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Può essere soggetto a ricorso per Cassazione il provvedimento sulla concessione e quantificazione di una provvisionale?

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Cass. pen., sez. V, 20/02/2024 (ud. 20/02/2024, dep. 04/04/2024), n. 13788 (Pres. Sabeone, Rel. Sessa)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se sia impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Firenze confermava una pronuncia di primo grado emessa dal G.i.p. presso il Tribunale di Pistoia che, a sua volta, aveva ritenuto responsabili gli imputati dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e di bancarotta semplice per aggravamento del disseto, condannandoli alla pena di anni due e mesi otto di reclusione, e al risarcimento del danno nei confronti della curatela fallimentare costituita parte civile.

Ciò posto, avverso questa decisione ricorrevano per Cassazione gli accusati tramite il loro difensore di fiducia e, tra i motivi ivi addotti, si deduceva vizio di motivazione in riferimento alla determinazione della pena principale e alla quantificazione della provvisionale.

In particolare, secondo la difesa, la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare che il giudice di primo grado, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base per tale reato, avrebbe dovuto anche motivare l’aumento di pena – di un anno – in relazione al reato satellite di bancarotta semplice atteso che, in riferimento alla quantificazione da parte del giudice di primo grado della somma di euro 150.000,00 a titolo di provvisionale, non sarebbe stato soddisfatto il requisito di motivazione rafforzata, che era necessaria data la rilevante entità della somma.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva il motivo suesposto infondato alla stregua di quell’orientamento nomofilattico secondo il quale non è impugnabile con ricorso per Cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019).

I risvolti applicativi

La decisione relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale in sede penale non è soggetta a ricorso in Cassazione.

Questa decisione è difatti discrezionale, delibativa, non sempre motivata, e non è in grado di passare in giudicato, essendo destinata a essere modificata una volta che il risarcimento sia integralmente liquidato.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 5 Num. 13788 Anno 2024

Presidente: SABEONE GERARDO

Relatore: SESSA RENATA

Data Udienza: 20/02/2024

Data Deposito: 04/04/2024

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

N. C. nato il …

D. M. M. nato a … il …

avverso la sentenza del 20/01/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUIGI GIORDANO che ha concluso chiedendo

Il Procuratore Generale, riportandosi alla requisitoria in atti, conclude per l’inammissibilità del ricorso.

udito il difensore

L’avvocato U. S. si riporta ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 20.01.2023, la Corte di appello di Firenze, ha confermato la pronuncia di primo grado emessa dal G.i.p. presso il Tribunale di Pistoia, che aveva ritenuto responsabili dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e di bancarotta semplice per aggravamento del disseto, gli imputati N. C. e D. M. M., condannandoli alla pena di anni due e mesi otto di reclusione, e al risarcimento del danno nei confronti della curatela fallimentare costituita parte civile.

2. Avverso detta pronuncia ricorrono per cassazione gli imputati, tramite il medesimo difensore di fiducia, affidando le censure a tre motivi.

2.1. Con il primo motivo deducono vizio di motivazione e violazione di legge in relazione agli artt. 223 e 216 n.1 I.fall. di cui al capo a).

È necessario verificare, rispetto ad una operazione economica lecita che possa dare adito a dubbi sotto il profilo penale, la sua concreta portata offensiva. Nel caso di specie, è stato contestato agli imputati il reato di bancarotta per distrazione, in quanto avrebbero distratto due immobili della società simulandone il pagamento mediante l’utilizzo di due assegni bancari emessi tre anni prima dalla O. s.r.l. al fine di regolare un debito commerciale di quest’ultima nei confronti di M. s.r.l.

La difesa non ritiene integrato il reato di bancarotta per distrazione poiché la condotta non sarebbe stata tale da mettere in pericolo le pretese creditorie, in particolare, si considerano quelle della Banca di M., in quanto la garanzia ipotecaria dell’Istituto bancario era tale da rendere irrilevante la posizione degli altri creditori.

La Corte di merito ha errato nel liquidare la questione sulla sussistenza del pericolo concreto senza fornire alcuna motivazione e non considerando la vicenda ipotecaria, che invece si ritiene rilevante poiché è proprio alla luce della titolarità in capo all’Istituto bancario di una garanzia ipotecaria che si deve escludere la sussistenza di un pericolo per il soddisfacimento delle ragioni creditorie. La M. s.r.l. aveva ivi trasferito la proprietà dei due immobili in capo ai soci N. e D. M., ma da ciò non discendeva necessariamente che la cessione dei suddetti beni rappresentasse un pericolo concreto per i creditori societari, proprio perché gli immobili oggetto dell’alienazione erano gravanti da ipoteca a favore della Banca dì M. e di conseguenza il creditore societario privilegiato, a seguito dell’alienazione, non aveva perso il diritto di rivalersi sugli immobili, avendo mantenuto il potere di soddisfarsi sui beni in maniera privilegiata in virtù dell’ipoteca. Inoltre, gli imputati avevano sottoscritto una garanzia fideiussoria personale a sostegno dei debiti contratti dalla M. s.r.l. con la Banca di M..

