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Quale controllo di legittimità spetta alla Cassazione in materia di provvedimenti de libertate

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Cass. pen., sez. V, 07/11/2023 (ud. 07/11/2023, dep. 29/02/2024), n. 8923 (Pres. Pezzullo, Rel. Guardiano)

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 311)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, che la Cassazione ha affrontato nel caso di specie, riguardava quale controllo di legittimità le spetta in relazione ai provvedimenti emessi dal giudice della cautela.

Orbene, prima di vedere come la Suprema Corte ha trattato tale questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in esame.

Il Tribunale di Napoli, agendo in sede di appello cautelare, respingeva un appello presentato contro un’ordinanza emessa dalla Corte di Appello di Napoli che, a sua volta, aveva respinto una richiesta di sostituire la misura cautelare della custodia in carcere applicata all’imputato, coinvolto in reati relativi alla partecipazione a un’associazione a delinquere di stampo camorristico, con gli arresti domiciliari.

Ciò posto, avverso questo provvedimento il difensore dell’accusato proponeva ricorso per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, costui deduceva vizio di motivazione, posto che il Tribunale del riesame aveva omesso di valutare, ai fini del venir meno ovvero dell’attenuazione della presunzione relativa di pericolosità sociale e della conseguente presunzione assoluta di adeguatezza della misura inframuraria, una serie di plurime contingenze.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Suprema Corte riteneva il ricorso suesposto infondato reputando la motivazione del provvedimento impugnato del tutto logico e privo di carenza alcuna, oltre che essere consono a quegli orientamenti nomofilattici secondo cui, da un lato, in tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti dell’indagato del delitto di associazione di tipo mafioso, la presunzione relativa di pericolosità sociale, di cui al combinato disposto degli artt. 275, comma 3, c.p.p., e 416-bis, c.p., può essere superata anche quando dagli elementi a disposizione del giudice emerga una situazione che, pur in mancanza della prova positiva della rescissione del vincolo associativo, dimostri – in modo obiettivo e concreto – l’effettivo e irreversibile allontanamento dell’indagato dal gruppo criminale e la conseguente mancanza delle esigenze cautelari (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 28821 del 30/09/2020; Sez. 6, n. 23012 del 20/04/2016; Sez. 5, n. 52303 del 14/07/2016), dall’altro, ove non emergano elementi in grado di dimostrare che l’associato abbia stabilmente rescisso i suoi legami con l’organizzazione criminosa, sul giudice della cautela non grava un onere di argomentare in positivo circa la sussistenza o la permanenza delle esigenze cautelari (cfr. Sez. 5, n. 45840 del 14/06/2018).

Oltre a ciò, e venendo quindi a trattare la questione summenzionata, ad ogni modo, per la Corte di legittimità, il ricorso in questione risultava essere manifestamente infondato e tale da sollecitare una diversa valutazione degli elementi di fatto, non consentita in sede di legittimità, posto che, in materia di provvedimenti de libertate, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato, in relazione alle esigenze cautelari e all’adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame.

Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr. Sez. II, 2.2.2017, n. 9212; Sez. IV, 3.2.2011, n. 14726; Sez. III, 21.10.2010, n. 40873; Sez. IV, 17.8.1996, n. 2050).

I risvolti applicativi

La Corte di Cassazione non può rivedere gli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate nei provvedimenti di libertà, compresi gli indizi e le condizioni soggettive dell’indagato, trattandosi di valutazioni di merito riservate al giudice che ha emesso la misura e al Tribunale del riesame.

