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Quali poteri ha il giudice di rinvio dopo un annullamento per vizio di motivazione?

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Cass. pen., sez. V, 10/05/2024 (ud. 10/05/2024, dep. 03/09/2024), n. 33437 (Pres. Vessichelli, Rel. Cananzi)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava quali poteri spettano al giudice di rinvio nel caso di annullamento per vizio di motivazione.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Assise di Appello di Napoli, a seguito di un annullamento con rinvio disposto dalla Corte di Cassazione, confermava una sentenza della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, in relazione alle confische disposte nei confronti di taluni soggetti.

Ciò posto, avverso questa decisione i difensori proponevano ricorso per Cassazione, deducendo vizio di motivazione.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Gli Ermellini ritenevano il ricorso suesposto infondato.

In particolare, tra le argomentazioni che avevano indotto i giudici di piazza Cavour ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo cui il giudice di rinvio, in caso di annullamento per vizio di motivazione, è investito di pieni poteri di cognizione e, salvi i limiti derivanti da un eventuale giudicato interno, può rivisitare il fatto con pieno apprezzamento e autonomia di giudizio, sicché non è vincolato all’esame dei soli punti indicati nella sentenza di annullamento, ma può accedere alla piena rivalutazione del compendio probatorio, in esito alla quale è legittimato anche ad addivenire a soluzioni diverse da quelle del precedente giudice di merito (Sez. 1, n. 5517 del 30/11/2023).

I risvolti applicativi

Il giudice di rinvio, dopo un annullamento per vizio di motivazione, ha pieni poteri di cognizione e può rivalutare il fatto e il compendio probatorio in modo autonomo, non essendo vincolato ai punti indicati nella sentenza di annullamento, e potendo giungere a decisioni diverse da quelle adottate dal giudice di merito precedente.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 5 Num. 33437 Anno 2024

Presidente: VESSICHELLI MARIA

Relatore: CANANZI FRANCESCO

Data Udienza: 10/05/2024

Data Deposito: 03/09/2024

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

A. M. nato a … il …

T. G. nato a … il …

avverso la sentenza del 20/09/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO CANANZI;

lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale PERLA LORI, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di assise di appello di Napoli, con la sentenza del 20 settembre 2023, a seguito dell’annullamento con rinvio disposto da questa Corte di cassazione, Sezione prima, con sentenza n. 39083 del 2019, confermava la sentenza della Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere, in relazione alle confische disposte nei confronti di M. A. e G. T..

Per la migliore comprensione dei ricorsi e per quanto qui di interesse, va evidenziato come le sentenze di merito divenivano cosa giudicata in relazione a due episodi di omicidio, avvenuti il 22 ed il 23 ottobre del 1992 tra Castelvolturno e Villa Literno e per uno dei due delitti, in danno di L. C., veniva

condannato T. G., in concorso con B. F., B. D., V. P., C. R. e T. B..

Inoltre, G. T. veniva condannato con la moglie M. A. per il delitto tentato di trasferimento fraudolento di beni (capo F), avvenuto in data 24 ottobre 2013, con esclusione per l’imputata della aggravante dell’art. 7 I. 203/91, condotta consistita nell’aver T., all’atto dell’esecuzione del titolo cautelare da parte della polizia giudiziaria, sottoscritto plurimi assegni in bianco consegnati alla moglie, per trasferire la disponibilità dei fondi del proprio conto corrente alla A..

A tale ritenuta responsabilità conseguiva anche la confisca dei beni, rispetto alla quale la Corte di cassazione ha ritenuto «fondato […] con effetto estensivo sulla posizione di T. G., il motivo di ricorso relativo alla confisca (disposta ai sensi dell’art. 12 -sexies I. 356 del 1992 e succ. mod., disposizione

attualmente riportata sub art. 240-bis cod.pen.).

I beni oggetto di confisca […] sono stati ritenuti riferibili – essenzialmente – alla iniziativa economica di T. G.. Tuttavia, circa i costi di avviamento e di impianto dell’azienda bufalina riferibile al T. G., ritenuti fonte primaria della sproporzione di valori, sia la decisione di primo grado che quella di appello non esplicitano in modo congruo le ragioni per cui — pure in presenza di dati idonei a far ipotizzare una continuità con l’azienda paterna, insistente da anni nel medesimo sito ed avente il medesimo oggetto — sia stata affermata la assenza di una — quantomeno parziale — continuità aziendale, con possibile imputazione di una quota al T. G.. In altre parole, risulta priva di visibili argomentazioni a sostegno la conclusione per cui — nell’attività di allevamento delle bufale — unico successore di T. L. fu, nel lontano

1997, T. B..

