L’esimente di cui all’art. 599 cod. pen.: quando ricorre?

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Cass. pen., sez. V, 6/11/2024 (ud. 6/11/2024, dep. 5/12/2024), n. 44749 (Pres. Pezzullo, Rel. Giordano)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava quando è configurabile l’esimente di cui all’art. 599 cod. pen. che, come è noto, stabilisce quanto segue: “Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dall’articolo 595[1] nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso”.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Ancona confermava una condanna per un caso di diffamazione, disponendo al contempo la condanna in favore della persona offesa, costituitasi parte civile, al pagamento della somma di euro 500,00 a titolo risarcitorio.

Ciò posto, avverso questa decisione ricorrevano per Cassazione, sia l’imputato, che la parte civile.

In particolare, per quanto concerne l’accusato, costui, per il tramite del suo difensore, deduceva violazione dell’art. 595 cod. pen. e correlato vizio di motivazione della decisione impugnata rispetto alle specifiche doglianze formulate in sede di gravame.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Gli Ermellini ritenevano il ricorso suesposto infondato.

In particolare, tra le argomentazioni che inducevano i giudici di piazza Cavour ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, ai fini della configurabilità dell’esimente di cui all’art. 599 cod. pen., ancorché non rilevi la proporzione fra la reazione ed il fatto ingiusto altrui, occorre, tuttavia, che sussista un nesso di causalità determinante tra il fatto provocante ed il fatto provocato, non essendo all’uopo sufficiente un legame di mera occasionalità (Sez. 5, n. 39508 del 11/05/2012).

I risvolti applicativi

Per l’esimente di cui all’art. 599 cod. pen., non è rilevante la proporzione tra reazione e fatto ingiusto, ma è necessario che esista un nesso di causalità determinante tra il fatto provocante e quello provocato, non bastando un legame di mera occasionalità.

[1]Ai sensi del quale: “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516. Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 5 Num. 44749 Anno 2024

Presidente: PEZZULLO ROSA

Relatore: GIORDANO ROSARIA

Data Udienza: 06/11/2024

Data Deposito: 05/12/2024

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

dalla parte civile B. P. nato a … il …

T. A. nato a … il …

Avverso la sentenza del 26/02/2024 della CORTE D’APPELLO DI ANCONA

letti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal Consigliere Rosaria Giordano;

letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, GIUSEPPE SASSONE, che ha chiesto il rigetto del ricorso dell’imputato e l’accoglimento, limitatamente al primo motivo, del ricorso della parte civile;

letta la memoria della parte civile ricorrente, a mezzo del nuovo difensore avv. R. C., che ha insistito per l’accoglimento del ricorso e per la declaratoria di inammissibilità e/o di infondatezza di quello dell’imputato;

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello di Ancona confermava la condanna del T. per il delitto di diffamazione in danno della B. e disponeva altresì la condanna in favore della stessa,

costituitasi parte civile, al pagamento della somma di euro 500,00 a titolo risarcitorio.

2. Avverso la richiamata sentenza propone ricorso, innanzi tutto, l’imputato, con il difensore di fiducia avv. E. S., deducendo violazione dell’art. 595 cod. pen. e correlato vizio di motivazione della decisione impugnata rispetto alle specifiche doglianze formulate in sede di gravame.

Sotto un primo aspetto lamenta che la Corte territoriale ha trascurato di collocare l’appellativo “mitomane” utilizzato nei confronti della parte civile in un più generale contesto nel quale egli mirava a scuotere le coscienze di fronte alle dichiarazioni rese dalla B., che avevano avuto ampio eco anche nella stampa e in trasmissioni di diffusione nazionale, che, andando in contrasto con la ricostruzione operata dalle stesse forze dell’ordine nel senso della natura razzista del delitto, aveva riferito che l’omicidio di un giovane nigeriano era avvenuto sostanzialmente per legittima difesa perché la vittima era stata la prima ad aggredire.

