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Riciclaggio: quando si consuma il reato con condotte frammentarie e progressive per determinare la competenza territoriale?

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Cass. pen., sez. VI, 10/04/2024 (ud. 10/04/2024, dep. 16/05/2024), n. 19591 (Pres. Di Stefano, Rel. Giovine)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava quando si consuma il reato di riciclaggio, se le condotte poste in essere siano state frammentarie e progressive, per determinare la competenza territoriale.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Trento applicava ad una persona la custodia cautelare in carcere in relazione ad un’ipotesi di associazione per delinquere (art. 416, commi 1, 2, 3 e 5, cod. pen.), finalizzata a commettere una serie di delitti di riciclaggio, nonché al reato-fine di riciclaggio, aggravato dalla transnazionalità.

Ciò posto, avverso questa decisione il difensore ricorreva per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, costui deduceva incompetenza del Tribunale di Trento e vizio di motivazione.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva il motivo suesposto fondato.

In particolare, tra le argomentazioni che avevano indotto gli Ermellini ad addivenire a siffatto esito decisorio, vi era quell’orientamento nomofilattico secondo cui, in tema di riciclaggio, ai fini della determinazione della competenza territoriale, il reato realizzato con condotte frammentarie e progressive, affidate a plurimi soggetti che apportino il loro contributo in tempi e luoghi diversi, deve considerarsi consumato ove si realizza il primo atto, ancorché costituente un segmento della condotta tipica (Sez. 2, n. 38105 del 08/04/2021, che ha individuato il luogo di consumazione del reato in quello in cui era avvenuta l’iniziale consegna del denaro di provenienza delittuosa, destinato ad essere dapprima trasferito in altri luoghi del territorio nazionale, quindi fatto espatriare per l’impiego in operazioni di investimento; analogo principio è sotteso a Sez. 1, n. 42215 del 27/10/2021, relativa ad un conflitto di competenza sollevato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano avverso il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Como).

 I risvolti applicativi

In tema di riciclaggio, ai fini della determinazione della competenza territoriale, il reato realizzato con condotte frammentarie e progressive, affidate a plurimi soggetti che apportino il loro contributo in tempi e luoghi diversi, deve considerarsi consumato ove si realizza il primo atto, ancorché costituente un segmento della condotta tipica.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 6 Num. 19591 Anno 2024

Presidente: DI STEFANO PIERLUIGI

Relatore: DI GIOVINE OMBRETTA

Data Udienza: 10/04/2024

Data Deposito: 16/05/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da

G. A., nato a … il …

avverso l’ordinanza del 30/01/2024 del Tribunale di Trento;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Ombretta Di Gíovine;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Tomaso Epidendio, che ha concluso chiedendo che sia dichiarata l’incompetenza per territorio con trasmissione degli atti alla Procura presso il Tribunale di Milano e che il ricorso sia dichiarato per il resto inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18/04/2023, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Trento applicava ad A. G. la custodia cautelare in carcere in relazione ad un’ipotesi di associazione per delinquere (art. 416, commi 1, 2, 3 e 5, cod. pen.), finalizzata a commettere una serie di delitti di riciclaggio di somme provento della vendita su tutto il territorio nazionale di cocaina proveniente dal mercato colombiano con il sistema del pagamento dopo la vendita (capo A), nonché al reato-fine di riciclaggio, aggravato dalla transnazionalità (artt. 648-bis; 61-bis cod. pen.), della somma dì euro 265.000,00 consegnata ad un agente sotto copertura, versandola a Trento su conto corrente (capo L).

Il Tribunale di Trento, in sede di riesame, annullava l’ordinanza.

La Corte di cassazione (Sez. 2, n. 2009, del 07/11/2023) accoglieva il ricorso del Pubblico ministero.

Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Trento, in sede di rinvio, confermava la custodia cautelare in origine disposta.