Il controllo di legittimità della Cassazione si deve quindi limitare a verificare unicamente le ragioni giuridiche del provvedimento e l’assenza di evidenti illogicità rispetto al suo scopo giustificativo.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 5 Num. 8923 Anno 2024

Presidente: PEZZULLO ROSA

Relatore: GUARDIANO ALFREDO

Data Udienza: 07/11/2023

Data Deposito: 29/02/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B. A. nato a … il …

avverso l’ordinanza del 18/07/2023 del TRIB. LIBERTA di NAPOLI

udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO;

lette/sentite le conclusioni del PG FRANCESCA CERONI

udito il difensore

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Con l’ordinanza di cui in epigrafe il tribunale di Napoli, adito ex art. 310, c.p.p., rigettava l’appello proposto nell’interesse di B. A. contro l’ordinanza con cui la corte di appello di Napoli, in data 5.6.2023, aveva rigettato la richiesta di sostituzione con quella degli arresti domiciliari della misura cautelare della custodia in carcere applicata al suddetto imputato in relazione ai reati di cui ai capi 1); 2); 3); 4); 5) e 6) dell’imputazione, relativi alla contestata partecipazione di quest’ultimo all’associazione a delinquere di stampo camorristico nota come “…”.

2. Avverso l’ordinanza del tribunale del riesame, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il B., lamentando 1) vizio di motivazione, posto che il tribunale del riesame ha

omesso di valutare, ai fini del venir meno ovvero dell’attenuazione della presunzione relativa di pericolosità sociale e della conseguente presunzione assoluta di adeguatezza della misura inframuraria, una serie di plurime contingenze, dalle quali si evince la cessazione di qualsivoglia legame soggettivo con l’associazione a delinquere di cui al capo 1) come del resto rimarcato dallo stesso pubblico ministero nel parere reso ai sensi dell’art. 299, co. 3, c.p.p.

In particolare, ad avviso del ricorrente, il tribunale del riesame non ha offerto alcun argomento idoneo a neutralizzare la valenza univoca delle circostanze declinate a favore del B., essendosi limitato a evocare il ruolo assunto da quest’ultimo nell’ambito del sodalizio criminoso ovvero fatti di gran lunga antecedenti alle sopravvenienze, che ne hanno determinato l’irreversibile allontanamento, senza tacere che appare apodittico e manifestamente illogico, sostenere, peraltro in violazione della stessa formulazione dell’art. 275, co. 3, c.p.p., che, permanendo le esigenze cautelari in relazione ai reati-fine, in considerazione della contestata circostanza aggravante della finalità associativa, permangono

anche le esigenze cautelari presunte, in relazione all’art. 416 bis, c.p., posto che i reati-fine devono ritenersi strutturalmente eterogenei, rispetto al fenomeno associativo delineato dall’art. 416 bis, c.p.

3. Con requisitoria scritta del 9.10.2023 il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott.ssa Francesca Ceroni chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

4. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.

5. Le questioni poste dalla difesa del ricorrente si prestano ad una valutazione congiunta, che, pur seguendo il percorso proposto dal B., giunge a conclusioni diverse.

Al riguardo va, innanzitutto osservato che appare prevalente nella giurisprudenza di questa Corte l’orientamento secondo cui in tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti dell’indagato del delitto di associazione di tipo mafioso, la presunzione relativa di pericolosità sociale, di cui al combinato disposto degli artt. 275, comma 3, c.p.p., e 416-bis, c.p., può essere superata anche quando dagli elementi a disposizione del giudice emerga una situazione che, pur in mancanza della prova positiva della rescissione del vincolo associativo, dimostri – in modo obiettivo e concreto – l’effettivo e irreversibile allontanamento dell’indagato dal gruppo criminale e la conseguente mancanza delle esigenze cautelari (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 28821 del 30/09/2020, Rv. 279780; Sez. 6, n. 23012 del 20/04/2016, Rv. 267159; Sez. 5, n. 52303 del 14/07/2016, Rv. 268726).

Si è, inoltre, chiarito che, ove non emergano elementi in grado di dimostrare che l’associato abbia stabilmente rescisso i suoi legami con l’organizzazione criminosa, sul giudice della cautela non grava un onere di argomentare in positivo circa la sussistenza o la permanenza delle esigenze cautelari (cfr. Sez. 5, n. 45840 del 14/06/2018, Rv. 274180).

