Irrevocabilità del provvedimento del giudice dell’esecuzione e preclusione di una nuova pronuncia sullo stesso “petitum”: quando ricorre?

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Cass. pen., sez. I, 3/10/2024 (ud. 3/10/2024, dep. 5/12/2024), n. 44762 (Pres. Santalucia, Rel. Galati)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava quando il provvedimento del giudice dell’esecuzione divenuto formalmente irrevocabile preclude una nuova pronuncia sul medesimo “petitum“.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

Il Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’esecuzione, parzialmente accogliendo un incidente di esecuzione, determinava in anni ventidue, mesi uno e giorni diciotto di reclusione la pena dallo stesso espianda, mentre reputava inammissibile, in quanto (stimata) mera riproposizione di altra già rigettata e basata sui medesimi elementi, la domanda principale di retrodatazione della decorrenza della pena complessiva da espiare, per effetto del riconoscimento della continuazione tra reati inseriti nel provvedimento di cumulo di pene concorrenti.

Ciò posto, avverso questa decisione ricorreva per Cassazione il difensore dell’istante, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Gli Ermellini ritenevano il ricorso suesposto infondato.

In particolare, tra le argomentazioni che inducevano i giudici di piazza Cavour ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo il quale «il provvedimento del giudice dell’esecuzione divenuto formalmente irrevocabile preclude, ai sensi dell’art. 666, comma secondo, cod. proc. pen., una nuova pronuncia sul medesimo “petitum” finché non si prospettino elementi che, riguardati per il loro significato sostanziale e non per l’apparente novità della veste formale, possono essere effettivamente qualificati come nuove questioni giuridiche o nuovi elementi di fatto, sopravvenuti ovvero preesistenti, che non abbiano già formato oggetto di valutazione ai fini della precedente decisione. ed altre precedenti conformi» (Sez. 3, n. 50005 del 01/07/2014).

I risvolti applicativi

Il provvedimento irrevocabile del giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen.[1], impedisce una nuova pronuncia sullo stesso “petitum” finché non emergano nuovi elementi giuridici o di fatto, significativi per il caso, che non siano stati già considerati nella decisione precedente, anche se presentati sotto una forma diversa.

[1]Ai sensi del quale: “Se la richiesta appare manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge ovvero costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi, il giudice o il presidente del collegio, sentito il pubblico ministero, la dichiara inammissibile con decreto motivato, che è notificato entro cinque giorni all’interessato. Contro il decreto può essere proposto ricorso per cassazione”.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 1 Num. 44762 Anno 2024

Presidente: SANTALUCIA GIUSEPPE

Relatore: GALATI VINCENZO

Data Udienza: 03/10/2024

Data Deposito: 05/12/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

F. G. nato a … il …

avverso l’ordinanza del 19/06/2024 del TRIBUNALE di MILANO

udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO GALATI;

lette le conclusioni del PG in persona del Sostituto Procuratore generale Cinzia Parasporo che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha parzialmente accolto l’incidente di esecuzione proposto nell’interesse di G. F. il 21 giugno 2023 e, conseguentemente, determinato in anni ventidue, mesi uno e giorni diciotto di reclusione la pena dallo stesso espianda, con decorrenza dal 2 giugno 2015 al 19 luglio 2037.

Ha ritenuto inammissibile, in quanto mera riproposizione di altra già rigettata e basata sui medesimi elementi, la domanda principale di retrodatazione della decorrenza della pena complessiva da espiare, per effetto del riconoscimento della continuazione tra reati inseriti nel provvedimento di cumulo di pene concorrenti, accogliendo quella subordinata di ricalcolo della pena in espiazione per effetto della rideterminazione, in sede di riconoscimento della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen., della pena inflitta con una delle sentenze incluse nel medesimo cumulo.

2. Avverso il provvedimento ha proposto ricorso per cassazione G. F., per mezzo del proprio difensore, Avv. A. C., articolando un motivo con il quale ha promiscuamente eccepito violazione di legge e vizio di motivazione.

Ha evidenziato come, contrariamente a quanto affermato dal giudice dell’esecuzione, l’istanza dalla quale ha avuto origine il procedimento conteneva elementi nuovi costituiti dalle argomentazioni di cui all’ordinanza della Corte di appello di Reggio Calabria che, successivamente al 28 aprile 2021 (data di emissione dell’ordinanza del Tribunale di Milano ritenuta pregiudicante)ha stabilito che la condotta di partecipazione all’associazione mafiosa sia stata commessa fino al 1° aprile 2003.