2. Avverso tale ultimo provvedimento ha presentato ricorso, nell’interesse di A. G., l’Avvocato A. R., articolando i seguenti due motivi.

2.1. Incompetenza del Tribunale di Trento e vizio di motivazione.

Con i motivi di riesame era preliminarmente sollevata questione dì incompetenza per territorio del Tribunale di Trento.

Deve ritenersi che il Giudice per le indagini preliminari, nell’ordinanza di custodia cautelare, abbia desunto la competenza del Tribunale di Trento dall’art. 9, comma 3, cod. proc. pen. (la Procura in cui ha sede l’ufficio del Pubblico Ministero che per primo ha provveduto ad iscrivere la notizia di reato), nonostante tale disposizione detti un criterio residuale e nel caso di specie avrebbe dovuto applicarsi la regola dell’art. 8 cod. proc. pen., risultando i fatti consumati altrove.

Come anche evidenziato dal Giudice per le indagini preliminari nell’ordinanza di custodia cautelare rispetto alla contestazione del reato associativo (capo A), la consorteria – che non è noto dove sia stata costituita – operava in più Paesi, ma si è disvelata sul territorio milanese.

D’altronde, a p. 6 della stessa ordinanza impugnata, si legge che, trattandosi di reati connessi, va applicato l’art. 16, comma 1, cod. proc. pen, nella parte incui dispone che la competenza si radica nel luogo di commissione del reato più grave che, nel caso di specie, è il riciclaggio.

Ciò nondimeno, è stato ritenuto competente il Tribunale di Trento.

Vero è che, nel determinare la competenza, deve aversi riguardo all’interesse di tutti gli imputati. Tuttavia, tale regola vale ove l’interesse del singolo pregiudichi quello del coimputato, e nel caso di specie i coindagati non subirebbero alcun pregiudizio né verrebbero distolti dal loro giudice naturale se la competenza fosse radicata – come dovrebbe – a Milano.

Ad ogni modo, applicando il criterio dell’art. 16 cod. proc. pen., riferito alla connessione tra i reati pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria di Trento – non considerando dunque quelli per cui pende altro procedimento a Milano -, il reato più grave, a parità di titoli di reato (sempre riciclaggio), è quello che concerne le maggiori somme di denaro: quindi, nel caso di specie, il capo M) il quale fa riferimento ad una somma di 1.000.000 di euro raccolta in … (e poi versata in banca … e da qui trasferita con bonifici).

Il reato commesso per primo, criterio residuale rispetto a quello del reato più grave, è quello di cui al capo C) che fa riferimento ad una somma raccolta anch’essa a Milano (poi versata alla banca di T. e da qui trasferita con bonifici).

In entrambi casì, applicando ì criteri preliminari rispetto all’art. 9, comma 3, cod. proc. pen., dunque, la condotta dì riciclaggio ha avuto inizio nel circondano del Tribunale di Milano.

Peraltro, il criterio dell’art. 16 cod. proc. pen. dovrebbe valere anche rispetto al procedimento pendente a Milano.

La condotta di riciclaggio contestata al capo L), consiste, infatti, nella consegna, da parte dell’imputato, di una somma di denaro, pagamento della cocaina acquistata in precedenza a credito.

Se ne desume che la contestata condotta di riciclaggio risulta connessa con i fatti, più gravi, relativi alla violazione delle norme sugli stupefacenti per cui è in esecuzione nei confronti dell’imputato l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari di Milano – per i reati di cui ai capi 56), 57), 58), 59) 60) – inerenti appunto alla violazione degli artt. 73 e 74 d.P.R. 309 del 1990, come peraltro riconosciuto dal Giudice per le indagini preliminari di Milano il quale (a p. 26 dell’ordinanza di custodia cautelare) dà atto che l’attuale procedimento rappresenta la sintesi delle convergenze investigative emerse nell’ambito delle

indagini avviate dalla Procura di Trento.

