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Requisiti del ricorso per Cassazione per travisamento o mancata considerazione della prova

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Cass. pen., sez. VI, 13/03/2024 (ud. 13/03/2024, dep. 11/04/2024), n. 15084 (Pres. Di Stefano, Rel. Pacilli)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava cosa deve prevedere il ricorso per Cassazione con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento o mancata considerazione di una prova.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Campobasso confermava una sentenza emessa dal Tribunale della stessa città con cui l’imputata era stata condannata alla pena ritenuta di giustizia per il reato di calunnia.

Ciò posto, avverso questo provvedimento il difensore dell’accusata proponeva ricorso per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, costui deduceva vizio di motivazione per travisamento del fatto.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva il motivo suesposto infondato alla stregua di quell’orientamento nomofilattico secondo il quale il ricorso per Cassazione, con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento o mancata considerazione di una prova, non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisività, ma deve: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021).

Difatti, per gli Ermellini, tale decisività non era stata esaminata dalla ricorrente che, a loro avviso, si era limitata a censurare l’omessa valutazione di taluni elementi di prova, senza prospettarne l’idoneità a disarticolare l’impianto logico della sentenza impugnata, saldamente ancorato ad elementi probatori di valenza univoca, che avevano consentito la ricostruzione della condotta alla medesima contestata.

I risvolti applicativi

Il ricorso in Cassazione, con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento o mancata considerazione di una prova, deve rispettare determinati requisiti per evitare l’inammissibilità.

In particolare, siffatto ricorso, per potersi reputare ammissibile, deve: identificare chiaramente l’atto processuale; individuare il fatto o la prova contraddittoria e presentare la prova di ciò, nonché spiegare come ciò comprometta la coerenza della motivazione del provvedimento impugnato.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 6 Num. 15084 Anno 2024

Presidente: DI STEFANO PIERLUIGI

Relatore: PACILLI GIUSEPPINA ANNA ROSARIA

Data Udienza: 13/03/2024

Data Deposito: 11/04/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da

F. V., nata a … il …

avverso la sentenza emessa 1’8/6/2023 dalla Corte di appello di Campobasso

Visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Giuseppina Anna Rosaria Pacilli;

letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Mariella De Masellis, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso;

lette le note depositate nell’interesse della ricorrente, con cui si è insistito nell’accogliento del ricorso e si è chiesto di dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’8 giugno 2023 la Corte di appello di Campobasso ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale della stessa città il 23 novembre 2022, con cui V. F. è stata condannata alla pena ritenuta di giustizia per il reato di calunnia.

2. Secondo la ricostruzione effettuata dai giudici del merito, l’imputata aveva denunciato, con atto presentato presso il Comando Stazione dei Carabinieri di Campobasso, lo smarrimento degli assegni postali, specificati nel capo di imputazione, tratti su un conto corrente intestato a V. s.r.I., ciascuno dell’importo di euro 1000,00 con beneficiaria V. s.p.a.; assegni che, in realtà, erano stati consegnati a G. S. G., quale legale rappresentante di quest’ultima società, simulando in tal modo ai danni di detto prenditore tracce del reato di furto e/o di ricettazione.

3. Avverso l’anzidetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputata, che ha dedotto i motivi di seguito indicati.

3.1. Vizio di motivazione per travisamento del fatto, per non avere la Corte territoriale valutato le dichiarazioni dei testi della difesa A. V. e M. M. e per non avere menzionato in motivazione sia quanto narrato dal teste dell’accusa A. C., rappresentante di V. s.p.a., che aveva affermato di non avere mai conosciuto l’imputata, sia le dichiarazioni dei dipendenti dell’imputata, che avevano ricordato di avere saputo del furto del portafoglio, subito da quest’ultima. Siffatti elementi di prova, se fossero stati valutati, avrebbero certamente consentito alla Corte territoriale di escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo.

3.2. Erronea applicazione della norma processuale in relazione alla violazione della regola dell’onere della prova. La Corte di appello avrebbe violato il principio dell’onere probatorio dell’accusa, riversandolo integralmente sulla ricorrente, laddove ha sostenuto che quest’ultima non aveva dato prova del successivo pagamento a V. s.p.a. di quanto dovuto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Quanto al primo motivo del ricorso deve rilevarsi che la ricorrente ha censurato la mancata considerazione da parte del Collegio del merito di alcune testimonianze ma non ha indicato adeguatamente la decisività di tali prove.

