Cass. pen., sez. II, 9/05/2025 (ud. 9/05/2025, dep. 22/05/2025), n. 19201 (Pres. Pellegrino, Rel. Coscioni)
Indice
- La questione giuridica
- Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica
- I risvolti applicativi
La questione giuridica
La questione giuridica, affrontata dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava quando può essere superata la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze di cautela sancita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.[1] a proposito dei delitti aggravati ex art. 416-bis.1 cod. pen.[2].
Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.
Il Tribunale del riesame di Roma, in accoglimento di un appello proposto dal Pubblico Ministero, applicava ad una persona, indagata per i reati di cui agli artt. 416, commi 1, 2, 3 e 5, 416-bis.1 cod. pen. e 100, 81 cpv., 648-bis.1 cod. pen., la misura della custodia cautelare in carcere.
Ciò posto, avverso questa decisione ricorreva per Cassazione il difensore dell’accusato che deduceva violazione di legge, per essersi il giudice di merito limitato ad effettuare un mero richiamo delle presunzioni di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., anche per quanto riguarda l’idoneità della misura.
Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica
Il Supremo Consesso riteneva il ricorso suesposto infondato.
In particolare, tra le argomentazioni che inducevano gli Ermellini ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, “in tema di misure cautelari personali, la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze di cautela sancita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata, con riguardo ai delitti aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., a condizione che si dia conto dell’avvenuto apprezzamento di elementi, evidenziati dalla parte o direttamente enucleati dagli atti, significativi in tal senso, afferenti, in specie, alla tipologia del delitto in contestazione, alle concrete modalità del fatto e alla sua risalenza, non essendo sufficiente, a tal fine, il mero decorso del cd. “tempo silente”, posto che è escluso, in materia, qualsiasi automatismo valutativo” (Sez. 2, n. 24553 del 22/03/2024).
I risvolti applicativi
La presunzione di esigenze cautelari ex art. 275, comma 3, c.p.p. può essere superata nei reati aggravati dall’art. 416-bis.1 solo se si valutano elementi concreti legati al tipo di reato, alle modalità del fatto e alla sua attualità, non bastando il solo decorso del “tempo silente“, non potendosi ricorrere a meri automatismi nelle valutazioni.
[1]Ai sensi del quale: “La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate. Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli articoli 270, 270-bis e 416-bis del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Salvo quanto previsto dal secondo periodo del presente comma, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del presente codice nonché in ordine ai delitti di cui agli articoli 575, 600-bis, primo comma, 600-ter, escluso il quarto comma, 600-quinquies e, quando non ricorrano le circostanze attenuanti contemplate, 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure”.
[2]Secondo cui: “Per i delitti punibili con pena diversa dall’ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, la pena è aumentata da un terzo alla metà. Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 concorrenti con l’aggravante di cui al primo comma non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alla predetta aggravante. Per i delitti di cui all’articolo 416-bis e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso, nei confronti dell’imputato che, dissociandosi dagli altri, si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori dei reati, la pena dell’ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dodici a venti anni e le altre pene sono diminuite da un terzo alla metà. Nei casi previsti dal terzo comma non si applicano le disposizioni di cui al primo e secondo comma. Per i delitti aggravati dalla circostanza di cui al primo comma si procede sempre d’ufficio”.