Quando il prelievo di somme per retribuzione da parte dell’amministratore integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione?

Facebook
LinkedIn

Cass. pen., sez. V, 30/10/2024 (ud. 30/10/2024, dep. 02/01/2025), n. 98 (Pres. Pezzullo, Rel. Belmonte)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava quando la condotta dell’amministratore, che prelevi dalle casse sociali somme a lui spettanti come retribuzione, integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Trieste, in parziale riforma di una decisione emessa dal Tribunale di quella stessa città, dichiarava l’imputato colpevole dei reati di bancarotta fraudolenta per distrazione, riconoscendo al contempo la circostanza attenuante di cui all’art. 219 co. 3 L.F., prevalente, unitamente alle già riconosciute attenuanti generiche, sulla aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta, riducendo la pena principale a mesi otto di reclusione, a cui veniva commisurata anche la durata delle pene accessorie fallimentari.

Ciò posto, avverso questa decisione ricorreva per Cassazione il difensore dell’imputato che, tra i motivi ivi addotti, deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla bancarotta per distrazione.

Difatti, secondo il ricorrente, i prelievi, piuttosto modesti e dilazionati nel tempo corrispondevano al compenso per l’amministrazione della società, per cui, al più, poteva ritenersi integrata una ipotesi di bancarotta preferenziale.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Gli Ermellini ritenevano il motivo suesposto infondato.

In particolare, tra le argomentazioni che inducevano i giudici di piazza Cavour ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo cui commette il reato di bancarotta per distrazione, e non quello di bancarotta preferenziale, l’amministratore di una società di capitali che preleva dalle casse sociali somme asseritamente corrispondenti a crediti da lui vantati per il lavoro prestato nell’interesse della società, senza l’indicazione di dati ed elementi di confronto che ne consentano un’adeguata valutazione, quali, ad esempio, gli impegni orari osservati, gli emolumenti riconosciuti a precedenti amministratori o a quelli di società del medesimo settore, i risultati raggiunti (Sez. 5, n. 49509 del 19 luglio 2017).

I risvolti applicativi

L’amministratore di una società di capitali commette bancarotta per distrazione, e non preferenziale, quando preleva somme dalle casse sociali senza fornire dati adeguati per valutare la legittimità del prelievo, come orari di lavoro, compensi di altri amministratori o risultati ottenuti.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 5 Num. 98 Anno 2025

Presidente: PEZZULLO ROSA

Relatore: BELMONTE MARIA TERESA

Data Udienza: 30/10/2024

Data Deposito: 02/01/2025

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

E. M. S. nato a … il …

avverso la sentenza del 12/03/2024 della CORTE APPELLO di TRIESTE

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita ia relazione svolta dal Consigliere MARIA TERESA BELMONTE;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FERDINANDO LIGNOLA, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnatala la Corte di appello di Trieste – in parziale riforma della decisione del Tribunale di quella stessa città, che aveva dichiarato S. E. M. (quale legale rappresentante della A. a. s. i s.r.l.) colpevole dei reati di bancarotta fraudolenta per distrazione della somma di 18.079,47, di aggravamento del dissesto per ritardo nella richiesta del fallimento, nonché di bancarotta documentale semplice, per l’irregolare tenuta delle scritture contabili  così riqualificato il capo B) – ha riconosciuto la circostanza attenuante di cui all’art. 219 co. 3 L.F., prevalente, unitamente alle già riconosciute attenuanti generiche, sulla aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta, riducendo la pena principale a mesi otto di reclusione, a cui ha commisurato anche la durata delle pene accessorie fallimentari.

2. Propone ricorso l’imputato, con il ministero del difensore di fiducia avvocato E. S., che articola due motivi, denunciando:

2.1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla bancarotta per distrazione, poiché i prelievi, piuttosto modesti e dilazionati nel tempo, per circa 540 euro al mese, corrispondono al compenso per l’amministrazione della società, per cui, al più, può ritenersi integrata una ipotesi di bancarotta preferenziale;

2.2. carenza di motivazione in relazione alla bancarotta per aggravamento del dissesto per ritardo nella richiesta del fallimento, per difetto della colpa grave e perché non vi è stato aggravamento del dissesto, che, nel 2015, era pari a quello del 2010.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non è fondato.

1.In primo luogo deve darsi atto che il ricorrente formula obiezioni esclusivamente nei confronti di una delle condotte distrattive accertate. Invero, la Corte territoriale – conformemente alla contestazione contenuta nell’imputazione – ha ravvisato una duplice modalità distrattiva, costituita da prelevamenti dai conti correnti sociali di importi pari a euro 16.320, e dal mancato rinvenimento dell’importo di almeno euro 1759,47 nel fondo cassa.

1.1. Ora, le doglianze del ricorrente, come premesso, si concentrano sul primo aspetto, dolendosi della qualificazione giuridica del fatto, da considerarsi, per l’entità dei prelievi, come destinati a compensare l’attività di amministrazione svolta per la società e, dunque, al più, come bancarotta preferenziale.

