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Le nuove ricerche previste dall’art. 159, co. 1, c.p.p: quando si devono fare?

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Cass. pen., sez. I, 14/12/2023 (ud. 14/12/2023, dep. 24/01/2024), n. 3075 (Pres. Siani, Rel. Russo)

Indice

La questione giuridica

Fermo restando che, come è noto, l’art. 159, co. 1, primo periodo, cod. proc. pen. dispone che, nei “casi di cui all’articolo 148, comma 4[1], se non è possibile eseguire la notificazione nei modi previsti dall’articolo 157[2], l’autorità giudiziaria dispone nuove ricerche dell’imputato, particolarmente nel luogo di nascita, dell’ultima residenza anagrafica, dell’ultima dimora, in quello dove egli abitualmente esercita la sua attività lavorativa e presso l’amministrazione carceraria centrale”, la questione giuridica, tra quelle affrontate dalla Cassazione nella pronuncia in esame, attiene a quando si deve procedere a siffatte nuove ricerche.

Difatti, nel procedimento, in occasione del quale è stata emessa la sentenza in oggetto, a fronte del fatto che il Tribunale di Pesaro, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva respinto un’istanza di un condannato di sospensione dell’esecuzione dell’ordine di esecuzione per mancata notifica dello stesso al condannato, avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione la difesa che, tra i motivi ivi addotti, deduceva violazione di legge e vizio di motivazione perché il giudice dell’esecuzione aveva omesso di considerare che tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Albania era (ed è) possibile l’assistenza giudiziaria; in particolare, l’articolo 3 della legge 14 giugno 2011, n. 97, estende al rapporto tra i due Stati l’applicabilità della disciplina della Convenzione europea di assistenza giudiziaria, che prevede che, nell’ipotesi in cui non sia noto l’indirizzo del soggetto straniero destinatario di un atto giudiziario, lo stesso debba essere cercato attraverso rogatoria giudiziaria; prima di dichiarare l’irreperibilità del condannato e ritenere notificato l’ordine di esecuzione, pertanto l’autorità giudiziaria avrebbe dovuto cercarlo in Albania e soltanto all’esito delle vane ricerche dello stesso in Albania avrebbe potuto ritenere notificato l’ordine di esecuzione mediante consegna al difensore.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Suprema Corte, nel ritenere il motivo suesposto infondato, richiamava quell’orientamento nomofilattico secondo il quale l’obbligo di effettuare nuove ricerche ai sensi dell’art. 159 cod. proc. pen., comma 1, ai fini della emissione del decreto di irreperibilità, è condizionato all’oggettiva praticabilità degli accertamenti, che è il limite logico di ogni garanzia processuale (Sez. 2, n. 9815 del 05/12/2001; sez. 2, n. 45896 del 17/11/2011), e che più in particolare, ai fini del decreto di irreperibilità, non sussiste l’obbligo di disporre apposite ricerche all’estero dell’imputato ivi residente, del quale si ignori l’esatto recapito (Sez. 2, Sentenza n. 39329 del 31/05/2016; Sez. 6, n. 29147 del 03/06/2015; Sez.1, n. 27552 del 23/06/2010).

Orbene, per la Corte di legittimità, proprio questa era la situazione in cui si trovava l’autorità giudiziaria nel caso in esame che, pertanto, non era tenuta ad estendere le ricerche in Albania, prima di dichiarare l’irreperibilità del condannato.

I risvolti applicativi

L’obbligo di effettuare nuove ricerche ai sensi dell’art. 159 cod. proc. pen., comma 1, ai fini della emissione del decreto di irreperibilità, è condizionato all’oggettiva praticabilità degli accertamenti, che è il limite logico di ogni garanzia processuale.

Solo dunque in presenza di tale “praticabilità”, si devono svolgere siffatte ricerche.

[1] Ai sensi del quale: “In tutti i casi in cui, per espressa previsione di legge, per l’assenza o l’inidoneità di un domicilio digitale del destinatario o per la sussistenza di impedimenti tecnici, non è possibile procedere con le modalità indicate al comma 1, e non è stata effettuata la notificazione con le forme previste nei commi 2 e 3, la notificazione disposta dall’autorità giudiziaria è eseguita dagli organi e con le forme stabilite nei commi seguenti e negli ulteriori articoli del presente titolo”.