2.2. Violazione degli artt. 124, 292 cod. proc. pen. e degli artt. 416, 648-bis e 648-ter cod. pen. nonché vizio di motivazione.

L’ordinanza di custodia cautelare aveva precisato che l’associazione a delinquere non costituisce reato presupposto del riciclaggio, desumendone che coloro i quali partecipano all’associazione per delinquere rispondono anche del diritto di riciclaggio dei beni acquisiti attraverso la realizzazione dei reati fine.

Quanto all’indagato, si ritiene che la sua attività si inserisca nel livello inferiore dell’associazione, costituito da una serie di figure che ricevevano denaro dalle consorterie locali e lo consegnavano al “prelevatore”, il quale agiva quale intermediario del broker locale.

Pertanto, le consorterie locali da cui il G. avrebbe ricevuto il denaro della droga erano le stesse per cui all’indagato è contestato il capo 59) delprocedimento di Milano (art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990).

In sede dì impugnazione, si evidenziava anche che il denaro contante consegnato al “prelevatore” altro non era se non il prezzo dello stupefacente ricevuto in precedenza: unica condotta ascrivibile all’indagato.

Il Tribunale della libertà di Trento accoglieva il riesame proposto dalla difesa, annullando l’ordinanza di custodia cautelare.

Ma la Corte di cassazione, pronunciatasi su ricorso del Pubblico Ministero, con sentenza n. 2009 del 2024, escludeva che il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990 potesse ritenersi delitto presupposto del reato dì riciclaggio perché, mentre nell’associazione mafiosa è la stessa esistenza della consorteria a produrre ricchezza economica, nell’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, tale effetto di arricchimento non esiste a livello generale ma si può determinare soltanto in conseguenza della realizzazione dei reati fine.

Da tale premessa la Corte desumeva il carattere meramente assertivo dell’assunto per cui la somma di denaro consegnata dal ricorrente all’agente di copertura fosse il provento del narcotraffico cui lo stesso aveva partecipato nel suo ruolo di partecipe all’organizzazione criminale operante in Milano, e non, piuttosto, degli abituali traffici di stupefacenti realizzati da altri sodali o da componenti di altri sodalizi.

Sulla scorta di tale motivazione, il Tribunale del riesame di Trento, in sede di rinvio, confermava il giudizio sulla gravità indiziarla a carico dell’imputato per il reato associativo.

Va tuttavia ribadito che l’unica condotta attribuita al G. consiste nell’aver prelevato – in un’occasione – denaro dalla consorteria che avrebbe acquistato lo stupefacente per consegnarlo all’emissario della consorteria che lo stupefacente aveva venduto, quale prezzo dello stesso.

Se è così, l’indagato non può essere ritenuto a completa disposizione della seconda consorterìa e dunque partecipe della stessa.

Al più, sarebbe soggetto fidato dalla consorteria che acquistava stupefacente (non dì quella che lo vendeva e che dunque riciclava il denaro), come peraltro dimostrato dalla pendenza del procedimento di Milano. Né dagli atti di indagine emergono elementi a sostegno dell’assunto accusatorio.

Ancora, G. risulta aver consegnato il denaro una sola volta, il 08/05/2020.

Non può dunque desumersi da tale unico episodio la messa a disposizione e un inserimento stabile nell’organizzazione, tanto più che le indagini sono proseguite ben oltre tale data.

Per ovviare a tale illogicità, l’ordinanza impugnata è costretta ad assumere che il G., per quanto appartenente al livello inferiore, ricevesse denaro dalle consorterie locali per consegnarlo al prelevatore, avendo rapporti con altre strutture dedite al narcotraffico e a presupporre, quindi, che tale denaro, di importo considerevole, derivasse da una “colletta” con conseguente consapevolezza, in capo a G., di essere inserito in un sodalizio del quale avrebbe condiviso le finalità.

