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Quando non si applica la retrodatazione dei termini di custodia cautelare, secondo l’art. 297, comma 3, c.p.p., per mancanza dell’anteriorità dei fatti della seconda ordinanza rispetto alla prima?

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Cass. pen., sez. VI, 08/07/2024 (ud. 08/07/2024, dep. 08/08/2024), n. 32356 (Pres. Criscuolo, Rel. Giordano)

Indice

La questione giuridica

La questione giuridica, affrontata dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava quando, ai fini della retrodatazione dei termini di decorrenza della custodia cautelare ai sensi dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., non ricorre il presupposto dell’anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza coercitiva, rispetto all’emissione della prima.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

Il Tribunale di Napoli respingeva un appello proposto avverso un’ordinanza della Corte di Appello della medesima città che, a sua volta, aveva dichiarato insussistenti le condizioni previste dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. ai fini della retrodatazione della misura applicata all’appellante, relativa al reato di cui agli artt. 74 d.P.R. 309/1990 e numerosi reati fine.

Ciò posto, avverso questa decisione proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’indagato, deducendo, con un unico motivo, l’erronea applicazione della legge penale (art. 297, comma 3, cod. proc. pen.) per effetto del travisamento degli atti del procedimento e carenza di motivazione sul punto delle deduzioni difensive svolte con i motivi di impugnazione e incentrate sulla medesimezza dei fatti, oggetto delle due misure.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva il ricorso suesposto infondato alla luce di quell’orientamento nomofilattico secondo cui, ai fini della retrodatazione dei termini di decorrenza della custodia cautelare ai sensi dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., non ricorre il presupposto dell’anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza coercitiva, rispetto all’emissione della prima, allorché il provvedimento successivo riguardi un reato associativo e la condotta di partecipazione al sodalizio criminoso si sia protratta anche dopo l’emissione della prima ordinanza (Sez. 6, n. 52015 del 17/10/2018).

I risvolti applicativi

Fermo restando che, come è noto, l’art. 297, co. 3, c.p.p. dispone, da un lato, che, se “nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, benché diversamente circostanziato o qualificato, ovvero per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza in relazione ai quali sussiste connessione ai sensi dell’articolo 12, comma 1, lettera b) e c), limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all’imputazione più grave” (primo periodo), dall’altro, che la “disposizione non si applica relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione ai sensi del presente comma” (secondo periodo), alla luce della pronuncia qui in commento, si stabilisce, sulla scorta di un pregresso indirizzo interpretativo, che la retrodatazione della custodia cautelare non si applica se la seconda ordinanza riguarda un reato associativo e la partecipazione al sodalizio è continuata dopo la prima ordinanza.

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