Quando è impugnabile per Cassazione la sentenza di patteggiamento che applica una misura di sicurezza?

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Cass. pen., sez. IV, 22/05/2025 (ud. 22/05/2025, dep. 29/05/2025), n. 20182 (Pres. Dovere, Rel. Mari)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava quando è impugnabile per Cassazione la sentenza di patteggiamento che applica una misura di sicurezza.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

Il Tribunale di Taranto applicava, ai sensi degli artt. 444 e ss., cod. proc. pen., nei confronti di una persona, imputata del reato previsto dall’art.73, comma 1 e 80, lett. g, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la pena di anni quattro di reclusione ed € 18.000,00 di multa, così determinata previa esclusione della contestata aggravante e con diminuzione determinata dalla scelta del rito, disponendo al contempo la confisca e la devoluzione all’Erario del denaro in sequestro e la confisca e distruzione di tutto quanto altro ancora in sequestro.

Ciò posto, avverso questa decisione ricorreva per Cassazione il difensore il quale, tra i motivi ivi addotti, censurava la sentenza gravata nel punto inerente alla confisca della predetta somma di denaro.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Il Supremo Consesso riteneva il motivo suesposto infondato.

In particolare, tra le argomentazioni inducevano la Corte di legittimità ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo il quale la sentenza di patteggiamento, che abbia applicato una misura di sicurezza, è ricorribile per Cassazione nei soli limiti di cui all’art. 448, comma 2 bis, cod. proc. pen., ove la misura sia stata oggetto dell’accordo tra le parti, diversamente essendo ricorribile per vizio di motivazione ai sensi della disciplina generale prevista dall’art. 606 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019); conseguendone l’astratta ammissibilità del motivo che, come nel caso di specie e sul presupposto della mancata formazione dell’accordo in ordine alle determinazioni inerenti alla confisca (in relazione al vigente testo dell’art. 444, comma 2, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 25, comma 1, lett. a), n. 2), d.lgs. 10 ottobre 2022, n.150), deduca il vizio di motivazione in ordine a tale specifico profilo.

I risvolti applicativi

La sentenza di patteggiamento con misura di sicurezza è ricorribile per Cassazione solo nei limiti dell’art. 448, comma 2-bis c.p.p.[1], se frutto di accordo tra le parti; altrimenti è impugnabile per vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p. e, quindi, riguardo a quanto previsto dalla lettera e) del primo comma di tale precetto normativo[2].

[1]Ai sensi del quale: “Il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza”.

[2]Secondo cui: “Il ricorso per cassazione può essere proposto per i seguenti motivi: (…)mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 4 Num. 20182 Anno 2025

Presidente: DOVERE SALVATORE

Relatore: MARI ATTILIO

Data Udienza: 22/05/2025

Data Deposito: 29/05/2025

 SENTENZA

sul ricorso proposto da: F. N. nata a … il …

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

sentita la relazione del Cons. Attilio Mari;

letta la requisitoria scritta del PG, che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il GUP presso il Tribunale di Taranto ha applicato, ai sensi degli artt. 444 e ss., cod. proc. pen., nei confronti di N. F., imputata del reato previsto dall’art.73, comma 1 e 80, lett. g, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (in concorso con M. C.) la pena di anni quattro di reclusione ed € 18.000,00 di multa, così determinata previa esclusione della contestata aggravante e con diminuzione determinata dalla scelta del rito; ha altresì disposto la confisca e la devoluzione all’Erario del denaro in sequestro e la confisca e distruzione di tutto quanto altro ancora in sequestro.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione N. F., tramite il proprio difensore, articolando due motivi di impugnazione.

Con il primo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. – la manifesta illogicità della motivazione, nella parte in cui non era giunta a una valutazione critica e analitica dei mezzi di prova.

Con il secondo motivo ha censurato la sentenza gravata nel punto inerente alla confisca della predetta somma di denaro.

