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Le questioni non sollevate in appello non possono essere trattate in Cassazione, tranne in casi eccezionali

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Cass. pen., sez. II, 03/11/2023 (ud. 03/11/2023, dep. 08/02/2024), n. 5510 (Pres. Di Paola, Rel. Florit)

Indice

Il fatto

La Corte di Appello di Milano condannava gli imputati per il reato di invasione arbitraria di immobili, escludendo però al contempo, nei confronti di alcuni di loro, la circostanza aggravante cui all’articolo 633 comma 2 c.p.p., procedendo quindi, in parziale riforma della sentenza emessa dal giudice di prime cure, nei confronti di costoro alla rideterminazione della pena.

Ciò posto, avverso la decisione emessa dalla Corte territoriale i difensori degli accusati proponevano ricorso per Cassazione.

In particolare, nei motivi ivi addotti, si prospettavano: a) erronea applicazione della legge penale e la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo della fattispecie di reato contestato; b) vizio di motivazione in merito alla concessione della provvisionale immediatamente esecutiva.

Come la Cassazione ha deciso in riferimento ai ricorsi suesposti

La Suprema Corte riteneva i ricorsi succitati inammissibili.

In particolare, per quanto riguarda la prima doglianza, gli Ermellini la reputavano manifestatamente infondata poiché, a loro avviso, le censure ivi contenute, lungi dal delineare un effettivo vizio di legittimità, finivano unicamente per contestare il giudizio di responsabilità, ovvero il risultato probatorio cui erano approdati i giudici di merito che, con valutazione (reputata) conforme delle medesime emergenze istruttorie, erano stati concordi nel ritenere tali elementi pienamente e integralmente riscontrati all’esito della ricostruzione della concreta vicenda processuale.

Difatti, per la Corte di legittimità, il loro operato era conforme al fatto che se, ai fini della corretta deduzione del vizio di violazione di legge di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., il motivo di ricorso deve strutturarsi sulla contestazione della riconducibilità del fatto – come ricostruito dai giudici di merito – nella fattispecie astratta delineata dal legislatore, altra cosa, invece, è sostenere, come stimato avvenuto nel caso di specie, che le emergenze istruttorie acquisite siano idonee o meno a consentire la ricostruzione della condotta di cui si discute in termini tali da ricondurla al paradigma legale.

In effetti, nel primo caso, viene effettivamente in rilievo un profilo di violazione di legge laddove si deduce l’erroneità dell’opera di “sussunzione” del fatto (non suscettibile di essere rimessa in discussione in sede di legittimità) rispetto alla fattispecie astratta mentre, nel secondo caso, invece, la censura si risolve nella contestazione della possibilità di enucleare, dalle prove acquisite, una condotta corrispondente alla fattispecie tipica che è, invece, operazione prettamente riservata al giudice di merito.

Precisato ciò, quanto al secondo motivo, i giudici di piazza Cavour notavano come esso non fosse consentito, essendo stato formulato esclusivamente con il ricorso per Cassazione nei confronti di un punto specifico della statuizione contenuta nella decisione di primo grado e conseguente violazione della catena devolutiva, non più recuperabile.

Invero, in tale caso, trova applicazione la regola, ricavabile dal combinato disposto degli artt. 606, comma terzo, e 609, comma secondo, cod. proc. pen., secondo cui non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di questioni che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello, dal momento che essa trova la “ratio” nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso non investito dal controllo della Corte di Appello, perché non segnalato con i motivi di gravame (Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012).

I risvolti applicativi

La decisione in esame desta un certo interesse, sotto il profilo applicativo, specialmente nella parte in cui è richiamato quell’indirizzo interpretativo secondo il quale non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di questioni che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello.

Pertanto, soltanto siffatte questioni sono deducibili in sede di legittimità, altrimenti, in caso contrario, è sconsigliabile prospettarle con il ricorso.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 2 Num. 5510 Anno 2024

Presidente: DI PAOLA SERGIO

Relatore: FLORIT FRANCESCO

Data Udienza: 03/11/2023

Data Deposito: 08/02/2024

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

D. E. nata in … il …

D. M. M. nato in … il …

T. C. nata in … il …

G. S. nata in … il …

Z. I. L. nato in … il ..

M. L. nata in … il …

M. M. nata in … il …

M. A. nato in … il …

M. M. nato in … il …

avverso la sentenza del 30/01/2023 della CORTE di APPELLO di MILANO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO FLORIT:

lette le conclusioni del Sostituto Procuratore PAOLA MASTROBERARDINO che ha chiesto l’inammissibilità dei ricorsi.

Ricorso trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23 co. 8 D.L. n. 137/20.

