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Quando è configurabile il delitto di rapina impropria consumata?

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Cass. pen., sez. V, 22/02/2024 (ud. 22/02/2024, dep. 04/04/2024), n. 13811 (Pres. Guardiano, Rel. Sgubbi)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava quando può ritenersi configurabile il delitto di rapina impropria consumata.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha affrontato tale questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Milano confermava una sentenza emessa, a seguito di procedimento con rito abbreviato dal Tribunale di Cremona, con cui l’imputato era stato condannato alla pena di un anno, dieci mesi, venti giorni di reclusione ed euro 900,00 di multa per i reati di rapina aggravata e di lesioni personali, di cui ai capi A) e B).

Ciò posto, avverso la sentenza di secondo grado proponeva ricorso per Cassazione il difensore e procuratore speciale dell’accusato che, tra i motivi ivi addotti, deduceva violazione di legge, con riferimento agli artt. 56 e 628 cod. pen., per l’erronea qualificazione della rapina impropria in fattispecie consumata anziché tentata, posto che non vi era stato impossessamento delle cose sottratte (un telefono cellulare e un borsellino).

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di Cassazione reputava il motivo suesposto infondato.

In particolare, gli Ermellini addivenivano a siffatto esito decisorio alla luce di quell’orientamento nomofilattico secondo cui è configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente, dopo aver compiuto atti idonei alla sottrazione della cosa altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità (Sez. U, n. 34952 del 19/04/2012).

Corollario di tale principio, ribadito dalla successiva giurisprudenza di legittimità, di conseguenza, per la Corte di legittimità, è che, ai fini della configurazione della rapina impropria consumata, è sufficiente che l’agente, dopo aver realizzato la sottrazione della cosa mobile altrui, adoperi violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della “res”, mentre non è necessario che ne consegua l’impossessamento che non rappresenta l’evento del reato ma un elemento che attiene invece al dolo specifico (Sez. 2, n. 11135 del 22/02/2017; Sez. 2, n. 22908 del 19/05/2015).

In conclusione, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, se vi è stata la sottrazione della cosa mobile altrui, l’aver adoperato violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della res, integra la fattispecie della rapina impropria consumata, e non quella della rapina impropria tentata, quand’anche l’impossessamento non si sia verificato e realizzato.

Ebbene, alla stregua di tali enunciati, i giudici di piazza Cavour ritenevano come la ricostruzione operata dai giudici di merito avesse consentito di ricondurre il fatto nella rapina impropria consumata, atteso che l’intervento dell’infermiera, teso a recuperare la refurtiva, era avvenuto dopo che il ricorrente si era appropriato del telefono e del borsellino della vittima ed aveva reagito per evitare di essere fermato, rilevandosi al contempo come tale approccio interpretativo fosse conforme, del resto, ad un orientamento che, pur tra qualche isolata decisione (Sez. 3, n. 7606 del 24/01/2019), è stato anche recentemente ribadito con riguardo a fattispecie analoghe (Sez. 2, n. 6547 del 12/01/2022, richiamata nella sentenza impugnata; Sez. 2, Sentenza n. 15584 del 12/02/2021).

I risvolti applicativi

Per configurare la rapina impropria consumata, è necessario che l’agente, dopo aver sottratto un bene mobile, utilizzi violenza o minaccia per garantirsi o garantire ad altri il possesso della cosa, senza che sia richiesto l’immediato impossessamento del bene atteso che quest’ultima circostanza non costituisce l’evento criminale, ma rappresenta unicamente un elemento legato al dolo specifico dell’agente.


Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 2 Num. 13708 Anno 2024

Presidente: BELTRANI SERGIO

Relatore: AGOSTINACCHIO LUIGI

Data Udienza: 08/03/2024

Data Deposito: 04/04/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

F. A. nato a … il …

avverso la sentenza del 12/10/2023 della CORTE APPELLO di MILANO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI AGOSTINACCHIO;

dato atto che si procede nelle forme di cui all’art. 23, comma 8, d.l. n.137 del 2020 conv. in I. n. 176 del 2020;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ETTORE PEDICINI che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente al secondo motivo di ricorso;

lette le conclusioni del difensore, Avv. G. P. del foro di Busto Arsizio, che ha insistito nell’integrale accoglimento del ricorso, con annullamento della sentenza impugnata.