[2] Secondo cui: “1. Nei casi di cui all’articolo 148, comma 4, la prima notificazione all’imputato non detenuto, che non abbia già ricevuto gli avvertimenti di cui all’articolo 161, comma 01, è eseguita mediante consegna di copia dell’atto in forma di documento analogico alla persona. Se non è possibile consegnare personalmente la copia, la notificazione è eseguita nella casa di abitazione o nel luogo in cui l’imputato esercita abitualmente l’attività lavorativa. Nella casa di abitazione la consegna è eseguita a una persona che conviva anche temporaneamente ovvero addetta alla casa ovvero al servizio del destinatario o, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci. In caso di notifica nel luogo in cui l’imputato esercita abitualmente l’attività lavorativa, se non è possibile consegnare personalmente la copia, la consegna è eseguita al datore di lavoro, a persona addetta al servizio del destinatario, ad una persona addetta alla ricezione degli atti o, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci. 2. Qualora i luoghi indicati nel comma 1 non siano conosciuti, la notificazione è eseguita nel luogo dove l’imputato ha temporanea dimora o recapito, mediante consegna a una delle predette persone. 3. Il portiere o chi ne fa le veci sottoscrive l’originale dell’atto notificato e l’ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Gli effetti della notificazione decorrono dal ricevimento della raccomandata. 4. La copia non può essere consegnata a persona minore degli anni quattordici o in stato di manifesta incapacità di intendere o di volere. 5. L’autorità giudiziaria dispone la rinnovazione della notificazione quando la copia è stata consegnata alla persona offesa dal reato e risulta o appare probabile che l’imputato non abbia avuto effettiva conoscenza dell’atto notificato. 6. La consegna a persona diversa dal destinatario è effettuata in plico chiuso e la relazione di notificazione è effettuata nei modi previsti dall’articolo 148, comma 8. 7. Se le persone indicate nel comma 1 mancano o non sono idonee o si rifiutano di ricevere la copia, si procede nuovamente alla ricerca dell’imputato, tornando nei luoghi indicati nei commi 1 e 2. 8. Se neppure in tal modo è possibile eseguire la notificazione, l’atto è depositato nella casa del comune dove l’imputato ha l’abitazione, o, in mancanza di questa, del comune dove egli esercita abitualmente la sua attività lavorativa. Avviso del deposito stesso è affisso alla porta della casa di abitazione dell’imputato ovvero alla porta del luogo dove egli abitualmente esercita la sua attività lavorativa. L’ufficiale giudiziario, inoltre, invia copia dell’atto, provvedendo alla relativa annotazione sull’originale e sulla copia, tramite lettera raccomandata con avviso di ricevimento nel luogo di residenza anagrafica o di dimora dell’imputato. Gli effetti della notificazione decorrono dal ricevimento della raccomandata. 8-ter. Con la notifica del primo atto, anche quando effettuata con le modalità di cui all’articolo 148, comma 1, l’autorità giudiziaria avverte l’imputato, che non abbia già ricevuto gli avvertimenti di cui all’articolo 161, comma 01, che le successive notificazioni, diverse dalla notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, della citazione in giudizio ai sensi degli articoli 450, comma 2, 456, 552 e 601, nonché del decreto penale di condanna, saranno effettuate mediante consegna al difensore di fiducia o a quello nominato d’ufficio. Avverte, inoltre, il destinatario dell’atto dell’onere di indicare al difensore ogni recapito telefonico o indirizzo di posta elettronica nella sua disponibilità, ove il difensore possa effettuare le comunicazioni, nonché di informarlo di ogni loro successivo mutamento. 8-quater. L’omessa o ritardata comunicazione da parte del difensore dell’atto notificato all’assistito, ove imputabile al fatto di quest’ultimo, non costituisce inadempimento degli obblighi derivanti dal mandato professionale”.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 1 Num. 3075 Anno 2024

Presidente: SIANI VINCENZO

Relatore: RUSSO CARMINE

Data Udienza: 14/12/2023

Data Deposito: 24/01/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M. L., nato in … il …

avverso l’ordinanza del 06/07/2023 del GIP TRIBUNALE PESARO

udita la relazione svolta dal Consigliere CARMINE RUSSO;

lette le conclusioni del PG, Maria Francesca Loy, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 6 luglio 2023 il Tribunale di Pesaro, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza di L. M. di sospensione dell’esecuzione dell’ordine di esecuzione per mancata notifica dello stesso al condannato.

In particolare, il giudice dell’esecuzione ha rilevato che l’ordine di esecuzione con sospensione dell’esecuzione di cui all’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. era stato ritualmente notificato con il rito degli irreperibili, in quanto il condannato non era stato rintracciato sul territorio nazionale. La circostanza che fosse noto all’autorità giudiziaria che lo stesso il 13 settembre 2012 era stato espulso dal territorio nazionale non comportava l’obbligo di cercarlo nello Stato di origine in quanto non era noto l’indirizzo all’estero del condannato.

2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi.

Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione perché il giudice dell’esecuzione ha omesso di considerare che tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Albania è possibile l’assistenza giudiziaria; in particolare, l’articolo 3 della legge 14 giugno 2011, n. 97, estende al rapporto tra i due Stati l’applicabilità della disciplina della Convenzione europea di assistenza giudiziaria, che prevede che, nell’ipotesi in cui non sia noto l’indirizzo del soggetto straniero destinatario di un atto giudiziario, lo stesso debba essere cercato attraverso rogatoria giudiziaria; prima di dichiarare l’irreperibilità del condannato e ritenere notificato l’ordine di esecuzione, pertanto l’autorità giudiziaria avrebbe dovuto cercarlo in Albania e soltanto all’esito delle vane ricerche dello stesso in Albania avrebbe potuto ritenere notificato l’ordine di esecuzione mediante consegna al difensore.