Ciò posto non è revocabile in dubbio che l’ordinanza non presta il fianco alle critiche della difesa.

Il giudice della cautela, infatti, ha ritenuto, con motivazione affatto carente o del tutto illogica, che in ragione della posizione di assoluto rilievo assunta dal B. all’interno di una ramificata e potente organizzazione a delinquere di stampo camorristico, come il “…”, di cui era divenuto il referente per la penetrazione nel settore imprenditoriale, godendo della fiducia dei vertici del sodalizio, tanto da  potersi presentare alla vittima dell’estorsione di cui al capo 5), G. S., spendendo il nome di A. S., uno dei capi dell’organizzazione criminale, invece del suo, gli elementi addotti dal B. (avere risarcito i danni cagionati alle persone offese; avere cancellato le società oggetto di intestazione fittizia; avere manifestato la propria disponibilità ad allontanarsi dalla …, per trasferirsi in …), non fossero, in ragione dello spessore criminale del ricorrente, elementi idonei a dimostrare l’effettivo e irreversibile allontanamento dell’imputato dal gruppo criminale di appartenenza, che implica la definitiva presa di distanza dal sodalizio, da cui poter far discendere la cessazione delle esigenze cautelari.

Né tale allontanamento può farsi discendere automaticamente dalla scelta di collaborare con la giustizia o dalla lontananza nel tempo dei fatti addebitati, stante la perdurante esistenza del sodalizio camorristico di riferimento.

Sul punto, dunque, il ricorso dell’imputato risulta manifestamente infondato e tale da sollecitare una diversa valutazione degli elementi di fatto, non consentita in questa sede.

Al riguardo vanno ribaditi i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, che da tempo ha evidenziato come, in materia di provvedimenti de libertate, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato, in relazione alle esigenze cautelari e all’adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame.

Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr. Sez. II, 2.2.2017, n. 9212, rv. 269438; Sez. IV, 3.2.2011, n. 14726; Sez. III, 21.10.2010, n. 40873, rv. 248698; Sez. IV, 17.8.1996, n. 2050, rv. 206104).

Strettamente connessa alla prima è la seconda questione posta dal ricorrente, posto che il giudice dell’impugnazione cautelare ha ritenuto persistenti le esigenze cautelari a carico del B. in relazione al delitto di cui all’art. 416 bis, c.p., con conseguente operatività della presunzione assoluta di adeguatezza della misura carceraria applicata all’imputato, non solo in ragione dei precedenti penali a suo carico, ma, soprattutto in ragione, della sussistenza, non contestata dal ricorrente, delle esigenze cautelari relative ai reati-fine, tutti aggravati dalla finalità agevolatrice del sodalizio camorristico, ai sensi dell’art. 416 bis 1., c.p.

Artificiosa appare la pretesa del ricorrente di tenere separati i due piani, trovando conferma il percorso argomentativo seguito dal tribunale del riesame in un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, alla luce del quale ai fini della configurabilità dell’esigenza cautelare di cui all’art. 274, comma primo, lett. c), c.p.p., il concreto pericolo di reiterazione dell’attività criminosa può essere desunto anche dalla molteplicità dei fatti contestati, in quanto la stessa, considerata alla luce delle modalità della condotta concretamente tenuta, può essere indice sintomatico di una personalità proclive al delitto, indipendentemente dall’attualità di detta condotta e quindi anche nel caso in cui essa sia risalente nel tempo (cfr. Sez. 3, n. 3661 del 17/12/2013, Rv. 258053; Sez. 2, n. 7357 del 03/02/2005, Rv. 230912).

Anche sotto questo profilo, pertanto, non può che rilevarsi la manifesta infondatezza dei motivi di ricorso.

6. Alla dichiarazione di inammissibilità, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest’ultimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, co. 1 ter, disp. att., c.p.p.

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