Cass. pen., sez. I, 30/04/2024 (ud. 30/04/2024, dep. 03/09/2024), n. 33423 (Pres. Di Nicola, Rel. Fiordalisi)
Indice
- La questione giuridica
- Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica
- I risvolti applicativi
- Sentenza commentata
La questione giuridica
Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione determina la genericità del ricorso per Cassazione.
Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.
Il Tribunale di sorveglianza di Roma parzialmente rigettava un reclamo avverso un provvedimento con il quale, a sua volta, il Magistrato di sorveglianza di Roma aveva rigettato il reclamo ex art. 35-ter legge 26 luglio 1975, n. 354 volto a ottenere il risarcimento del danno subito dall’aver eseguito una pena detentiva in violazione dell’art. 3 CEDU.
Ciò posto, avverso questa decisione la difesa proponeva ricorso per Cassazione, deducendo inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altra norma giuridica, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 35-ter Ord. pen. e 3 CEDU, e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata.
Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica
Gli Ermellini ritenevano il ricorso suesposto infondato.
In particolare, tra le argomentazioni che avevano indotto i giudici di piazza Cavour ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo cui rientra nella ipotesi della genericità del ricorso, non solo la aspecificità dei motivi stessi, ma anche la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione (Sez. 1, n. 4521 del 20/01/2005), che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità del ricorso (Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004).
I risvolti applicativi
Il ricorso per Cassazione è generico non solo se i motivi sono aspecifici, ma anche se manca la correlazione tra le ragioni della decisione impugnata e quelle dell’atto di impugnazione.
Sentenza commentata
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33423 Anno 2024
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: FIORDALISI DOMENICO
Data Udienza: 30/04/2024
Data Deposito: 03/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C. M. nato a … il …
avverso l’ordinanza del 26/10/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere DOMENICO FIORDALISI;
lette/sentite le conclusioni del PG
Il Procuratore generale, Vincenzo Senatore, chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. C. M. ricorre avverso l’ordinanza del 26 ottobre 2023 del Tribunale di sorveglianza di Roma che, per quello che qui interessa, ha parzialmente rigettato il reclamo avverso il provvedimento dell’8 marzo 2023, con il quale il Magistrato di sorveglianza di Roma aveva rigettato il reclamo ex art. 35-
ter legge 26 luglio 1975, n. 354 volto a ottenere il risarcimento del danno subito dall’aver eseguito una pena detentiva in violazione dell’art. 3 CEDU per il periodo da maggio 2021 a luglio 2023 presso la Casa circondariale di Roma – Rebibbia.
Il Tribunale di sorveglianza ha evidenziato che, dalla lettura degli atti, era emerso che la camera detentiva rimaneva aperta dalle 8:00 alle 20:00 e che, quindi, la situazione inerente il bagno interno, seppur non separato dal resto degli spazi, non aveva causato un grave stato di prostrazione psichica o intensa sofferenza, anche considerando la presenza di un separé, che ne garantiva la riservatezza.
Il Tribunale di sorveglianza, invece, ha accolto il reclamo inerente il periodo detentivo dal 21 agosto 2020 al 15 maggio 2021 (pari a 264 giorni) eseguito presso la Casa circondariale di Roma – Rebibbia Nuovo Complesso, evidenziando che la camera in cui era utilizzato il bagno era chiusa in conseguenza del regime di isolamento, circostanza che aveva compromesso significativamente il ricambio d’aria e la salubrità, in violazione dell’art. 3 CEDU.
2. Il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altra norma giuridica, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 35-ter Ord. pen. e 3 CEDU, e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, perché il Tribunale di sorveglianza avrebbe rigettato il reclamo, nonostante fosse emerso che la camera presentava un bagno
a vista, circostanza che aveva determinato una situazione detentiva inumana e degradante, in violazione dell’art. 3 CEDU, anche considerando che, nella medesima cella, il detenuto cucinava, mangiava e dormiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Il ricorrente, infatti, non si confronta con il provvedimento impugnato, nella parte in cui il Tribunale di sorveglianza ha evidenziato che la riservatezza garantita dal separé e la sufficiente salubrità dell’ambiente per l’areazione consentito dalla protratta apertura della camera e l’uso esclusivo del detenuto non ravvisava non un livello di gravità e intollerabilità idonea a qualificare la carcerazione come inumana e degradante, tanto da poterla ritenere contraria a quanto stabilito dall’art. 3 CEDU.
Tra i requisiti del ricorso per cassazione vi è anche quello, sancito a pena di inammissibilità, della specificità dei motivi: il ricorrente ha non soltanto l’onere di dedurre le censure su uno o più punti determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare gli elementi che sono alla base delle sue lagnanze. In tal senso, rientra nella ipotesi della genericità del ricorso, non solo la aspecificità dei motivi stessi, ma anche la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione (Sez. 1, n. 4521 del 20/01/2005, omissis, Rv. 230751), che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità del ricorso (Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, omissis, Rv. 230634).
2. In forza di quanto sopra, il ricorso deve essere rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 30/04/2024.