In tema di procedimento per decreto, è abnorme il provvedimento con cui il giudice rigetta la richiesta di decreto penale senza pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.?

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Cass. pen., sez. I, 12/11/2024 (ud. 12/11/2024, dep. 23/12/2024), n. 47372 (Pres. Rocchi, Rel. Galati)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se, in tema di procedimento per decreto, è abnorme il provvedimento con cui il giudice rigetta la richiesta di decreto penale senza pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen..

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Chieti rigettava una richiesta di emissione di decreto penale di condanna, disponendo al contempo la restituzione degli atti al pubblico ministero.

Ciò posto, avverso questa decisione ricorreva per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Chieti.

In particolare, secondo il ricorrente, il Giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di emissione di decreto penale, avrebbe dovuto emettere, nel caso di rigetto della stessa, sentenza di proscioglimento ai sensi degli artt. 459, comma 3, e 129 cod. proc. pen..

Inoltre, sempre ad avviso della pubblica accusa, la decisione sarebbe stata errata laddove aveva ritenuto non configurabile il reato, potendosi disporre, nel caso di specie, l’accompagnamento coattivo dell’indagato per rendere interrogatorio ai sensi dell’art. 132 cod. proc. pen., e ciò in quanto l’invito a rendere l’interrogatorio, nel caso di specie, non era stato emesso dal pubblico ministero (circostanza che, sola, avrebbe consentito di disporre l’accompagnamento coattivo), bensì dalla polizia giudiziaria.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Gli Ermellini ritenevano il ricorso suesposto infondato.

Nel dettaglio, tra le argomentazioni che inducevano i giudici di piazza Cavour ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo cui, «in tema di procedimento per decreto, non è abnorme, e quindi non è ricorribile per Cassazione, il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari rigetti la richiesta di emissione del decreto penale di condanna per insussistenza di elementi idonei a fondare la responsabilità dell’imputato, senza pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.[1], atteso che un tale provvedimento si inserisce nel novero dei poteri cognitivi conferiti al suddetto giudice dall’art. 459, comma 3, cod. proc. pen.[2], che, al di fuori di qualsiasi automatismo, gli riconosce la possibilità di un ampio sindacato sul merito della richiesta» (Sez. 2, n. 28288 del 16/06/2021).

I risvolti applicativi

In tema di procedimento per decreto, non è abnorme, né ricorribile per Cassazione, il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari rigetta la richiesta di decreto penale di condanna per insussistenza di elementi di responsabilità, senza pronunciare sentenza di proscioglimento, poiché ciò rientra nei poteri di valutazione del giudice previsti dall’art. 459, comma 3, cod. proc. pen..

[1]Ai sensi del quale: “1. In ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara di ufficio con sentenza. 2. Quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta”.

[2]Secondo cui: “Il giudice, quando non accoglie la richiesta, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129, restituisce gli atti al pubblico ministero. 4. Del decreto penale è data comunicazione al querelante”.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 1 Num. 47372 Anno 2024

Presidente: ROCCHI GIACOMO

Relatore: GALATI VINCENZO

Data Udienza: 12/11/2024

Data Deposito: 23/12/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE \DI CHIETI

nei confronti di:

D. C. D. nato a … il …

avverso l’ordinanza del 01/08/2024 del GIP TRIBUNALE di CHIETI

udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO GALATI;

lette le conclusioni del PG in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi Giordano che ha chiesto il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Chieti ha rigettato la richiesta di emissione di decreto penale di condanna nei confronti di D. D. C. e disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero.

In particolare, il giudice adito ha ritenuto non configurabile la contravvenzione di cui all’art. 650 cod. pen. in quanto contestata a soggetto invitato a presentarsi presso la polizia giudiziaria in qualità di persona sottoposta alle indagini escludendo, pertanto, il rilievo penale della fattispecie e la tipicità della condotta di reato.

2. Avverso il provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Chieti evidenziando, in primo luogo, come il Giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di emissione di decreto penale, avrebbe dovuto emettere, nel caso di rigetto della stessa, sentenza di proscioglimento ai sensi degli artt. 459, comma 3, e 129 cod. proc. pen.

In secondo luogo, la decisione sarebbe errata laddove ha ritenuto non configurabile il reato, potendosi disporre, nel caso di specie, l’accompagnamento coattivo dell’indagato per rendere interrogatorio ai sensi dell’art. 132 cod. proc. pen.

