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Sulla tenuità del fatto, la valutazione richiesta richiede l’analisi dettagliata di tutti gli elementi di cui all’art. 133 c.p.?

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Cass. pen., sez. II, 19/01/2024 (ud. 19/01/2024, dep. 11/04/2024), n. 14966 (Pres. Beltrami, Rel. Cersosimo)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se, in tema di riconoscimento della tenuità del fatto, la valutazione complessiva di tutte le peculiarità della fattispecie concreta nei termini previsti dall’art. 133 cod. pen. implica la necessaria disamina di tutti gli elementi di valutazione.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Messina, in parziale riforma di una sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale della medesima città, condannava l’imputato alla pena di mesi 3 di reclusione in relazione al reato continuato di cui agli artt. 635 e 612 cod. pen..

Ciò posto, avverso questa decisione il difensore dell’accusato proponeva ricorso per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, costui deduceva violazione dell’art. 131-bis cod. pen. e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto in relazione al reato di danneggiamento.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Gli Ermellini ritenevano il motivo suesposto inammissibile, ritenendo come la Corte di merito avesse correttamente applicato il principio di diritto secondo il quale, in tema di riconoscimento della tenuità del fatto, la valutazione complessiva di tutte le peculiarità della fattispecie concreta nei termini previsti dall’art. 133 cod. pen. non implica la necessaria disamina di tutti gli elementi di valutazione, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, n. 55107 del 8/11/2018; Sez. 7, n. 10481 del 19/01/2022).

I risvolti applicativi

Nella valutazione della tenuità del fatto, non è obbligatorio esaminare tutti gli elementi di valutazione di cui all’art. 133 del codice penale[1], essendo sufficiente indicare solo quelli, menzionati da questa disposizione legislativa, considerati rilevanti per la decisione.

[1]Ai sensi del quale: “Nell’esercizio del potere discrezionale indicato nell’articolo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta: 1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione; 2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; 3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa. Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta: 1) dai motivi a delinquere e dal carattere del reo; 2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato; 3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato; 4) dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo”.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 2 Num. 14966 Anno 2024

Presidente: BELTRANI SERGIO

Relatore: CERSOSIMO EMANUELE

Data Udienza: 19/01/2024

Data Deposito: 11/04/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

T. L. nato a … il …

avverso la sentenza del 17/05/2023 della Corte di Appello di Messina.

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Emanuele Cersosimo;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Vincenzo Senatore, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata

lette le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. D. M. R., che ha insistito nei motivi di ricorso e chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato.

RITENUTO IN FATTO

1. L. T., a mezzo del suo difensore, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del 17 maggio 2023 con la quale la Corte di Appello di Messina, in parziale riforma della sentenza emessa, in data 07 novembre 2022, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Messina, lo ha condannato alla pena di mesi 3 di reclusione in relazione al reato continuato di cui agli artt. 635 e 612 cod. pen.

2. Il ricorrente, con il primo motivo di impugnazione, lamenta violazione dell’art. 131-bis cod. pen. e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto in relazione al reato di danneggiamento.

La Corte territoriale non avrebbe tenuto conto che l’invocata causa di non punibilità è applicabile anche in caso di reato continuato laddove, come nel caso di specie, i reati vengano commessi nel medesimo contesto spazio-temporale e siano fondati su di un’unica volizione criminosa.

A giudizio della difesa, i due precedenti penali del ricorrente non dimostrerebbero l’abitualità del comportamento delittuoso in quanto non sarebbero della stessa indole rispetto al contestato reato di danneggiamento.

Inoltre, i giudici di appello, con motivazione apparente, avrebbero ritenuto non applicabile l’art. 131-bis cod. pen. in considerazione della gravità del fatto, senza indicare i motivi a fondamento di tale valutazione.

3. Il ricorrente, con il secondo motivo di impugnazione, lamenta violazione dell’art. 62 n. 6 cod. pen. e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’invocata circostanza attenuante.

La Corte territoriale avrebbe ritenuto incongruo il risarcimento del danno sulla base di una valutazione sommaria, senza specificare perché la somma offerta non sarebbe sufficiente per l’integrale ristoro del danno materiale patito dalla persona offesa, nonostante l’accettazione delle persone offesa, espressa tacitamente attraverso la mancata costituzione di parte civile.

I giudici di appello non avrebbero, inoltre, svolto alcuna considerazione sul ravvedimento manifestato dall’imputato dopo la consumazione del reato con l’iniziativa risarcitoria e la redazione della lettera di scuse in atti.

4. Il ricorrente, con il terzo ed il quarto motivo di impugnazione, lamenta la violazione degli artt. 62-bis e 81 cpv. cod. pen. e la mancata riduzione della pena applicata a titolo di continuazione in considerazione del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

I giudici di merito non avrebbero, infatti„ ridotto ex art. 62-bis cod. pen., la pena applicata per il reato satellite di cui all’art. 612 cod. pen. con conseguente erronea applicazione della legge penale.

Inoltre, la Corte di merito avrebbe determinato un aumento per la continuazione pari a giorni quindici di reclusione nonostante il reato di minaccia semplice preveda esclusivamente la pena della multa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è aspecifico e non consentito in sede di legittimità.

La Corte di appello ha correttamente escluso l’applicazione del disposto di cui all’art. 131-bis cod. pen., non ravvisando nella condotta della ricorrente gli estremi della tenuità del fatto, in considerazione della gravità della condotta posta in essere e dei due precedenti penali di cui l’imputato è gravato, che escludono la non abitualità del comportamento, richiesta espressamente dalla disposizione invocata (vedi pag. 3 della sentenza impugnata).