Sul tema va ricordato che l’onere dimostrativo della sproporzione tra investimenti e potenzialità reddituale del soggetto cui è imputata la disponibilità dei beni grava sull’accusa (tra le molte, v. Sez. VI n. 45700 del 20.11.2012, rv 253816) e la verifica va rapportata al momento dei singoli incrementi patrimoniali (v. Sez. I n. 54156 del 27.4.2018, rv 274550). Le argomentazioni tese a sostenere simile segmento del giudizio non possono, dunque, ridursi alla mera rievocazione del contenuto di atti di polizia giudiziaria, ma devono esprimere la valenza obiettiva dei singoli elementi fattuali che consentono — secondo il convincimento raggiunto — di sostenere le conclusioni adottate. Su tale punto della decisione, relativo alla misura di sicurezza patrimoniale, va pertanto disposto l’annullamento con rinvio – per nuovo giudizio – ad altra Sezione della Corte di Assise d’Appello di Napoli».

La Corte di assise di appello ha confermato, con la pronuncia ora impugnata, le statuizioni disposte in primo grado quanto alla confisca.

2. I ricorsi per cassazione proposti nell’interesse di G. T. e M. A. con unico atto constano di un solo articolato motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

3. Il motivo deduce vizio di motivazione, lamentando che la sentenza impugnata abbia ripercorso l’iter motivazionale che la Corte di cassazione aveva chiesto di superare. In particolare, non sarebbe stata chiarita — se non in modo apodittico e formale — la ragione che esclude la continuità dell’azienda dell’imputato con quella paterna a seguito di successione, né si è tenuto conto che alcun aumento patrimoniale improvviso risulti accertato con l’acquisto di beni strumentali non comprovati, né si è valutato come sia stata progressivamente acquisibile una disponibilità finanziaria adeguata, anche grazie alle potenzialità derivate dalla quota di legittima, non bastando a comprovare tutto ciò le dichiarazioni del collaboratore di giustizia D. B. in ordine al difetto di continuità aziendale fra l’azienda paterna e quella del condannato.

Inoltre, quanto alla A. l’investimento aziendale va collocato nell’ambito delle disponibilità familiari e la Corte di merito avrebbe trascurato sul punto le allegazioni difensive, limitandosi alla sola valutazione dei redditi dichiarati dalla A., in assenza di prova quanto alla sproporzione richiesta.

4. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa Perla Lori, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte — ai sensi dell’art. 23 comma 8, dl. 127 del 2020 — con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi.

5. I ricorsi sono stati trattati senza intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, dl. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’art. 94 del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 5-duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199, nonché entro il 30 giugno 2024 ai sensi dell’art. 11, comma 7, del d.l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito in legge 23 febbraio 2024, n. 18.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono infondati.

2. Va in primo luogo richiamato il consolidato principio di diritto per cui nel caso di confisca ex art. 12-sexies, d.l. 8 giugno 1992 n. 306 (ora art. 240-bis cod. pen.), dall’accertata sproporzione tra guadagni e patrimonio, che spetta alla pubblica accusa provare, scatta una presunzione “iuris tantum” d’illecita accumulazione patrimoniale, che può essere superata dall’interessato, specialmente nel caso di confusione tra risorse di provenienza lecita e illecita, sulla base di specifiche e verificate allegazioni, dalle quali si possa desumere la legittima provenienza del bene confiscato attingendo al patrimonio legittimamente accumulato (Sez. 2, n. 43387 del 08/10/2019, omissis, rv. 277997 – 04: in

motivazione la Corte ha sottolineato che l’imputato, in considerazione del principio della cd. “vicinanza della prova”, può acquisire o quantomeno fornire, tramite l’allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva; conf. n. 10756 del 2009 rv. 242896 – 01, n. 3682 del 2011 rv. 249711 – 01, n. 51331

del 2018 rv. 274052 – 01).

A tale condivisibile principio si attiene la sentenza impugnata, individuando senza aporie logiche e con maggior grado di approfondimento argomentando, rispetto alla sentenza di primo grado, sui profili indicati dalla sentenza rescindente.

Il motivo deduce vizio di motivazione lamentando che la sentenza impugnata abbia ripercorso l’iter motivazionale che la Corte di cassazione aveva chiesto di superare, ma invero la motivazione impugnata risulta offrire una propria complessiva rivalutazione di tutti gli elementi di prova, anche non richiamati dalla sentenza di primo grado.

In tal senso, la sentenza impugnata si pone in sintonia con il principio per cui il giudice di rinvio, in caso di annullamento per vizio di motivazione, è investito di pieni poteri di cognizione e, salvi i limiti derivanti da un eventuale giudicato interno, può rivisitare il fatto con pieno apprezzamento e autonomia di giudizio, sicché non è vincolato all’esame dei soli punti indicati nella sentenza di annullamento, ma può accedere alla piena rivalutazione del compendio probatorio, in esito alla quale è legittimato anche ad addivenire a soluzioni diverse da quelle del precedente giudice di merito (Sez. 1, n. 5517 del 30/11/2023, dep. 2024, omissis, rv. 285801 – 02).