Di qui sarebbe apodittica l’affermazione della Corte d’Appello di Ancona, nel senso di ritenere non scriminata la condotta ai sensi dell’art. 51 cod. pen. per il legittimo esercizio del diritto di cronaca in virtù dell’utilizzo di un’espressione obiettivamente offensiva poiché non avrebbe tenuto conto degli interessi in gioco che avrebbero dovuto essere bilanciati, ossia ristabilire attraverso quelle parole la verità su un efferato omicidio.

Inoltre, la decisione impugnata non avrebbe argomentato in maniera adeguata anche il rigetto del motivo di appello con il quale era stata richiesta l’esclusione della punibilità ai sensi dell’art. 599 cod. pen., atteso che la sua condotta era stata provocata dalla B., la quale, nell’ambito di un precedente scambio di messaggi sul social network facebook, lo aveva apostrofato quale ipocrita e bugiardo.

3. Contro la medesima sentenza propone ricorso per cassazione anche la parte civile, con l’avv. L. D., affidandosi a due motivi, di seguito ripercorsi entro i limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

3.1. Con il primo motivo la B. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 538 cod. proc. pen. in relazione all’art. 1226 cod. civ. e correlata omessa motivazione e travisamento dei fatti rispetto alla liquidazione del danno in quanto effettuata in maniera apodittica nella misura di euro 500,00.

A fondamento di tale censura deduce che non sono stati indicati i criteri in forza dei quali tale liquidazione è stata compiuta, obliterando di considerare le circostanze rappresentante nella memoria di parte in forza delle quali, applicando le tabelle del Tribunale di Milano, la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere il danno “di elevata gravità”, riconoscendo a titolo di risarcimento del danno la somma di euro 30.000,00. Soggiunge che, nel suo argomentare sull’entità del risarcimento, la Corte d’Appello di Ancona avrebbe operato un travisamento dei fatti sminuendo le circostanze rappresentate nell’indicata memoria sull’assunto, non corrispondente al vero, per il quale essa ricorrente si era comunque già ampiamente esposta nella vicenda, in quanto, anche se un quotidiano a diffusione nazionale aveva pubblicato il suo nome e la sua immagine fotografica, ciò era avvenuto senza che avesse rilasciato alcuna intervista né prestato il proprio consenso.

3.2. Con il secondo motivo la B. lamenta che la decisione impugnata ha liquidato le spese violando l’art. 541 cod. proc. pen., non essendosi attenuta ai parametri forensi di cui al D.M. 13 agosto 2022, n. 147.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso dell’imputato non è fondato.

1.1. Sotto un primo aspetto, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, per il quale travalica i limiti della continenza espressiva, che devono essere comunque osservati quando si vada ad esercitare il diritto di cronaca costituzionalmente garantito, l’utilizzo di espressioni che si risolvono in un’aggressione gratuita alla sfera morale altrui o nel dileggio o disprezzo personale (ex plurimis, Sez. 5, n. 9953 del 15/11/2022, dep. 2023, omissis, Rv. 284177 – 01; Sez. 5, n. 320 del 14/10/2021, dep. 2022, omissis, Rv. 282871 – 01).

Nella fattispecie in esame, corna ha correttamente osservato la decisione impugnata, l’utilizzo dell’espressione volutamente denigratoria “mitomane” (e talvolta addirittura di “puzza di mitomane”) nei confronti della parte civile, era finalizzato a screditare la portata delle dichiarazioni della B. di fronte all’opinione pubblica mediante l’incontinente ed illegittimo uso della tecnica della denigrazione personale.

1.2. Quanto all’attenuante della provocazione, il motivo è ai limiti dell’inammissibilità poiché, a differenza di quanto si sostiene nello stesso, la decisione impugnata non ha negato che la parte civile, in un precedente scambio di messaggi sui social con l’imputato, lo aveva definito “ipocrita e bugiardo”, ma ha semplicemente escluso che questo potesse giustificare in termini di reazione

la sua condotta, stante l’assenza di qualsivoglia nesso causale tra l’azione della

parte civile e la pretesa reazione.