RITENUTO IN FATTO

1. Gli imputati hanno proposto distinti ricorsi per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Milano che, nel condannarli per il reato di invasione arbitraria di immobili, aveva tuttavia escluso nei confronti di alcuni di loro, la circostanza aggravante cui all’articolo 633 comma 2 c.p.p., procedendo nei confronti di costoro alla rideterminazione della pena.

2. Tutti i ricorsi sono basati sugli identici due motivi.

Con il primo motivo si lamenta la erronea applicazione della legge penale e la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo della fattispecie di reato contestato.

Con il secondo motivo si lamenta il vizio di motivazione in merito alla concessione della provvisionale immediatamente esecutiva.

3. Con memoria inviata per PEC il sostituto Procuratore Generale Paola Mastroberardino ha chiesto l’inammissibilità dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. l ricorsi, che riproducono analoghe deduzioni e che pertanto possono essere trattati unitariamente per ragioni di semplificazione e speditezza, sono inammissibili per manifesta infondatezza dei due motivi sui quali si fondano.

2. Va detto in premessa che si è in presenza di c.d. “doppia conforme” in punto di affermazione della penale responsabilità di tutti gli imputati per i fatti di reato come contestati (la riforma ha semplicemente escluso l’aggravante inizialmente contestata), con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stati rispettati i parametri del richiamo della pronuncia di appello a quella di primo grado e dell’adozione – da parte di entrambe le sentenze – dei medesimi criteri nella valutazione delle prove (cfr., Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, omissis, Rv. 257595; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218).

3. Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso. Lungi dal delineare un effettivo vizio di legittimità (come indicato nella rubrica), le doglianze articolate finiscono per contestare il giudizio di responsabilità, ovvero il risultato probatorio cui sono approdati i giudici di merito che, con valutazione conforme delle medesime emergenze istruttorie, sono stati concordi nel ritenere tali elementi pienamente e integralmente riscontrati all’esito della ricostruzione della concreta vicenda processuale. Ed in effetti, è utile ribadire che, ai fini della corretta deduzione del vizio di violazione di legge di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., il motivo di ricorso deve strutturarsi sulla contestazione della riconducibilità del fatto – come ricostruito dai giudici di merito – nella fattispecie astratta delineata dal legislatore; altra cosa, invece, è, come accade sovente ed anche nel caso di specie, sostenere che le emergenze istruttorie acquisite siano idonee o meno a consentire la ricostruzione della condotta di cui si discute in termini tali da ricondurla al paradigma legale. Nel primo caso, infatti, viene effettivamente in rilievo un profilo di violazione di legge laddove si deduce l’erroneità dell’opera di “sussunzione” del fatto (non suscettibile di essere rimessa in discussione in sede di legittimità) rispetto alla fattispecie astratta; nel secondo caso, invece, la censura si risolve nella contestazione della possibilità di enucleare, dalle prove acquisite, una condotta corrispondente alla fattispecie tipica che è, invece, operazione prettamente riservata al giudice di merito. Con le censure svolte, i ricorrenti contestano, sotto vari profili, l’approdo decisionale cui sono pervenuti i giudici di merito nell’affermare la penale responsabilità dello stesso, sottoponendo alla Corte di legittimità una serie di argomentazioni che si risolvono nella formulazione di una diversa ed alternativa ricostruzione dei fatti posti a fondamento della decisione ovvero nella proposizione di diverse e rinnovate chiavi di lettura del compendio probatorio. Tale tecnica non consentita ‘ conduce il motivo all’inammissibilità, tanto in relazione alla sussistenza dell’elemento oggettivo (essendo  stata ritenuta smentita l’allegazione del tutto generica della possibile sussistenza di un titolo legittimante l’occupazione -cfr. riferimento a testimonianza G.) che in relazione alla componente volitiva della condotta (l’occupazione pluriennale senza corrispettivo e con allacciamenti abusivi alle varie utenze escludono il dubbio sulla sussistenza di un titolo) che, infine, con riferimento alla sussistenza della causa di giustificazione costituita dallo stato di necessità (l’occupazione essendo troppo estesa temporalmente da poter essere compatibile con il ristretto ambito entro il quale la giurisprudenza di legittimità consente di configurare la clausola di favore).

4. Nemmeno il secondo motivo è consentito, in quanto formulato esclusivamente con il ricorso per cassazione nei confronti di un punto specifico della statuizione contenuta nella decisione di primo grado e conseguente violazione della catena devolutiva, non più recuperabile. Trova infatti applicazione la regola ricavabile dal combinato disposto degli artt. 606, comma terzo, e 609, comma secondo, cod. proc. pen. – secondo cui non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di questioni che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello. Essa trova la “ratio” nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame (Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012, omissis, Rv. 256631).

5. All’inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

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