1.2. La tesi non è corretta, dal momento che la condotta dell’amministratore che prelevi dalle casse sociali somme a lui spettanti come retribuzione integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione se tali compensi non risultino specificamente indicati nello statuto e non vi sia stata determinazione di essi con delibera assembleare. Invero, l’art. 2389 cod. civ. stabilisce che la misura del compenso degli amministratori di società di capitali, qualora non sia stabilita nello statuto, sia determinata con delibera assembleare (sez.5, n. 50836 del 03/11/2016, Rv. 268433), non essendo giustificabile alcuna autoliquidazione dei compensi dell’amministratore. (Sez. 5, n. 30105 del05/06/2018 Rv. 273767). Anche laddove effettivamente dovuta, la retribuzione dell’amministratore deve essere certa non solo nell’an, ma altresì nel quantum, mentre la liquidazione della sua entità non è rimessa allo stesso percettore, bensì, per l’appunto, o allo statuto o all’organo assembleare. Condizioni che nel caso di specie non ricorrono, in assenza di deliberazione di quest’ultimo – né il ricorso ha sostenuto che la stessa esista – e di espressa previsione nello statuto dell’ammontare del compenso, che, infatti, il ricorrente calcola in maniera del tutto astratta e sommaria, rivelando come, a tutto concedere, l’imputato avrebbe provveduto ad una indebita “autoliquidazione” dei suoi compensi, del tutto ingiustificabile, anche solo agli eventuali fini di una derubricazione del fatto nella meno grave fattispecie di bancarotta preferenziale. E’, infatti, necessario ricordare come questa Corte

abbia precisato che commette, per l’appunto, il reato di bancarotta per distrazione, e non quello di bancarotta preferenziale, l’amministratore di una società di capitali che preleva dalle casse sociali somme asseritamente corrispondenti a crediti da lui vantati per il lavoro prestato nell’interesse della società, senza l’indicazione di dati ed elementi di confronto che ne consentano un’adeguata valutazione, quali, ad esempio, gli impegni orari osservati, gli emolumenti riconosciuti a precedenti amministratori o a quelli di società del medesimo settore, i risultati raggiunti (Sez. 5, n. 49509 del 19 luglio 2017, omissis, Rv. 271464), anche alla luce della circostanza, di cui dà atto la sentenza impugnata, che lo stesso ricorrente ha dichiarato di non avere mai percepito compensi in qualità di amministratore.

1.3. Deve aggiungersi anche che la tesi che si trattasse di una società di persone o individuale, come affermato dal ricorrente nell’atto di appello, è del tutto congetturale, in assenza di alcun accertamento in fatto, avendo, invece, la Corte di appello premesso che quella gestita dall’imputato era una società di capitali; e, comunque, pure a volere seguire detta tesi, anche in tal caso mancherebbe la previsione di un compenso per l’amministratore.

1.4. Come premesso, poi, il ricorrente non si misura con l’ulteriore circostanza – integrante l’ulteriore condotta distrattiva contestata -del mancato rinvenimento del fondo cassa, non riconducibile al compenso dell’amministratore. Per quanto osservato il primo motivo di doglianza non ha pregio.

2. Quanto invece al delitto di mancata tempestiva richiesta di dichiarazione di fallimento, il motivo sollecita una rivalutazione di prove, non consentita in sede di legittimità. Dalla sentenza impugnata emerge che la società si trovava in stato di decozione fin dal 2010, poiché già a tale epoca si era registrata una grave situazione di sofferenza; che già nel 2014 l’imputato aveva difficoltà a pagare l’affitto per la sede della società; che egli aveva dovuto contrarre finanziamenti presso istituti di credito a tassi definiti dal consulente come usurari, peraltro, incaricando un avvocato di trattare con le banche per comporre i contenziosi con le stesse.

2.1. Correttamente e logicamente la Corte di appello ha ritenuto che, da tali elementi, il ricorrente avrebbe dovuto trarre la conseguenza della necessità di dare corso alla procedura fallimentare, piuttosto che ricorrere al credito bancario e, altrettanto razionalmente, ne ha desunto una provata e consapevole omissione integrante la colpa grave, richiesta per la sussistenza del reato (Sez. 5, n. 18108 del 12/03/2018, Rv. 272823).

3.Al rigetto del ricorso segue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2024.

Leggi anche

Contenuti Correlati
bilancia della giustizia
Ordinamento penitenziario

Il giudice dell’esecuzione può sospendere la pena per reato ostativo se il condannato ha reciso i legami con la criminalità?

In tema di esecuzione di pene detentive, è legittima l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che, in relazione ad una condanna per un reato ostativo ai sensi dell’art. 4-bis, comma 1-ter, Ord. pen., disponga la sospensione dell’esecuzione sul presupposto che il condannato abbia reciso ogni collegamento con la criminalità organizzata?

LEGGI TUTTO »
bilancia della giustizia
Esecuzione

L’errore nel calcolo della pena può essere corretto in fase esecutiva se non dedotto in cognizione?

L’eventuale errore verificatosi nel calcolo della pena conseguente all’esclusione in appello di una circostanza aggravante ad effetto speciale, non dedotto nella fase di cognizione, non può essere rilevato nella fase esecutiva con la richiesta di errore materiale tali dal giudice della cognizione, ovvero provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate?

LEGGI TUTTO »