Ha dedotto che il giudice aveva disposto il provvedimento ablatorio in totale assenza di motivazione, da ritenersi necessaria in considerazione della mancanza di un accordo tra le parti sullo specifico punto; ha esposto che non sussisteva prova della correlazione tra il denaro sequestrato e la sostanza stupefacente rinvenuta in possesso dell’imputata, deducendo come non fossero confiscabili le somme che, in ipotesi, costituiscono il ricavato di precedenti diverse cessioni di droga e siano destinate ad ulteriori acquisti della medesima sostanza, non potendo le stesse qualificarsi né come “strumento”, né quale “prodotto”, “profitto” o “prezzo” del reato.

3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo motivo, attinente alla dedotta omessa valutazione delle prove – in implicito riferimento alla carenza di motivazione in ordine alla sussistenza delle condizioni per un proscioglimento nel merito – è manifestamente infondato.

Difatti, sulla base della giurisprudenza di questa Corte, in tema di patteggiamento, è inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza applicativa della pena con cui si deduca il vizio di violazione di legge per la mancata verifica dell’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 cod., atteso che l’art. 448, comma 2 bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017 n. 103, limita l’impugnabilità della pronuncia alle sole ipotesi di violazione di legge in esso tassativamente indicate (Sez. 6, n. 1032 del 07/11/2019, dep. 2020, omissis, Rv. 278337; Sez. F, Ordinanza n. 28742 del 25/08/2020, omissis, Rv. 279761).

3. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto estrinsecamente aspecifico.

In ordine al profilo di diritto dedotto nel motivo, deve quindi essere premesso che – sulla base dell’arresto espresso da Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, dep. 2020, omissis, Rv. 279348 – la sentenza di patteggiamento che abbia applicato una misura di sicurezza è ricorribile per cassazione nei soli limiti di cui all’art. 448, comma 2 bis, cod. proc. pen., ove la misura sia stata oggetto dell’accordo tra le parti, diversamente essendo ricorribile per vizio di motivazione ai sensi della disciplina generale prevista dall’art. 606 cod. proc. pen.; conseguendone l’astratta ammissibilità del motivo che, come nel caso di specie e sul presupposto della mancata formazione dell’accordo in ordine alle determinazioni inerenti alla confisca (in relazione al vigente testo dell’art. 444, comma 2, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 25, comma 1, lett. a), n. 2), d.lgs. 10 ottobre 2022, n.150), deduca il vizio di motivazione in ordine a tale specifico profilo.

Peraltro, le ragioni di doglianza sviluppate nell’esposizione del motivo attengono al dedotto vizio di correlazione tra la ascritta condotta di detenzione di sostanza stupefacente e il denaro sequestrato; il tutto in implicita correlazione con i principi affermati da questa Corte in base ai quali – qualora venga contestata la condotta di detenzione di sostanze stupefacenti – non è consentito ricorrere alla confisca del denaro rinvenuto nella disponibilità del detentore in relazione all’art. 240 cod. pen., non sussistendo il necessario nesso tra il denaro oggetto di ablazione e il reato di mera detenzione per cui è affermata la responsabilità (Sez. 4, n. 20130 del 19/04/2022, omissis, Rv. 283248; in senso conforme anche Sez. 6, n. 2762 del 19/12/2023, dep. 2024, omissis, Rv. 285899).

Tuttavia, nel caso in esame, il giudice a quo ha motivato sul punto inerente alla confisca ritenendo ravvisabili le differenti condizioni previste dall’art.240bis cod. pen. – espressamente richiamato dall’art. 85bis T.U. stup. con riferimento alle condotte sanzionate ai sensi dell’art.73 – in base al quale, in caso di sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, è disposta la confisca «del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito[….]».

Nel caso in esame, il giudice procedente ha espressamente giustificato la confisca in relazione ai predetti presupposti, attesa l’ingente somma trovata nella disponibilità degli imputati (€ 8.140,00 in denaro contante), priva di plausibile giustificazione e ritenuta sproporzionata rispetto ai possibili incassi giornalieri dell’attività commerciali dagli stessi esercitata.

Ne consegue che risulta manifestamente infondata la doglianza inerente alla dedotta carenza grafica della motivazione e che, in riferimento alle ragioni poste

alla base del punto della decisione, non risulta svolta alcuna effettiva censura, dovendosi quindi ravvisare l’evidente aspecificità del motivo.

4. Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», la ricorrente va condannata al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso, il 22 maggio 2025.

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