Il rilievo era stato ulteriormente illustrato con memoria difensiva con la quale era stato evidenziato che la pena espiata dal 2003 non poteva ritenersi priva di titolo e, dunque, soggetta all’applicazione dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen.

Alla luce di tali elementi nuovi, non sottoposti alla cognizione del giudice dell’esecuzione in occasione del procedimento ritenuto pregiudicante, il Tribunale milanese non avrebbe potuto ritenere l’inammissibilità dell’istanza ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen.

3. Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non merita accoglimento.

2. L’incidente di esecuzione proposto nell’interesse di F. ha ad oggetto l’ordine di esecuzione di pene concorrenti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano del 24 novembre 2020 che, in conseguenza della sentenza del Tribunale di Milano del 12 settembre 2016, confermata dalla Corte di appello di Milano il 19 giugno 2018, irrevocabile il 23 ottobre 2019, ha rideterminato la pena residua a carico del condannato in venticinque anni, quattro mesi e diciannove giorni di reclusione decorrenti dal 2 giugno 2015, con scadenza il 10 aprile 2040.

Con il predetto ordine di esecuzione, la pena di cui alla citata sentenza è stata cumulata con quelle di cui all’ordine di esecuzione della Procura generale presso la Corte di appello di Reggio Calabria del 12 luglio 2017.

F. ha proposto al giudice dell’esecuzione due distinte domande.

Con la principale ha evidenziato come, con provvedimenti del Tribunale di Milano e della Corte di appello di Reggio Calabria (rispettivamente del 12 novembre 2020 e del 23 novembre 2021) sia stata riconosciuta la continuazione tra alcune delle sentenze presenti nell’ordine di esecuzione della Procura

generale reggina.

Da ciò consegue, secondo l’impostazione del ricorrente, che la pena da espiare (pari a trenta anni di reclusione) deve considerarsi decorrente dalla data del 10 aprile 2003 («data di inizio della carcerazione per il reato più grave tra quelli posti in continuazione»), anziché dal 22 aprile 2011, con «frazionamento del cumulo» alla data del 2 giugno 2015.

In subordine, ha chiesto il ricalcolo della pena in espiazione, per effetto della rideterminazione, giusta la citata ordinanza della Corte di appello di Reggio Calabria del 23 novembre 2011, nella misura di otto anni di reclusione, della pena per il delitto associativo mafioso di cui ad una delle sentenze facenti parte del cumulo complessivo.

Rileva, in questa sede, la prima questione posta dal ricorrente, essendo stata accolta la sola domanda subordinata.

Il giudice dell’esecuzione, con il provvedimento impugnato, ha ritenuto la richiesta principale inammissibile, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., in quanto mera riproposizione di altra rigettata con ordinanza dello stesso Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’esecuzione, del 28 aprile 2021.

Tale provvedimento è stato emesso a seguito di istanza di retrodatazione presentata in conseguenza dell’ordinanza ex art. 671 cod. proc. pen. del Tribunale di Milano in data 12 novembre 2020 e in esso è stato affermato il principio secondo cui, anche nel caso di reato continuato, trova applicazione il disposto dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen.

Il Tribunale, con l’ordinanza qui impugnata, ha, inoltre, ritenuto non influente, al fine di sostenere la diversità dell’oggetto degli incidenti di esecuzione, la sopravvenienza, alla precedente pronuncia, della nuova ordinanza della Corte di appello di Reggio Calabria del 23 novembre 2021 con la quale è stato nuovamente riconosciuto il vincolo della continuazione, essendo identica la questione di diritto sottoposta alla propria cognizione rispetto a quella precedentemente decisa.

4. Dalla disamina degli atti, con particolare riferimento alle richieste di incidente di esecuzione dell’8 febbraio 2021 e del 20 giugno 2023, nonché dell’ordinanza del Tribunale di Milano del 28 aprile 2021, emerge la correttezza dell’ordinanza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la domanda principale.

Invero, il tema posto con i due incidenti di esecuzione è identico e riguarda la richiesta di retrodatazione della decorrenza della pena espianda alla stessa data del 10 aprile 2003 individuata, sia nel primo provvedimento di riconoscimento della continuazione in sede esecutiva, sia nel secondo, come data di inizio della carcerazione per il reato più grave fra quelli riconosciuti in continuazione.

