumati o tentati di cui agli articoli 628, terzo comma e 629, secondo comma, del codice penale. In caso di concorso di reati o di unificazione di pene concorrenti, l’espulsione è disposta anche quando sia stata espiata la parte di pena relativa alla condanna per reati che non la consentono”.
[2]Secondo cui: “Se la richiesta appare manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge ovvero costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi, il giudice o il presidente del collegio, sentito il pubblico ministero, la dichiara inammissibile con decreto motivato, che è notificato entro cinque giorni all’interessato. Contro il decreto può essere proposto ricorso per cassazione”.
[3]Alla stregua del quale: “Il magistrato di sorveglianza, nelle materie attinenti alle misure di sicurezza e alla dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere, e il tribunale di sorveglianza, nelle materie di sua competenza, se non diversamente previsto, procedono, a richiesta del pubblico ministero, dell’interessato, del difensore o di ufficio, a norma dell’articolo 666. Quando vi è motivo di dubitare dell’identità fisica di una persona, procedono comunque a norma dell’articolo 667, comma 4”, cod. proc. pen..