In riferimento alla Banca, quest’ultima vantava una posizione preminente rispetto agli altri creditori societari in virtù della garanzia reale che assisteva il suo credito, la cui entità era tale da coprire tutto il patrimonio della M. s.r.l. per cui l’Istituto bancario, in quanto creditore privilegiato, si sarebbe potuto insinuare nel passivo fallimentare e di conseguenza soddisfare le proprie pretese esautorando il valore degli immobili.

In ordine al presunto pagamento simulato degli immobili, la Corte territoriale ha ritenuto che lo stesso fosse fittizio in quanto gli assegni — del valore di euro 100.000,00 e 338.000,00 – erano imputabili a precedenti crediti della società (per euro 240.000 e 198.000); in realtà la difesa aveva spiegato come gli immobili fossero stati effettivamente pagati in quanto — essendo la M. s.r.l. debitrice di O. s.r.l. per essersi accollata un debito di euro 268.000 che la società C. F. aveva nei confronti della O. — i soci di quest’ultima, ossia gli imputati, decisero di comprare gli immobili imputando a pagamento i vecchi assegni, regolarmente pagati e tracciati (che risultavano emessi dalla O. nel 2009 a causa dello storno di fatture per euro 240.000 e del rimborso iva su caparre per euro 198.000).

2.2. Con il secondo motivo contestano vizio di motivazione e violazione di legge in ordine agli artt. 224 nn. 1 e 2 e 217 n.4 I.fall. di cui al capo a).

Si rileva l’insussistenza della responsabilità in relazione al reato di cui agli articoli suddetti per l’assenza del rapporto eziologico tra le condotte contestate e l’aggravamento del dissesto della società.

La Corte territoriale ha ritenuto inattendibile, senza adeguata motivazione, la versione fornita dal consulente Dott. A., per il quale l’insolvenza della società si sarebbe manifestata nel 2014 e non nel 2010 come affermato dai giudici di merito.

Manca puntuale motivazione in ordine alla sussistenza del nesso causale tra le condotte contestate ed il dissesto, elemento necessario per ritenere integrato il reato di bancarotta semplice, che si sarebbe configurato qualora fosse stato provato in giudizio il deterioramento della complessiva situazione economico-finanziaria dell’impresa quale conseguenza delle inosservanze contestate.

La Corte di merito non ha indicato come le condotte descritte nel capo di imputazione avessero contribuito causalmente ad aggravare lo stato patrimoniale della Società M. s.r.l., evidentemente perché nel caso di specie non sussisteva un rapporto eziologico tra le condotte contestate e l’aggravamento del dissesto della società, in quanto — come spiegato dai Dott. A. — la M. s.r.l. era sostanzialmente bloccata da anni per crollo del fatturato e dissidi tra soci, senza più avere la possibilità e la volontà di porre in essere ulteriori operazioni economiche.

2.3. Con il terzo motivo denunciano vizio di motivazione in riferimento alla determinazione della pena principale e alla quantificazione della provvisionale.

La Corte di appello avrebbe dovuto considerare che il giudice di primo grado, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base per tale reato, avrebbe dovuto anche motivare l’aumento di pena – di un anno – in relazione al reato satellite di bancarotta semplice.

In riferimento alla quantificazione da parte del giudice di primo grado della somma di euro 150.000,00 a titolo di provvisionale, non è stato soddisfatto il requisito di motivazione rafforzata, che era necessaria data la rilevante entità della somma.

Le parti hanno concluso in pubblica udienza come riportato in epigrafe.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 ricorsi sono infondati.

1.1. Il primo motivo di ricorso è proprio inammissibile perché meramente reiterativo dell’impostazione difensiva che nel valutare la ricorrenza dell’esposizione a pericolo concreto delle ragioni creditorie ha come unico parametro di riferimento all’istituto bancario titolare di ipoteca sul bene oggetto della cessione laddove la ricostruzione dei giudici di merito, già in primo grado, si appunta sul fatto che la cessione è intervenuta senza il versamento del corrispettivo, e a fronte di ciò ritiene quindi irrilevante che sul bene medesimo insistesse il vincolo ipotecario in favore della banca.

Il collegio di merito, in particolare, con una lunga ed attenta motivazione, ha spiegato le ragioni per le quali il pagamento degli immobili dovesse ritenersi simulato e perché il danno patrimoniale procurato alla società sia rappresentato “esattamente dal prezzo della vendita non riscosso”, mentre “la circostanza che i due immobili fossero gravati da ipoteca è un aspetto non incidente sul dato oggettivo della mancata riscossione del prezzo come contrattualmente pattuito”, circostanza certamente idonea di per sé a pregiudicare le aspettative creditorie, a minare la garanzia patrimoniale perché a fronte della fuoriuscita del bene avrebbe dovuto comunque fare ingresso il prezzo pattuito.