Con il secondo motivo deduce violazione di norma processuale, perché il giudice dell’esecuzione ha ritenuto validamente notificato l’ordine di esecuzione al difensore che aveva assistito il condannato nel giudizio di merito, e presso cui questi aveva eletto domicilio, ma, posto che nomina del difensore ed elezione di domicilio della fase del merito non si estendono al giudizio di esecuzione, la procedura dell’irreperibilità avrebbe dovuto passare per una nuova notifica al difensore una volta dichiarata l’irreperibilità.

3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, Maria Francesca Loy, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.

1. Il primo motivo deduce che, prima di dichiarare la irreperibilità del condannato, l’autorità giudiziaria avrebbe dovuto effettuare ricerche in Albania, anche a mezzo di rogatoria internazionale.

Il ricorso sostiene, in particolare, che la Convenzione bilaterale di assistenza giudiziaria esistente tra l’Italia e l’Albania, ratificata con l. 97 del 2011, permette la notifica degli atti giudiziari all’estero tramite rogatoria internazionale, e che lo strumento della rogatoria per la notifica dell’indagato residente all’estero di cui si ignori l’esatto recapito è previsto dall’art. 169, comma 4. cod. proc. pen.

Il motivo è infondato, perché la giurisprudenza di questa Corte ha affermato più volte che l’obbligo di effettuare nuove ricerche ai sensi dell’art. 159 cod. proc. pen., comma 1, ai fini della emissione del decreto di irreperibilità, è condizionato all’oggettiva praticabilità degli accertamenti, che è il limite logico di ogni garanzia processuale (Sez. 2, n. 9815 del 05/12/2001, omissis, Rv. 221521; sez. 2, n. 45896 del 17/11/2011, omissis, Rv.251359), e che più in particolare, ai fini del decreto di irreperibilità, non sussiste l’obbligo di disporre apposite ricerche all’estero dell’imputato ivi residente, del quale si ignori l’esatto recapito (Sez. 2, Sentenza n. 39329 del 31/05/2016, omissis, Rv. 268304; Sez. 6, n. 29147 del 03/06/2015 omissis, Rv.264104; Sez.1, n. 27552 del 23/06/2010, omissis), che è la situazione in cui si trovava l’autorità giudiziaria nel caso in esame.

Ne consegue che la stessa non era tenuta ad estendere le ricerche in Albania prima di dichiarare l’irreperibilità del condannato, e che conseguentemente l’ordinanza resiste alla censura che le è stata rivolta. Il motivo è, pertanto, infondato.

2. E’ infondato anche il secondo motivo, che deduce che, per perfezionare la procedura ex art. 656 cod. proc. pen., sarebbe stata necessaria una nuova notifica al difensore per conto del condannato, una volta dichiarata l’irreperibilità dello stesso.

Il motivo è infondato, perché, dalla lettura degli atti, cui la Corte può accedere attesa la natura del vizio dedotto (Sez. U, Sentenza n. 42792 del 31/10/2001, omissis, Rv. 220093), emerge che tale notifica al difensore per conto del condannato vi è stata.

Infatti, l’esame del fascicolo trasmesso dal giudice dell’esecuzione consente di accertare che:

il 27 gennaio 2015 il pubblico ministero ha emesso ordine di esecuzione con sospensione dell’esecuzione;

il 28 gennaio 2015 l’ufficio del pubblico ministero ha notificato il decreto al difensore del condannato in proprio;

il 16 febbraio 2015 è stato redatto verbale di vane ricerche di M.;

il 21 aprile 2016 il pubblico ministero ha emesso decreto di irreperibilità;

il 22 aprile 2016 alle ore 9.48 l’ufficio del pubblico ministero ha notificato il decreto di irreperibilità e l’ordine di esecuzione con sospensione dell’esecuzione al difensore per conto del condannato mediante sistema SNT.

Che siano stati notificati sia il decreto di irreperibilità che l’ordine di esecuzione con sospensione dell’esecuzione risulta dalla lettera di trasmissione del 21 aprile 2016.

Ne consegue che la procedura di notifica si è regolarmente perfezionata, perché dopo l’emissione del decreto di irreperibilità l’autorità giudiziaria ha provveduto ad effettuare una nuova notifica al difensore per conto del condannato.

Nel ricorso si sostiene anche che il destinatario di questa notifica non avrebbe dovuto essere il difensore nominato per la fase di cognizione, perchè la nomina di questi non si estende alla fase dell’esecuzione, ma l’argomento non è corretto, perché in contrasto con la lettera della norma dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., secondo cui “l’ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al difensore nominato per la fase dell’esecuzione o, in difetto, al difensore che lo ha assistito nella fase di giudizio”.

La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, ricostruito il sistema nel senso che “la nomina del difensore di fiducia effettuata per il giudizio di cognizione non è efficace per la fase esecutiva, salvo che per la specifica ipotesi della sospensione dell’esecuzione con termine, per la presentazione di istanza finalizzata alla concessione di misure alternative alla detenzione, prevista dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. (Sez. 1, Sentenza n. 22945 del 04/05/2017, omissis, Rv. 270971).

In definitiva, il ricorso è infondato.

3. Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 14 dicembre 2023

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