Ciò in quanto l’invito a rendere l’interrogatorio, nel caso di specie, non è stato emesso dal pubblico ministero (circostanza che, sola, avrebbe consentito di disporre l’accompagnamento coattivo), bensì dalla polizia giudiziaria.

3. Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. La richiesta di emissione del decreto penale di condanna nei confronti di D. C., nel caso di specie, è stata formulata in relazione alla contestazione della contravvenzione di cui all’art. 650 cod. pen. consistita nella mancata ottemperanza all’invito di presentarsi presso la Sezione di Polizia Stradale di

Chieti per essere sentito come persona sottoposta alle indagini.

Il Giudice per le indagini preliminari investito della richiesta l’ha rigettata rilevando che la disposizione incriminatrice, in base al principio di sussidiarietà ad essa connaturata, non è applicabile alla fattispecie in ragione degli scopi dell’invito a presentarsi alla polizia giudiziaria, ossia assolvere ad un adempimento (interrogatorio in qualità di persona sottoposta alle indagini) non doveroso, ma facoltativo.

Inoltre, risulta la previsione di una specifica disciplina (art. 132 cod. proc.pen.) tesa a rendere possibile l’esecuzione coattiva della presentazione, ove strettamente necessaria per finalità istruttorie.

3. Tale essendo la motivazione adottata dal Giudice per le indagini preliminari per addivenire al rigetto della richiesta di emissione del decreto penale di condanna, non è dato ravvisare alcun profilo di abnormità segnalato dal ricorrente.

Va, infatti, ribadito, il principio generale affermato dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui «in tema di procedimento per decreto, non è abnorme, e quindi non è ricorribile per cassazione, il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari rigetti la richiesta di emissione del decreto penale di condanna per insussistenza di elementi idonei a fondare la responsabilità dell’imputato, senza pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., atteso che un tale provvedimento si inserisce nel novero dei poteri cognitivi conferiti al suddetto giudice dall’art. 459, comma 3, cod. proc. pen., che, al di fuori di qualsiasi automatismo, gli riconosce la possibilità di un ampio sindacato sul merito della richiesta» (Sez. 2, n. 28288 del 16/06/2021, omissis, Rv. 281797).

Si tratta di arresto che si pone in termini di stretta coerenza con quanto deciso da Sez. U, n. 20569 del 18/01/2018, omissis, Rv. 272715 in punto di delimitazione dei rapporti tra pubblico ministero e Giudice per le indagini preliminari nel caso di richiesta di emissione di decreto penale di condanna, per come delineati dall’art. 459, comma 3, cod. proc. pen.

La norma stabilisce che, nel caso di mancato accoglimento della richiesta, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129, il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero.

Nel delineare i limiti in cui il provvedimento di restituzione può essere definito abnorme in quanto assunto in luogo della pronuncia di sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., le Sezioni Unite hanno evidenziato come «la previsione testuale del comma 3 dell’art. 459 cod. proc.

pen. consente di escludere che la presentazione della richiesta operi con effetti vincolanti per il giudice cui sia rivolta, perché ammette espressamente plurimi esiti decisori alternativi, rimessi alla sua valutazione discrezionale, in termini di accoglimento dell’istanza con emissione del decreto, di rigetto per la contestuale pronuncia di sentenza di proscioglimento dell’imputato ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. e, al di fuori di quest’ultima ipotesi, di sostanziale rigetto tramite restituzione degli atti al pubblico ministero. Con specifico riferimento a quest’ultima ipotesi non è dato rinvenire nella formulazione testuale della disposizione nessuna indicazione sull’ambito in cui deve svolgersi il sindacato del giudice».

A tale proposito, è stato richiamato l’orientamento teso a non limitare l’ambito della verifica ai soli aspetti attinenti alla legalità della sanzione in concreto irrogabile rispetto agli estremi edittali ed alla diminuzione prevista in relazione alla natura speciale del rito e ad estenderla anche agli altri presupposti condizionanti l’ammissibilità dell’introduzione del rito stesso, quali la tipologia di reato ed il momento di formulazione della richiesta nonché alla qualificazione giuridica del fatto di reato ed alla congruità della pena (Sez. 1, n. 1426 del 24/03/1994, omissis, Rv. 198289).