Quanto alle doglianze difensive, in primo luogo la Corte territoriale evidenzia gli elementi decisivi che escludono la continuità fra l’azienda bufalina paterna e quella del T., o anche di parte dell’eredità, il che avrebbero giustificato, secondo la tesi difensiva, almeno in parte, la disponibilità dell’azienda da parte dei ricorrenti.

Alla originaria argomentazione, relativa alla circostanza che abbia ereditato l’azienda paterna esclusivamente il fratello di G., B., maggiore in età, anche perché G. ebbe a iniziare l’attività di imprenditore agricolo solo quattro anni dopo la morte del padre, la Corte di assise di appello aggiunge plurime argomentazioni: di carattere logico, rappresentando come la bassa redditività dell’azienda paterna non avrebbe consentito gli investimenti accertati nella azienda bufalina di G. T. e ancor più in quella della moglie, che era titolare di una scuderia, pur se priva di redditi e nullatenente, tanto da

ricondurla allo stesso G. T.; di carattere fattuale, risultando l’asse ereditario complessivamente (e quindi non solo per G. T., che concorreva per la quota di 1/9) ammontante a beni immobili per il valore complessivo di 520 milioni di lire, rispondenti a quote nominali per ogni erede che non potevano giustificare gli investimenti, in quanto i beni erano gravati da ipoteca, e quindi non disponibili e, soprattutto — argomento, mai affrontato dai ricorrenti, pur essendo stato proposto già dalla sentenza di primo grado — mai era stato comprovato lo scioglimento della comunione ereditaria.

Anche non manifestamente illogico risulta il richiamo operato dalla Corte di appello alle dichiarazioni di D. B., che riferiva degli investimenti effettuati dai figli di L. T., che facevano evolvere l’azienda, a riprova dell’esistenza di fonti di reddito diverse e ulteriori rispetto a quelle dell’azienda originaria che aveva una struttura organizzativa rudimentale; come anche di rilievo le dichiarazioni dello stesso B. T., con le quali i ricorrenti non si confrontano, che si attribuiva personalmente l’acquisizione dell’azienda paterna, stante il disinteresse del fratello, a smentita della tesi difensiva che prospetta la derivazione ereditaria degli investimenti.

La Corte territoriale, inoltre, con un giudizio non specificamente censurato, comprova la diversità dell’azienda di G. da quella di B., grazie all’esistenza di due diverse partite iva, alla circostanza che le bufale erano assegnate all’una o all’altra azienda, come risultava dai diversi codici veterinari aziendali, alla diversità della contabilità — che sussisteva in modo separato per ognuna delle due aziende — risultando solo quella di B. indicata nella documentazione allegata dalla difesa come trasferita dal padre al figlio, a riprova dell’autonomia dal contesto aziendale paterno di quella di G., e ancor più di quella intestata alla moglie A..

Ad ogni buon conto, in modo non manifestamente illogico, anche a voler ritenere l’unicità dell’azienda dei due fratelli, rilevava la Corte territoriale come emergesse che gli investimenti compiuti risultavano non giustificati dai redditi dichiarati da costoro né dalla eredità, mai ricevuta, per le esposte ragioni.

Il primo principio di diritto enunciato, quindi, che rimette all’accusa l’individuazione della sproporzione, risulta sostanzialmente applicato nel caso in esame: la sproporzione fra i redditi dichiarati singolarmente e collettivamente e gli investimenti effettuati nelle aziende (accertati non solo grazie al narrato di B. D., ma anche in occasione del sequestro, ove anche si verificava il valore significativo delle strutture aziendali e la presenza di un allevamento cospicuo di bufale), avrebbero richiesto una prova, quanto alle fonti di reddito lecite, puntuale, tesa a dimostrare l’assenza della sproporzione medesima. Che invece risultava conseguente già dalla sola comparazione fra i redditi dichiarati e le esigenze di vita ordinaria dei nuclei familiari, prima ancora di valutare le esigenze proprie della dinamica aziendale.

Ma sul punto il motivo dei ricorsi si limita a riproporre ipotesi, quali quelle della derivazione ereditaria, smentita dalle argomentazioni congrue delle sentenze di merito in doppia conforme, ovvero la tesi della progressiva acquisizione di una disponibilità finanziaria adeguata, che però non risulta comprovata in fase di merito e resta nell’ambito della deduzione generica.

Anche la doglianza, quanto alla A., titolare di una scuderia, a ben vedere,

viene già dalla Corte territoriale inserita, in assenza di reddito della ricorrente, nell’ambito della dimensione familiare, come sollecitato dalla difesa con il presente ricorso; anzi viene ritenuta sostanzialmente nella disponibilità effettiva di G. T., il che risulta congruo anche alla luce delle dichiarazioni del fratello che riferiva della passione per i cavalli dell’imputato, ribadendone senza aporie logiche la Corte territoriale il valore sproporzionato rispetto al reddito.

3. Ne consegue l’assenza di vizi motivazionali manifesti, dal che deriva il complessivo rigetto dei ricorsi, con condanna alle spese processuali dei ricorrenti.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, 10/05/2024.

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