Tale ricostruzione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.

Va ribadito, peraltro, che la Corte di merito ha fatto corretto uso del principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di riconoscimento della tenuità del fatto, la valutazione complessiva di tutte le peculiarità della fattispecie concreta nei termini previsti dall’art. 133 cod. pen. non implica la necessaria disamina di tutti gli elementi di valutazione, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, n. 55107 del 8/11/2018, RV. 274647, Sez. 7, n. 10481 del 19/01/2022, omissis, Rv. 283044 – 01).

2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato

La Corte territoriale, con motivazione sintetica ma esaustiva e priva di illogicità manifeste, ha correttamente argomentato sulla non concedibilità dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen. (vedi pag. 3 della sentenza impugnata).

L’aggravante invocata è stata correttamente esclusa in considerazione della parzialità del risarcimento, pacifico essendo il principio che, ai fini della configurabilità dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen., il risarcimento del danno deve essere integrale e che la valutazione in ordine alla congruità del risarcimento spetta al giudice, che può anche disattendere, con adeguata motivazione, ogni dichiarazione satisfattiva della parte lesa (cfr. Sez. 5, n. 13282 del 17/01/2013, Rv. 255187-01; Sez. 5, n. 7826 del 30/A/2022, omissis, Rv. 284224 – 01; da ultimo Sez. 2, n. 3130 del 30/11/2023, omissis, non massimata), atteso anche che, contrariamente a quanto è stato sostenuto dal ricorrente, la mancata costituzione di parte civile non costituisce motivo per ritenere l’avvenuta integrale soddisfazione della vittima.

Il Collegio intende ribadire il principio di diritto secondo cui la valutazione della congruità del risarcimento del danno -comprensivo non solo di quello patrimoniale ma anche di quello morale- è rimessa all’apprezzamento del giudice di merito il quale, oltre a considerare il quantum, deve valutare l’avvenuto ravvedimento del reo e la neutralizzazione della sua pericolosità sociale, che l’integrale risarcimento del danno implica (Sez. 5, n. 116 del 08/10/2021, omissis, Rv. 282424 – 01); complessivo giudizio che non è sindacabile in sede di legittimità qualora -come nel caso di specie- sia congruamente e logicamente motivato (Sez. 1, n. 923 del 22/06/1982, omissis, Rv. 157229-01; da ultimo Sez. 2, n. 32347 del 18/06/2019, omissis, non massimata).

3. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso inerenti alla determinazione del trattamento sanzionatorio sono fondati.

Il Collegio intende dare seguito al principio di diritto secondo cui la riduzione conseguente al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche deve essere applicata a tutti i reati uniti dal vincolo della continuazione ogniqualvolta le attenuanti siano concesse per motivi attinenti alla personalità dell’imputato (vedi Sez. 2, n. 10995 del 13/02/2018, omissis, Rv. 272375 – 01 nonché Sez. 6, n. 12414 dell’08/03/2011, V., Rv. 249646 – 01: “in tema di reato continuato, il giudice non ha espressamente indicato le imputazioni in relazione alle quali sono state riconosciute le circostanze attenuanti, queste devono intendersi riferite a tutti i reati in contestazione, non solo per la mancanza di una specifica indicazione segno contrario, ma anche per il principio del favor rei e per la natura stessa di tali circostanze, basate su considerazioni attinenti alla personalità dell’imputato e pertanto concedibili in relazione a tutti i fatti addebitatigli”; da ultimo Sez. 3, n. 43996 del 12/09/2023, omissis, non massimata).

La Corte territoriale, a seguito del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in considerazione della comprovata resipiscenza manifestata dall’imputato, avrebbe dovuto ragguagliare la pena detentiva applicata per la continuazione con il reato satellite alla pena pecuniaria in applicazione dell’art. 135 cod. pen., ciò in considerazione del fatto che il reato di cui all’art. 612, comma primo, cod. pen. è sanzionato con la sola pena pecuniaria.

Le Sezioni Unite di questa Corte, in caso di concorso di reati puniti con sanzioni eterogenee, sia nel genere sia nella specie, per cui sia riconosciuto il vincolo della continuazione, hanno, infatti, statuito che l’aumento di pena per il reato-satellite deve essere effettuato secondo il criterio della pena unica progressiva per moltiplicazione, rispettando tuttavia, per il principio di legalità della pena e del favor rei, il genere della pena prevista per il reato-satellite, e dunque l’aumento della pena detentiva del reato più grave dovrà essere ragguagliato a pena pecuniaria ai sensi dell’art. 135 cod. pen. (vedi Sez. U, n. 40983 del 21/06/2018, omissis, Rv. 273751- 01; da ultimo Sez. 5, n. 45615 del 28/09/2023, omissis, non massimata).

A tali coordinate ermeneutiche non si armonizza la decisione in verifica, in punto di commisurazione della pena laddove la sanzione è stata determinata prevedendo, sul più grave reato di cui al capo 1), l’aumento di mesi 4 e giorni 15 di reclusione per il reato di cui all’art. 612, comma primo, cod. pen. che, dunque, quanto al genere di pena, si appalesa disallineato rispetto ai principi sopra illustrati.

Ciò detto, tenuto conto dei criteri indicati nelle sentenze di merito, è possibile procedere direttamente, ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen., alla rideterminazione della pena finale in mesi due e giorni venti di reclusione ed euro 2.500 di multa.

Dalle considerazioni che precedono deriva l’accoglimento del terzo e quarto motivo di ricorso con l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, che ridetermina in mesi due e giorni venti di reclusione ed euro 2.500 di multa.

Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

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