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Riesame della credibilità della vittima in revisione: quando è possibile

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Cass. pen., sez. III, 23/03/2023 (ud. 23/03/2023, dep. 05/06/2023), n. 23967 (Pres. Galterio, Rel. Semeraro)

Indice

La questione giuridica

La Cassazione, nella decisione in esame, era tenuta ad affrontare la seguente questione: quando il giudizio di attendibilità della persona offesa, già compiuto nel giudizio di cognizione, può formare oggetto di riesame in sede di revisione.

Difatti, nel procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza in questione, a fronte del fatto che la Corte di Appello di Venezia aveva dichiarato inammissibile una richiesta di revisione, avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’istante il quale, tra i motivi addotti, deduceva violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., sulla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, l’omessa indicazione nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati nella valutazione della prova.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Suprema Corte, nel ritenere il motivo suesposto infondato, addiveniva a siffatta conclusione alla luce di quell’orientamento nomofilattico secondo il quale il giudizio di attendibilità della persona offesa, già compiuto nel giudizio di cognizione, non può formare, di per sé, oggetto di riesame in sede di revisione, a meno che si contesti la reale esistenza del fatto storico riferito o adoperato quale riscontro alle dichiarazioni.

Invero, per i giudici di piazza Cavour, in modo del tutto corretto, la Corte territoriale aveva ritenuto manifestamente infondata la richiesta perché dallo stesso testo dell’istanza di revisione risultava che la prova non potesse in alcun modo essere qualificata nuova poiché non apportava alcun fatto nuovo e diverso da quelli su cui si era fondata la condanna, ma era meramente volta a modificare il giudizio sull’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa.

I risvolti applicativi

Il giudizio di attendibilità della persona offesa, già compiuto nel giudizio di cognizione, non può formare, di per sé, oggetto di riesame in sede di revisione, a meno che si contesti la reale esistenza del fatto storico riferito o adoperato quale riscontro alle dichiarazioni.

Pertanto, solo ove ricorra una di queste condizioni, il giudizio di attendibilità della vittima può essere preso in considerazione nel giudizio di revisione.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 3 Num. 23967 Anno 2023

Presidente: GALTERIO DONATELLA

Relatore: SEMERARO LUCA

Data Udienza: 23/03/2023

Data Deposito: 05/06/2023

SENTENZA

P.G. nato il 25/11/1976

udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA SEMERARO;

lette le conclusioni del PG LUIGI GIORDANO

Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza del 19 luglio 2022 la Corte di appello di Venezia ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione presentata da P.G. della sentenza del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Mantova del 5 luglio 2016, confermata dalla Corte di appello di Brescia il 19 settembre 2019, irrevocabile il 8 marzo 2022.

I reati per i quali P.G. è stato condannato si riferiscono ad un abusivo ingresso dell’uomo nella nell’abitazione di I L.V. l, in data 25 marzo 2013: violato il domicilio della donna (capo 1), l’imputato tentò di compiere nei confronti della donna atti sessuali (capo 2), la tenne sequestrata per alcuni minuti

(capo 4, assorbito nel capo 3), la rapinò di 100 C (capo 5) e tentò poi di costringerla a non denunciare quanto subito (capo 6).

2. Avverso tale ordinanza ha proposto il ricorso di difensore di P.G.

2.1. Con il primo motivo si deducono, ex art. 606, lett. b) e c), cod. proc. pen., i vizi di violazione di legge – degli artt. 127 e 634 cod. proc. pen., 111 Cost. – e della motivazione.

In particolare, l’ordinanza impugnata sarebbe affetta da nullità perché emessa senza l’adozione la preventiva fissazione dell’udienza in camera di consiglio ex art. 127 cod. proc. pen., con violazione del principio del contraddittorio previsto anche dall’art. 111 Cost.

La Corte di appello non avrebbe effettuato il mero vaglio di ammissibilità della richiesta ma l’anticipazione della valutazione di merito sulla prova nuova dedotta riservato alla fase rescissoria di un giudizio di revisione. Ciò emergerebbe in particolare dalla motivazione dell’ordinanza impugnata riportata a pagina 5.

Dopo i richiami giurisprudenziali, si afferma che l’ordinanza avrebbe i tratti di una vera e propria sentenza definitiva di merito mentre avrebbe dovuto limitarsi a valutare se l’istanza di revisione fosse stata proposta nei casi e con l’osservanza delle norme di legge.