Tuttavia, i Giudici non si confrontano con le contestazioni elevate a G. nel procedimento di Milano e per cui gli è ascritto – ai capi 56), 57), 58) e 60) – l’acquisto di quantitativi notevoli di cocaina, per importi compatibili con la somma di cui al capo L) del presente procedimento.

Il denaro consegnato dal G., oggetto del capo L), altro non rappresenta, infatti, se non il prezzo dello stupefacente acquistato, e non il guadagno della consorteria criminosa contestatagli nel procedimento milanese, il che è particolarmente evidente con riferimento al capo 60) in cui viene attribuito all’imputato l’acquisto di sostanza stupefacente in grosse quantità proprio nel maggio 2020.

Il denaro consegnato dal G. è il prezzo dello stupefacente acquistato e non il reinvestimento del provento dell’illecito commesso.

Di conseguenza, il reato contestato all’indagato, che consta di un’unica condotta, sottostà alla clausola di riserva di cui agli artt. 648-bis o 648-ter cod. pen., sicché l’ordinanza impugnata appare illogica anche in relazione alla valutazione di gravità indiziaria.

3. Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla I. 18 dicembre 2020, e successive modificazioni, in mancanza di richiesta, nei termini ivi previsti, di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Nel secondo motivo di ricorso si deduce sostanzialmente che: non si configurerebbe l’ipotesi associativa, essendo il reato-fine contestato isolato e non emergendo elementi a sostegno di una stabile messa a disposizione del consorzio criminale; non sussisterebbe il riciclaggio perché la condotta, consistita nella consegna all’agente sotto-copertura di 650.00 euro, non mirava ad ostacolare

l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, me rappresentava il prezzo di una partita di droga acquistata in precedenza (contestata in diverso procedimento penale, pendente a Milano).

1.2. Il motivo è reiterativo e non si confronta con la motivazione delprovvedimento impugnato resa in sede di rinvio da annullamento dell’originaria ordinanza da parte di questa Corte e in attuazione delle sue indicazioni (Sez. 2, n.2009, del 07/11/2023, cit.).

1.3. Come anche ricordato nel ricorso, la sentenza di legittimità premetteva, infatti, che non potevano rappresentare il reato presupposto dell’ipotesi di riciclaggio: da una parte, la fattispecie dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 cit.,poiché, al pari delle semplici associazioni a delinquere e a differenza dell’associazione di stampo mafioso, le associazioni dedite al solo traffico di stupefacenti non sono di per sé produttive di proventi illeciti che, se conseguiti, costituiscono il frutto degli eventuali reati fine; dall’altra parte, la fattispecie dell’art. art 73 d.P.R. n. 309 del 1990 cit., e cioè il traffico di stupefacenti posto in essere nel maggio 2020 a Milano, per il quale il ricorrente era già sottoposto a misura cautelare in altro procedimento penale.

In tal senso, questa Corte ha ritenuto meramente assertivo l’assunto secondo cui la somma di denaro consegnata dal ricorrente all’agente sotto copertura costituisse proprio il provento del narcotraffico cui l’indagato aveva partecipato nel ruolo di partecipe all’organizzazione criminale, e non il provento degli abituali traffici di stupefacenti realizzati da altri sodali o da componenti di altri sodalizi.

Precisava inoltre che l’ordinanza impugnata non aveva evidenziato alcun elemento di collegamento, di carattere temporale o di altra natura, tra i due episodi. E che, al contrario, aveva specificato come i soggetti che ricevevano il denaro dalle consorterie locali, per consegnarlo al rilevatore, avessero rapporti anche con altre strutture associative dedite al narcotraffico.

1.4. Alla luce di tali precisazioni e richiamato l’ampio compendio indiziario raccolto in sede di indagini (del quale si dà puntualmente atto), il Tribunale del riesame ha dunque correttamente confermato la gravità indiziaria in rapporto alle ipotesi delittuose di cui alla contestazione provvisoria.