La tesi, comune ai due incidenti di esecuzione è che, per effetto del riconoscimento della continuazione, non possa trovare applicazione l’istituto del cumulo frazionato (al quale consegue la formazione di cumuli parziali), essendo necessario «ritenere la relativa (nel senso di pena riferita al reato continuato, n.d.e.) pena come “pena unitaria progressiva”, decorrente, nel caso di specie, dal primo aprile 2003, data di inizio della carcerazione per il reato ritenuto più grave tra quelli in continuazione” (istanza del 20 giugno 2023).

Si tratta della medesima questione di diritto posta con il precedente incidente di esecuzione, desumendosi dalla relativa istanza come, sempre per effetto del riconoscimento della continuazione, sia stata proposta la tesi della non necessità del frazionamento dei cumuli (in tal senso, espressamente, a pag. 3 dell’istanza) e, in conseguenza del riconoscimento della continuazione, della decorrenza della pena dalla data del 1° aprile 2003.

Il punto decisivo, per come segnalato anche dal Procuratore generale, è sempre quello del rapporto tra art. 657, comma 4, cod. proc. pen. e reato continuato.

Nella nuova richiesta è stato modificato solo il riferimento al nuovo provvedimento del giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen. che ha nuovamente riconosciuto la continuazione e ulteriormente ridotto la pena.

Il principio di diritto rilevante è pur sempre quello secondo cui «il riconoscimento della continuazione tra più reati in sede esecutiva, con la conseguente determinazione di una pena complessiva inferiore a quella risultante dal cumulo materiale, non comporta che la differenza così formatasi sia automaticamente imputata alla detenzione da eseguire, operando anche in detta eventualità il disposto dell’art. 657, comma quarto, cod. proc. pen., per cui a tal fine vanno computate solo custodia cautelare sofferta e pene espiate “sine titulo” dopo la commissione del reato, e dovendosi conseguentemente scindere il reato continuato nelle singole violazioni che lo compongono» (Sez. 1, Sentenza n. 45259 del 27/09/2013, omissis, Rv. 257618).

Si tratta di quello applicato dal Tribunale di Milano con la prima ordinanza del 2021.

5. Da quanto sinora esposto, consegue che è stata fatta corretta applicazione dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen. secondo cui la declaratoria di inammissibilità dell’incidente di esecuzione consegue, tra l’altro, alla mera riproposizione di una richiesta già rigettata.

E’ stato affermato che tale disposizione «configura una preclusione allo stato degli atti che, come tale, non opera quando vengano dedotti fatti o questioni che non hanno formato oggetto della precedente decisione» (Sez. 1, n. 19358 del 05/10/2016, dep. 2017, omissis, Rv. 269841).

Si tratta di principio sostanzialmente conforme all’altro secondo cui, il perimetro entro il quale deve essere compiuta la valutazione del giudice dell’esecuzione, è individuato secondo lo schema per cui «il provvedimento del giudice dell’esecuzione divenuto formalmente irrevocabile preclude, ai sensi dell’art. 666, comma secondo, cod. proc. pen., una nuova pronuncia sul medesimo “petitum” finché non si prospettino elementi che, riguardati per il loro significato sostanziale e non per l’apparente novità della veste formale, possono essere effettivamente qualificati come nuove questioni giuridiche o nuovi elementi di fatto, sopravvenuti ovvero preesistenti, che non abbiano già formato oggetto di valutazione ai fini della precedente decisione. ed altre precedenti conformi» (Sez. 3, n. 50005 del 01/07/2014, omissis, Rv. 261394).

A precisazione dell’orientamento esposto e qui ribadito, deve essere affermato che la novità dell’elemento di fatto e delle questioni giuridiche che giustifica la riproposizione dell’istanza al giudice dell’esecuzione richiede che il tema introdotto con la nuova istanza non abbia formato oggetto di valutazione, neppure implicita, da parte del precedente giudice dell’esecuzione.

Nel caso di specie, per le ragioni sopra indicate, il tema introdotto è coincidente in quanto afferente alla individuazione della nuova data di decorrenza della pena per effetto del riconoscimento della continuazione in sede esecutiva.

Il profilo, come sopra illustrato, è stato già ampiamente dibattuto e affrontato in occasione del precedente procedimento di esecuzione e non rileva, al fine di ritenere la sottoposizione al giudice dell’esecuzione di un fato diverso, il nuovo riconoscimento della continuazione (già precedentemente riconosciuta), con ulteriore riduzione della pena per uno dei reati inclusi nel provvedimento di cumulo.

6. Alla luce di quanto esposto, discende il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 03/10/2024.

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