Del tutto condivisibile, pertanto, risulta la conclusione che “il gravame ipotecario non comportava che la società M. potesse cedere i beni senza ricevere il corrispettivo. Tutto ciò senza considerare la genericità degli aspetti su cui si fonda l’assunto difensivo, non risultando indicati né l’ammontare del debito ipotecario, né gli eventuali inadempimenti che avrebbero assorbito per intero il valore dei beni, essendosi il ricorrente limitato a valorizzare la sussistenza dell’ipoteca che nell’ottica difensiva avrebbe di per sé inciso sulla irrilevanza dei beni rispetto agli altri creditori.

Il ricorrente ha inteso, per altro verso, sollecitare una diversa valutazione dei profili di merito della vicenda rispetto all’accurato giudizio compiuto dal Tribunale e dalla Corte d’appello, che hanno evidenziato come non potesse ritenersi in alcun modo seriamente dimostrato il versamento del prezzo degli immobili ceduti – si badi bene – ai due imputati né attraverso gli assegni citati nell’atto – che avevano ad oggetto somme transitate sul conto della M. per uscirne immediatamente e rientrare nelle casse della società O. -, né mediante quei due in precedenza emessi dalla O. per altra causale – che è comunque soggetto diverso rispetto agli imputati – in favore della società, che nell’impostazione difensiva andrebbero imputati al versamento del prezzo in argomento attraverso l’assunto dell’accollo da parte della M. di un debito della società F. – appaltatrice della M. – verso la O. – accollo comunque intervenuto per importo inferiore a quello del prezzo (cfr. in particolare la sentenza impugnata alle pagg. 9, 01 e 11).

Sicchè il motivo presenta profili di inammissibilità sotto diversi aspetti ed è nel suo complesso manifestamente infondato, deducendo vizi palesemente insussistenti.

1.2.Con riguardo al secondo motivo, deve rilevarsi che la Corte d’appello ha precisato come “la corresponsione del prezzo della vendita (qualora il prezzo fosse stato effettivamente versato …) avrebbe certamente arrecato un vantaggio alla società perché incassando la  somma attribuita agli appartamenti, avrebbe ridotto dopo i propri debiti …”. D’altra parte lostesso consulente della difesa, secondo quanto si precisa nella sentenza impugnata, aveva affermato che “…comunque la M. s.r.l. in cambio dell’immobile, che non ritengo fosse commerciabile, ha ridotto i propri debiti per euro 438.000”, dando però per avvenuto il pagamento del prezzo. Anche in questo modo, oltre che illustrando compiutamente i profili oggettivi del reato, il collegio di merito ha motivato sul rapporto di causalità esistente tra le condotte ascritte e l’aggravamento del dissesto della società, rapporto che peraltro non è richiesto ai fini dell’integrazione della fattispecie distrattiva della bancarotta fraudolenta patrimoniale, ma solo ai fini della bancarotta semplice qui contestata; laddove per altro verso ai fini della bancarotta semplice per omessa richiesta della dichiarazione di fallimento risulta pacifico che il dissesto comunque sussistesse – secondo i giudici di merito già a partire, quanto meno, dal 2010, quando già in precedenza sussistevano i presupposti per assumere le iniziative di cui all’art. 2483-ter cod. civ., e secondo la difesa e il consulente di parte solo dal 2014 (il fallimento veniva dichiarato in data 24.2.2017) – e che ciò nonostante gli amministratori si siano astenuti dal chiedere il fallimento (cfr. le pagg. 12, 13 e 14 della sentenza impugnata in cui si indica con precisione la ricostruzione svolta al riguardo, tenendo conto anche proprio dei rilievi difensivi), a nulla rilevando gli eventuali dissidi interni e il crollo del fatturato che si inseriscono piuttosto nell’ambito dei fattori che avrebbero potuto contribuire ad indurre a chiedere il fallimento.

Il motivo è dunque nel suo complesso infondato.

1.3. Quanto al terzo motivo, si osserva che la Corte d’appello ha adeguatamente motivato in ordine al trattamento sanzionatorio, osservando come la pena base era stata già determinata nel minimo edittale pari ad anni tre di reclusione e come l’aumento per la continuazione effettuato a mente dell’art. 219 comma 2 I.f. dovesse ritenersi congruo e giustificato alla stregua della gravità della condotta che aveva aggravato il dissesto per diverso tempo.

Quanto alla determinazione dell’ammontare della provvisionale, la Corte di appello ha anzi precisato come nella quantificazione in euro 150.000, ossia in un importo inferiore al prezzo non versato per l’acquisto dei beni, il giudice di primo grado avesse tenuto conto di quanto v

versato alla curatela dagli imputati nei cui confronti si è proceduto separatamente.

Le doglianze sui profili oggetto del terzo motivo, pertanto, oltre ad essere del tutto generiche, risultano inammissibili perché tese a sollecitare un nuovo giudizio di merito.

E’ solo il caso di ricordare che secondo la giurisprudenza costante di questa Corte non è, comunque, impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Rv. 277773 – 02).

2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto dei ricorsi, cui consegue, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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