In particolare, e per quel che qui interessa, con riferimento alla fattispecie di riciclaggio, ha ritenuto che, per i rischi insiti nell’operazione di consegna e per il volume ingente del denaro contante trattato, il G. doveva sapere sia che si trattava di denaro di provenienza delittuosa (e non dell’oggetto di normali operazioni commerciali) sia che la consegna era prodromica ad un’operazione di lavorazione di quel denaro e non consisteva nel semplice pagamento diretto della droga o in un’operazione diretta ad assicurarne il provento, argomentando in tal senso dal fatto che l’indagato si era prestato ad un incontro con soggetto non conosciuto e da riconoscere tramite un codice.

Tra l’altro, ha pure precisato che l’episodio di narcotraffico contestato al capo 60) del procedimento pendente a Milano, cui si riferisce il ricorrente, si era concretizzato solo a far data dal maggio 2020, sicché era altamente inverosimile che, alla data dell’avvenuta consegna del denaro (avvenuta 1’08/05/2020), i proventi di quella complessa attività fossero già stati raccolti e disponibili per la successiva trasformazione, a nulla valendo le contrarie deduzioni difensive, di contenuto meramente assertivo.

1.5. Limitandosi a riproporre una lettura alternativa alla ricostruzione, compiuta – con motivazione completa, non illogica né contraddittoria – dai giudici di merito, il motivo deve essere, dunque, dichiarato inammissibile.

2. Diversamente è a dirsi del primo motivo di ricorso.

2.1. In linea con quanto osservato nella requisitoria scritta dal Procuratore Generale di questa Corte, va premesso che è deducibile in questa sede la questione sulla competenza per territorio a seguito della sentenza di annullamento con rinvio ad opera di questa Corte, posto che tale sentenza era stata pronunciata su ricorso del pubblico ministero e che la questione della competenza non era stata delibata in tale sentenza, neanche implicitamente.

Né, d’altronde, l’odierno ricorrente avrebbe potuto impugnare sul punto il provvedimento oggetto di esame da parte della Corte di cassazione, dal momento che il Tribunale del riesame aveva annullato il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari applicativo della misura sulla base di una valutazione non preclusa neanche dall’incompetenza.

Sempre nella requisitoria scritta si precisa correttamente anche che la valutazione sull’incompetenza avrebbe potuto sì essere realizzata da questa Corte, ove questa avesse ravvisato un’urgenza a provvedere, ma che tale urgenza avrebbe dovuto essere desumibile, trattandosi di giudice di legittimità, dalla motivazione del provvedimento impugnato, e non dai dati probatori (Sez. U, n. 19214 del23/04/2020, omissis, Rv. 279092, quali declinati da Sez. 1, n. 32956 del 14/07/2022, omissis, Rv. 283564).

2.2. Ciò detto, l’ordinanza impugnata riconosce che, nel caso di specie, si discute di reati tra loro connessi ai sensi dell’art. 12, lett. b) e c) cod. proc. pen.

I Giudici del riesame hanno, infatti, osservato che: per un verso, il reato associativo finalizzato alla perpetrazione dei delitti di riciclaggio e il reato fine di riciclaggio concretamente posto in essere sono legati dal vincolo della continuazione, in ragione della connessione logica e cronologica tra i fatti e dell’identità e medesimezza del disegno criminoso; per altro verso, l’adesione degli associati al programma della struttura criminale implicava l’adesione alle finalità proprie del sodalizio che, specificamente, consistevano nel commettere una serie aperta di reati fine di riciclaggio programmati dal sodalizio stesso.

Essi hanno aggiunto come, trattandosi di reati connessi, il criterio da applicare sia quello dell’art. 16, comma 1, cod. proc. pen., che radica la competenza nel luogo di commissione del reato più grave: nel caso in esame, il riciclaggio.