2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la nullità dell’ordinanza impugnata per difetto di motivazione in violazione degli art. 111, comma 6, Cost. e 125, comma 3, cod. proc. pen.

Mancherebbe la motivazione concreta sull’inidoneità delle prove nuove allegate all’istanza di revisione presentata dal ricorrente. Non si comprenderebbe, infatti, come potrebbero definirsi non persuasivi e non decisivi ai fini del proscioglimento gli elementi addotti dal ricorrente nella propria istanza di revisione poiché essi, invece, contribuirebbero a demolire l’impianto accusatorio costruito ai danni del ricorrente.

Si riporta la giurisprudenza sulla nullità dell’ordinanza per mancanza dì motivazione.

2.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., sulla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, l’omessa indicazione nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati nella valutazione della prova.

La circostanza che, nel nuovo processo, la persona offesa non ricordi esattamente ogni dettaglio della vicenda che la vide coinvolta, ed in particolare l’elemento dell’odore dell’imputato inizialmente ricordato dalla donna e nella successiva audizione dimenticato, dovrebbe ritenersi sintomatica della

inattendibilità intrinseca del racconto della donna. Nonostante le contraddizioni, le omissioni, le ingiustificate dimenticanze nel narrato della persona offesa, i giudici di appello avrebbero ritenuto la testimonianza fornita dalla persona offesa intrinsecamente attendibile al punto da omettere di indicare nella motivazione del provvedimento impugnato i risultati acquisiti ed i criteri adottati nella relazione

della prova.

Dopo i richiami alla giurisprudenza, si afferma che la Corte di appello sarebbe pervenuta alla declaratoria di inammissibilità per manifesta infondatezza dell’istanza di revisione esclusivamente sulla base delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, dalla stessa successivamente smentite, senza che le stesse siano state avvalorate da riscontri oggettivi o da elementi atti a confermarne la veridicità, in assenza di qualsiasi indagine in ordine alla credibilità soggettiva della persona offesa che le ha rese.

2.4. In data 20 marzo 2023 è stata trasmessa una memoria con cui si chiede di dichiarare la nullità dell’ordinanza impugnata, con o senza rinvio, per le argomentazioni esposte nella memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo ed il secondo motivo sono manifestamente infondati.

1.1. In punto di diritto, ai fini dell’ammissibilità della richiesta di revisione basata sulla prospettazione di nuove prove, l’esame preliminare della Corte d’appello circa il presupposto della non manifesta infondatezza deve limitarsi ad una sommaria delibazione degli elementi di prova addotti, in modo da verificare l’eventuale sussistenza di un’infondatezza rilevabile ictu oculi e senza necessità di approfonditi esami, dovendosi ritenere preclusa in tale sede una penetrante anticipazione dell’apprezzamento di merito, riservato invece al vero e proprio  giudizio di revisione, da svolgersi nel contraddittorio delle parti (Sez. 6, n. 2437del 03/12/2009 – dep. 2010, omissis, Rv. 24577001).

Secondo Sez. 6, n. 5654 del 02/02/2021, omissis, in tema di giudizio di revisione, l’inammissibilità della richiesta per manifesta infondatezza sussiste se le ragioni poste a suo fondamento risultino, dalla domanda in sé e per sé considerata, evidentemente inidonee a consentire una verifica circa l’esito del

giudizio, essendo invece riservata alla fase del merito ogni valutazione sull’effettiva capacità delle allegazioni a travolgere, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio, il giudicato.

1.2. Con la sentenza n. 6141 del 25/10/2018 – dep. 2019, omissis, Rv. 274627-01, le Sezioni Unite hanno ribadito il costante orientamento per cui, in tema di revisione, per “prove nuove”, rilevanti a norma dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. peri., ai fini dell’ammissibilità della relativa istanza, devono intendersi le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna, quelle scoperte successivamente ad essa, quelle non acquisite nel precedente giudizio e quelle acquisite nel precedente giudizio, però sempre che non siano valutate neppure implicitamente (purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudicante).

1.3. Va premesso che nel giudizio di cui si chiede la revisione il ricorrente è stato condannato per il reato ex art. 56-609-bis cod. pen.

Nel nuovo giudizio, per il reato consumato ex art. 609-bis cod. pen., la persona offesa avrebbe reso, secondo il ricorrente, dichiarazioni che, come risulta anche dal terzo motivo, dovrebbero esclusivamente far venir meno l’attendibilità della persona offesa.