Al riguardo deve ricordarsi che questa Corte (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085 – 01) è ferma nel ritenere che il ricorso per cassazione, con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento o mancata considerazione di una prova, non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisività, ma deve: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale

incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.

Nel caso in esame, tale decisività non è stata esaminata dalla ricorrente, che si è limitata a censurare l’omessa valutazione di taluni elementi di prova, senza prospettarne l’idoneità a disarticolare l’impianto logico della sentenza impugnata, saldamente ancorato ad elementi probatori di valenza univoca, che hanno consentito la ricostruzione della condotta alla medesima contestata.

3. Anche il secondo motivo è privo di specificità.

La Corte territoriale, dopo avere precisato che gli assegni in rilievo erano due, uno immediatamente successivo all’altro, entrambi tratti su conto corrente di V. s.r.l. ed emessi a fronte di un’unica fattura della venditrice V. s.p.a., ha rilevato che entrambi gli assegni erano nella materiale disponibilità della suddetta V., tant’è vero che uno dei due era stato anche messo all’incasso, ma era tornato insoluto, e l’altro era ancora nella disponibilità dell’avente diritto e non era stato negoziato solo perché, stando a quanto dichiarato dalla persona offesa, l’assegno in questione era stato bloccato dalla debitrice con una comunicazione via fax del 29 giugno 2015.

La Corte di appello ha aggiunto che l’inconciliabilità della denuncia di smarrimento con l’incolpevole ignoranza del fatto che quegli assegni, asseritamente smarriti o rubati, non potessero essere nel portafogli della ricorrente risiedeva proprio nella comunicazione rivendicata come dimostrazione di correttezza verso V. s.p.a.: non solo perché la comunicazione è stata tutt’altro che tempestiva, come sarebbe stato logico che fosse (essendo avvenuta mese dopo il denunciato furto) ma «perché in detta comunicazione si parla di un solo e non meglio precisato assegno, non di due, tant’è vero che il legale rappresentante di V. s.p.a. avrebbe provveduto nel mese successivo a mettere all’incasso l’altro ed è appunto in tale risultato l’essenza della piena indiscutibile e consapevole accettazione da parte dell’imputata che altri potessero essere accusati di furto o di ricettazione di quel bene, mantenendo per sé l’effetto di un mancato innocente pagamento».

Si tratta di argomentazioni logiche, che sfuggono a ogni rilievo in questa sede, dovendosi precisare che l’assenza di un successivo pagamento a V. s.p.a., valorizzata nella sentenza impugnata, non deve essere letta quale sintomo di un’inammissibile inversione dell’onere probatorio, quanto come uno degli indici da cui è stata tratta la sussistenza dell’elemento psicologico ex art. 368 cod. pen..

4. Da ultimo deve rilevarsi che la doglianza sull’estinzione del reato per prescrizione maturata prima della pronuncia di appello è stata formulata solo nelle note integrative, depositate 1’8 marzo 2024.

L’inammissibilità del ricorso preclude l’esame dell’anzidetta doglianza, in ossequio al dettato dell’art. 585 cod. proc. pen., secondo cui “l’inammissibilità dell’impugnazione si estende ai motivi nuovi”.

Ad ogni modo, può aggiungersi che dalla sentenza di primo grado emerge che il processo è stato rinviato per 10 mesi per l’adesione del difensore dell’imputata all’astensione dalle udienze. Già solo questo periodo di sospensione, non preso in considerazione dalla ricorrente, che si è limitata a calcolare sette anni e sei mesi dal fatto, conduce a ritenere che non si è verificata l’estinzione del reato per prescrizione maturata prima della pronuncia di appello.

4.1. L’inammissibilità del ricorso, poi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare l’estinzione eventualmente maturata dopo la sentenza di appello (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266 – 01; Sez. U, n. 23428 del 2/3/2005, omissis,

Rv. 231164 – 01, e Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, omissis, Rv. 266818 – 01).

5. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero – della sanzione pecuniaria di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

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