Hanno tuttavia ritenuto che il luogo in cui si è attuata la condotta (costitutiva del riciclaggio) di “trasferimento” vada individuato in Trento, poiché lì sono state poste in essere le operazioni bancarie (realizzate mediante versamento su conto corrente a società intestata a soggetti non riconducibili a quelli da cui proveniva il denaro), concludendo, quindi nel senso della competenza territoriale del Tribunale di Trento.

In altri termini, hanno assunto che la consegna del denaro da parte dell’indagato all’undercover non integrasse di per sé il “trasferimento” di cui al tipo legale del riciclaggio, per tale dovendosi intendere l’operazione bancaria che ha ostacolato l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro.

2.3. Tale conclusione non può essere condivisa.

Infatti, se è vero che la fase finale della ripulitura del denaro fu realizzata a Trento, è del pari indiscutibile che l’attività di ripulitura del denaro è cominciata – come indicato a partire dal capo di imputazione – con il trasferimento – in uno con altre invero non meglio specificate «attività funzionali ad impedire l’identificazione della provenienza delittuosa» – della somma di euro 265.000, proveniente dalla vendita di stupefacenti, attuato mediante consegna all’agente sotto copertura.

È la stessa ordinanza impugnata, d’altronde, a precisare (p. 7) che il reato è «strutturato attraverso plurimi atti funzionali (quali gli accordi, gli incontri e la consegna del danaro da ripulire) ad ostacolare la identificazione della provenienza delittuosa e funzionali alla pulitura del denaro che si è concretata con il versamento in banca a T.».

Ciò – in uno con quanto in precedenza rilevato a proposito della sussistenza anche dell’elemento soggettivo in ordine alla finalizzazione della consegna del denaro – rende operativa la massima di diritto per cui, in tema di riciclaggio, ai fini della determinazione della competenza territoriale, il reato realizzato con condotte frammentarie e progressive, affidate a plurimi soggetti che apportino il loro contributo in tempi e luoghi diversi, deve considerarsi consumato ove si realizza il primo atto, ancorché costituente un segmento della condotta tipica (Sez. 2, n. 38105 del 08/04/2021, omissis, Rv. 282019, che ha individuato il luogo di consumazione del reato in quello in cui era avvenuta l’iniziale consegna del denaro di provenienza delittuosa, destinato ad essere dapprima trasferito in altri luoghi del territorio nazionale, quindi fatto espatriare per l’impiego in operazioni di investimento; analogo principio è sotteso a Sez. 1, n. 42215 del 27/10/2021, Rv. 282314, relativa ad un conflitto di competenza sollevato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano avverso il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Como).

2.4. Ebbene, poiché, come ancora si apprende dal provvedimento impugnato (pp. 12 e 13), l’indagato effettuò la consegna del denaro all’agente sotto copertura a Pero, che si trova in provincia di Milano, a tale luogo deve aversi riguardo per stabilire dove il reato è stato consumato ed identificare, quindi, la competenza territoriale che va, in definitiva, ravvisata in capo al Tribunale del Milano.

3. L’ordinanza impugnata deve essere dunque annullata sul punto della competenza territoriale.

Premesso che il provvedimento incorre in un evidente errore là dove dispone (in applicazione della regola dettata dall’art. 310, comma 3, cod. proc. pen. per la diversa ipotesi della misura applicata a seguito di appello del pubblico ministero) la sospensione della esecuzione della misura sino alla definitività del provvedimento, va richiamato il principio di diritto espresso dall’art. 27 cod. proc. pen., con la conseguenza che la misura cautelare cesserà di avere effetto se ilGiudice competente non avrà provveduto entro venti giorni dalla pronuncia della presente sentenza,

P.Q.M.

Ritenuta la competenza per territorio del Tribunale di Milano, dichiara inammissibile il ricorso quanto ai presupposti di cui agli artt. 273 e 274 cod. proc.pen. Letto l’art. 27 cod. proc. pen. dispone l’immediata comunicazione della presente decisione al Pubblico Ministero presso il Tribunale di Trento.

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