A riguardo, va ricordato che da lungo tempo nella giurisprudenza di legittimità è stato affermato il principio per il quale se è vero che nel delitto di diffamazione ai fini dell’art. 599, secondo comma, cod. pen., non ha alcuna rilevanza la proporzione tra la reazione ed il fatto ingiusto altrui, è nondimeno

innegabile che deve sussistere un nesso di causalità determinante tra il fatto provocante ed il fatto provocato e non un semplice legame di mera occasionalità, poiché in quest’ultima ipotesi mancherebbe un vero e proprio stato d’ira e, in realtà, il reo non agirebbe solo per una comprensibile emozione derivante dal fatto ingiusto altrui, ma per un suo particolare stato di malanimo verso il soggetto passivo ovvero per il suo temperamento esageratamente impulsivo, alle cui manifestazioni il fatto altrui è stato soltanto occasione o pretesto (Sez. 5, n. 1203 del 29/11/1968, dep. 1969, omissis, Rv. 110266 – 01).

Questi assunti sono stati sviluppati e sintetizzati nell’elaborazione successiva sottolineando che, ai fini della configurabilità dell’esimente di cui all’art. 599 cod. pen., ancorché non rilevi la proporzione fra la reazione ed il fatto ingiusto altrui, occorre, tuttavia, che sussista un nesso di causalità determinante tra il fatto provocante ed il fatto provocato, non essendo all’uopo sufficiente un legame di mera occasionalità (Sez. 5, n. 39508 del 11/05/2012, omissis, Rv. 253732 – 01).

La Corte territoriale si è mossa nel solco dei superiori principi facendo congruamente leva sull’assenza di qualsivoglia connessione tra i messaggi precedenti inviati dalla parte civile all’imputato, quando questi aveva commentato ironicamente su facebook la sua partecipazione alla trasmissione “…” che ella negava, e il giudizio espresso, in termini incontinenti e denigratori, sulla B. con riferimento alle sue dichiarazioni in merito all’omicidio.

2. Andando ora ad esaminare il ricorso della parte civile, il primo motivo non è fondato.

Invero, in alcun travisamento “dei fatti” (che, del resto, sarebbe insindacabile in questa sede di legittimità) è incorsa la decisione impugnata laddove ha valorizzato, nel determinare l’entità del risarcimento dovuto alla stessa dall’imputato nella somma di euro 500,00, la circostanza che ella era già ampiamente esposta nella vicenda.

Difatti tale considerazione della Corte d’Appello non è da intendersi, come assume la B., nel senso che questa esposizione derivava da una sua volontà, ma è correlata a fatti oggettivi, ossia all’essere stata richiamata la vicenda della sua testimonianza già in trasmissioni televisive e quotidiani nazionali, situazione nella quale è stato ritenuto, con un vaglio non irragionevole, che l’ulteriore sofferenza patita correlata alle espressioni successivamente usate dal T. fosse limitata.

Pertanto, la decisione denunciata ha indicato in maniera esaustiva e logica i parametri ai quali ha ancorato in concreto l’esercizio del proprio potere – che resta equitativo e sindacabile, dunque, solo sul piano della manifesta arbitrarietà (Sez. 3 civ., n. 13153 del 25/05/2017, Rv. 644406 – 01) – di determinazione del danno non patrimoniale subito dalla parte civile.

3. Il secondo motivo del ricorso della stessa B. è inammissibile in quanto generico poiché la violazione dei criteri di cui al D.M. n. 147 del 2022 nella liquidazione delle relative spese relative ai gradi di merito non è stata argomentata con adeguata motivazione specifica.

Occorre ribadire, infatti, che è inammissibile per difetto di specificità il motivo di ricorso per cassazione con cui si censura la statuizione sulle spese processuali liquidate in favore della parte civile senza indicare le voci tabellari i cui limiti, minimo o massimo, sarebbero stati violati, non essendo peraltro sufficiente un riferimento solo sommario, nel ricorso, a tali voci tabellari (Sez. 5, n. 49007 del 14/06/2017, omissis, Rv. 271443 – 01).

5. Pertanto devono nel complesso essere rigettati entrambi i ricorsi, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

6. Le spese della fase di legittimità della parte civile devono essere compensate, stante la reciproca soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali;

Compensa le spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile.

Così deciso in Roma il 6 novembre 2024.

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