Le Sezioni Unite hanno evidenziato come la qualificazione in termini di abnormità del provvedimento del Giudice per le indagini preliminari sia stata riservata ai provvedimenti di restituzione degli atti motivati «da ragioni di mera opportunità, che si traduca in una manifestazione di dissenso rispetto alla scelta, di esclusiva pertinenza dell’organo dell’accusa, di introdurre il procedimento monitorio ed in un’arbitraria usurpazione da parte del giudice di facoltà, riservate dall’ordinamento alla parte pubblica, in conseguenza della difforme considerazione sull’utilità del rito e sui suoi futuri sviluppi».

Così, è stato fatto riferimento ai casi di rigetto del decreto per ritenuta inopportunità del procedimento monitorio (Sez. 1, n. 1426 del 24/03/1994, omissis i, Rv. 198289), a causa della prevedibile opposizione da parte dell’imputato (Sez. 6, n. 38370 del 12/06/2014, omissis, Rv. 260177), del mancato accesso da parte dell’imputato alla possibilità di definire in via amministrativa l’illecito contestato (Sez. 3, n. 8288 del 25/11/2009, dep. 2010, omissis, Rv. 246333), dell’applicabilità della continuazione con altri reati, contestati allo stesso imputato in separato procedimento, per il quale era stata formulata richiesta di emissione di altro decreto penale di condanna a carico del medesimo imputato (Sez. 3, n. 44296 del 03/10/2013, omissis, Rv. 257373), della proposizione della richiesta nei confronti di un solo imputato previa separazione della sua posizione personale da quella degli altri indagati (Sez. 3, n. 16826 del 20/03/2007, omissis, Rv. 236810), della formulata prognosi negativa circa l’adempimento da parte dell’imputato dell’obbligo di pagamento della pena pecuniaria (Sez. 6, n. 17702 del 01/04/2016, C.M., Rv. 266741).

Si tratta di ipotesi in cui l’apprezzamento discrezionale del giudice sulla richiesta di decreto penale, «pur riconosciutogli dall’art. 459, comma 3, cod. proc. pen., non può estendersi sino ad interferire con le attribuzioni istituzionali della pubblica accusa circa le modalità di esercizio dell’azione penale e di

strutturazione dell’imputazione ed a negare il provvedimento richiesto in forza di un personale criterio di opportunità, stimato preferibile rispetto alle valutazioni del pubblico ministero».

Contrariamente, la qualificazione di abnormità è stata esclusa in casi in cui il giudice adito ha compiuto una valutazione difforme in ordine alla qualificazione giuridica del reato (Sez. 5, n. 2982 del 15/12/2011, dep. 2012, omissis, Rv. 251940; Sez. 1, n. 47515 del 29/10/2003, omissis, Rv. 226468; Sez. 2, n. 4339 del 06/11/1996, omissis, Rv. 206287; Sez. 3, n. 13998 del 28/02/2002, Fai, Rv. 221783), ritenuto insufficienti le acquisizioni probatorie, da approfondire ulteriormente anche per l’eventuale riscontro dell’estinzione del reato per prescrizione (Sez. 6, n. 36216 del 27/06/2013, omissis, Rv. 256331); valutato la necessità di disporre la confisca di beni, non adottabile col decreto

penale di condanna (Sez. 3, n. 4545 del 04/12/2007, dep. 2008, omissis, Rv. 238853); giudicato insussistenti i presupposti per la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria (Sez. 6, n. 6663 del 01/12/2015, dep. 2016, R., Rv. 266111), o sul giudizio di incongruità della pena da irrogare rispetto alla gravità della violazione accertata (Sez. 4, n. 45683 del 18/09/2014, omissis, Rv. 261063); ritenuto inidonea l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio da parte di cittadino extracomunitario privo di fissa dimora (Sez. 1, n. 13592 del 26/02/2009, omissis, Rv. 243557; Sez. 1, n. 6614 del 17/01/2008, omissis, Rv. 239360; Sez. 5, n. 8463 del 24/01/2005, omissis, Rv. 230884).

3. Alla luce dei parametri fissati dalle Sezioni Unite, Sez. 2, F., sopra citata è coerentemente pervenuta all’affermazione, qui ribadita, secondo cui il provvedimento con il quale viene disposta la restituzione degli atti al pubblico ministero, non è viziato da abnormità nel caso di ritenuta «insussistenza di elementi idonei a fondare la responsabilità dell’imputato».

Si tratta dell’ipotesi che ricorre nel caso di specie nel quale, come segnalato, è stata ritenuta non ricorrente l’obbligatorietà dell’adempimento omesso e suscettibile lo stesso, comunque, di esecuzione coattiva.

4. Da quanto esposto … ricorso.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso il 12/11/2024.

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