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza del 12/10/2023 la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza emessa a seguito di procedimento con rito abbreviato dal Tribunale di Cremona il 23/11/2021 di condanna di A. F. alla pena di un anno, dieci mesi, venti giorni di reclusione ed euro 900,00 di multa per i reati di rapina aggravata e di lesioni personali, di cui ai capi A) e B).

2. Avverso la sentenza di secondo grado propone ricorso il difensore e procuratore speciale del F. eccependo la violazione di legge, con riferimento agli artt. 56 e 628 cod. pen. per l’erronea qualificazione della rapina impropria in fattispecie consumata anziché tentata, posto che non vi era stato impossessamento delle cose sottratte (un telefono cellulare e un borsellino); con il secondo motivo la violazione di legge è riferita agli artt. 336 cod. proc. pen. e 582 cod. pen. per la mancata dichiarazione di improcedibilità dell’azione penale per difetto di querela, tale non potendosi ritenere la denuncia della persona offesa.

3. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Dalla lettura delle due sentenze di merito si ricava che il ricorrente era stato sorpreso in un reparto dell’ospedale di S. dopo aver sottratto beni personali di una degente e che, al fine di assicurarsi l’impunità, aveva usato violenza nei confronti di un’infermiera, intervenuta per ostacolarne la fuga.

La Corte di Appello ha correttamente disatteso la richiesta difensiva di ricondurre il fatto nella ipotesi del tentativo (di rapina impropria).

Deve richiamarsi a riguardo l’insegnamento delle sezioni unite, secondo cui è configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente, dopo aver compiuto atti idonei alla sottrazione della cosa altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità (Sez. U, n. 34952 del 19/04/2012, omissis, Rv. 253153-01).

Corollario di tale principio, ribadito dalla successiva giurisprudenza di legittimità, è che ai fini della configurazione della rapina impropria consumata è sufficiente che l’agente, dopo aver realizzato la sottrazione della cosa mobile altrui, adoperi violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della “res”, mentre non è necessario che ne consegua l’impossessamento che non rappresenta l’evento del reato ma un elemento che attiene invece al dolo specifico (Sez. 2, n. 11135 del 22/02/2017, omissis, Rv. 269858; Sez. 2, n. 22908 del 19/05/2015, omissis, Rv. 263996).

In conclusione, se vi è stata la sottrazione della cosa mobile altrui, l’aver adoperato violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della res, integra la fattispecie della rapina impropria consumata, e non quella della rapina impropria tentata, quand’anche l’impossessamento non si sia verificato e realizzato.

Alla stregua di tali enunciati, la ricostruzione operata dai giudici di merito ha consentito di ricondurre il fatto nella rapina impropria consumata, atteso che l’intervento dell’infermiera, teso a recuperare la refurtiva, era avvenuto dopo che il ricorrente si era appropriato del telefono e del borsellino della vittima ed aveva reagito per evitare di essere fermato.

Si tratta di un orientamento che, pur tra qualche isolata decisione (Sez. 3, n. 7606 del 24/01/2019, omissis, non massimata), è stato anche recentemente ribadito con riguardo a fattispecie analoghe (Sez. 2, n. 6547 del 12/01/2022, omissis, n.m., richiamata nella sentenza impugnata; Sez. 2, Sentenza n. 15584 del 12/02/2021, omissis, Rv. 281117).

4. Il secondo motivo di ricorso è infondato.

Sostiene la corte di merito che “è sussistente la condizione di procedibilità necessaria per il delitto di lesioni per cui sia stata accertata una prognosi di un numero di giorni inferiori a venti; infatti, è presente in atti la denuncia sporta dalla persona offesa” (pagina 5).

La denuncia in realtà è atto diverso dalla querela e il ricorrente ha rilevato che essa è priva della espressa manifestazione di volontà di perseguire il responsabile del reato.

La questione, tuttavia, è priva di rilevanza e in tal senso occorre modificare la motivazione della sentenza impugnata. Il delitto di lesioni personali, infatti, commesso – come nel caso di specie – per eseguire il delitto di rapina, è procedibile d’ufficio e non a querela di parte, ricorrendo l’aggravante del nesso teleologico ai sensi del combinato disposto degli artt. 585, 576, primo comma, n. 1 e 61, primo comma, n. 2, cod. pen. (Sez. 2, n. 22081 del 03/07/2020, omissis, Rv. 279436).

5. Il rigetto del ricorso determina, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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