Deve, però, affermarsi che il giudizio di attendibilità della persona offesa, già compiuto nel giudizio di cognizione, non può formare, di per sé, oggetto di riesame in sede di revisione, a meno che si contesti la reale esistenza del fatto storico riferito o adoperato quale riscontro alle dichiarazioni.

Cfr. in tema di collaboratore di giustizia, Sez. 5, n. 5217 del 11/12/2020, dep. 2021, omissis, Rv. 280335 – 01, per cui il giudizio di attendibilità di un collaboratore di giustizia, già compiuto nel giudizio di cognizione, non può formare, di per sé, oggetto di riesame in sede di revisione, a meno che si contesti la reale esistenza di un fatto storico nel quale è stato rinvenuto il riscontro esterno alle

dichiarazioni del medesimo soggetto.

1.4. Correttamente, la Corte di appello ha ritenuto manifestamente infondata la richiesta perché dallo stesso testo dell’istanza di revisione risulta che la prova non può in alcun modo essere qualificata nuova poiché non apporta alcun fatto nuovo e diverso da quelli su cui si è fondata la condanna ma è meramente volta a modificare il giudizio sull’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa.

Dall’istanza di revisione risulta che la persona offesa ha confermato, nell’esame reso nel successivo dibattimento, che l’uomo provò a … e portare a compimento il progetto criminoso di congiunzione carnale; è del tutto irrilevante che la teste ha confermato tale circostanza dopo la contestazione, quale aiuto alla memoria, effettuata dal Pubblico ministero.

Per altro, nel giudizio di cui si chiede la revisione l’imputato è stato condannato per il delitto ex art. 56, 609-bis cod. pen. e le dichiarazioni riportate a pag. 3 dell’istanza di revisione — l’esame che costituirebbe la prova nuova — confermano il contenuto della condanna e la dinamica del fatto.

1.5. Il secondo elemento di fatto indicato nell’istanza di revisione sarebbe che nell’esame successivo la donna avrebbe riferito un particolare non dichiarato in precedenza (…): come correttamente indicato dalla Corte di appello, l’istanza di revisione si limita a riferire il dato, a qualificarlo quale inquietante, e non indica in alcun modo l’incidenza sul fatto storico di tentata violenza sessuale accertato in via definitiva.

1.6. Quanto al reato ex art. 628 cod. pen., correttamente la Corte di appello ha rilevato l’inammissibilità dell’istanza di revisione (punto 2) perché volta ad ottenere una diversa qualificazione giuridica del fatto nel delitto di furto, in violazione dell’art. 631 cod. proc. pen.

1.7. L’inammissibilità della richiesta per manifesta infondatezza è stata correttamente ritenuta esistente dalla Corte territoriale in base alla sola lettura dell’istanza anche quanto all’identificazione dell’imputato.

Dall’istanza risulta che nel processo per il quale è stata pronunciata la condanna definitiva, deciso con il giudizio abbreviato, l’identificazione avvenne per il riconoscimento della voce dell’imputato e per l’odore nauseabondo proveniente dal suo corpo.

Dalla stessa istanza risulta che la donna ha confermato di aver riconosciuto l’imputato dalla voce; ha ricordato che il suo aggressore aveva un odore particolare — cfr. il testo dell’esame riportato a pag. 8 — ma ha affermato di non ricordare se avesse sentito anche tale odore in Questura.

Correttamente, la Corte di appello ha ritenuto che il non aver ricordato il particolare non smentisce in alcun modo il fatto storico posto a sostegno della condanna.

1.8. Ne consegue che la Corte di appello ha correttamente dichiarato de plano l’inammissibilità dell’istanza di revisione, con motivazione esistente ed immune da vizi logici.

1.9. Il terzo motivo è manifestamente infondato, poiché la valutazione di ammissibilità dell’istanza non implica l’applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen.

1.10. Va dichiarato tardivo il deposito della memoria, avvenuto solo il 20 marzo 2013, per l’udienza del successivo 23.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, il termine di quindici giorni per il deposito delle memorie difensive, previsto dall’art. 611. cod. proc. pen. relativamente al procedimento in camera di consiglio, è applicabile anche ai procedimenti in udienza pubblica e la sua inosservanza esime la Corte di cassazione dall’obbligo di prendere in esame le stesse (Sez. 6, n. 11630 del 27/02/2020, A., Rv. 278719 – 01).

2. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di curo tremila in favore della Cassa delle ammende.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs.196/03 in quanto imposto dalla legge.

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