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Il requisito dell’attualità del pericolo nell’art. 274 c. 1 lett. c) del codice di procedura penale: quando ricorre?

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Cass. pen., sez. V, 20/02/2024 (ud. 20/02/2024, dep. 04/04/2024), n. 13810 (Pres. Sabeone, Rel. Sessa)

[Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 274, co. 1, lett. c)]

Indice

La questione giuridica

La questione giuridica, affrontata dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava come il giudice deve verificare il requisito dell’attualità del pericolo previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen..

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

Il Tribunale del Riesame di Roma – in accoglimento di un appello del pubblico ministero avverso un’ordinanza emessa dal Gip del Tribunale della medesima città, con la quale era stata rigettata la richiesta di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, nei confronti di una persona indagata per diversi fatti di bancarotta fraudolenta propria ed impropria – applicava la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti del predetto, disponendo la sospensione dell’esecuzione dell’ordinanza fino a decisione definitiva.

Ciò posto, avverso questa ordinanza ricorreva per Cassazione l’accusato, tramite il proprio difensore di fiducia, affidando le censure ad un unico motivo di ricorso, con il quale si deduceva violazione di legge in relazione all’art. 274, comma 1 lett. c) cod. proc. pen. e vizio di motivazione in ordine all’attualità del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva il ricorso suesposto infondato.

In particolare, gli Ermellini addivenivano a siffatto decisorio, reputando come il giudice di merito avesse correttamente applicato quell’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, in tema di misure cautelari personali, il requisito dell’attualità del pericolo previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale e che deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma che non deve altresì contemplare la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (cfr., tra le altre, Sez. 2, Sentenza n. 5054 del 24/11/2020; da ultimo, Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022; Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022).

I risvolti applicativi

Il requisito dell’attualità del pericolo, come previsto dall’art. 274 c.1 lett. c) del codice di procedura penale per le misure cautelari personali, non si limita all’imminenza di un ritorno al reato, ma richiede una valutazione prognostica approfondita da parte del giudice.

Orbene, questa valutazione prognostica, per potersi considerare “approfondita”, deve considerare la fattispecie concreta, inclusi i modi in cui il reato è stato commesso, la personalità dell’indagato e il contesto socio-ambientale, non potendosi basare unicamente su specifiche occasioni di recidiva, essendo per contro necessaria un’analisi complessiva delle potenziali condotte reiterative.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 5 Num. 13810 Anno 2024

Presidente: SABEONE GERARDO

Relatore: SESSA RENATA

Data Udienza: 20/02/2024

Data Deposito: 04/04/2024

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C. F. nato a … il …

avverso l’ordinanza del 10/10/2023 del TRIB. LIBERTA’ di ROMA

udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA;

lette/sentite le conclusioni del PG LUIGI GIORDANO

Il Procuratore Generale, si riporta alla requisitoria in atti e conclude per il rigetto del ricorso.

udito il difensore

L’avvocato V. V. si riporta ai motivi del ricorso e ne chiede raccoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 09.11.2023, il Tribunale del Riesame di Roma – in accoglimento dell’appello del pubblico ministero avverso l’ordinanza emessa dal Gip del Tribunale della medesima città, con la quale era stata rigettata la richiesta di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, nei confronti di C. F., indagato per diversi fatti di bancarotta fraudolenta propria ed impropria, e di sequestro preventivo del ramo d’azienda di cui al capo b) – ha applicato la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti del predetto, disponendo la sospensione dell’esecuzione dell’ordinanza fino a decisione definitiva.

2. Avverso detta ordinanza ricorre per cassazione l’indagato, tramite il proprio difensore di fiducia, affidando le censure ad un unico motivo di ricorso, con il quale deduce violazione di legge in relazione all’art. 274, comma 1 lett. c) cod. proc. pen. e vizio di motivazione in ordine all’attualità del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie.

Considerando gli accertamenti compiuti sulle altre società – la Z. I., la E., la E… e la I. … – rispetto alle quali si è affermato che l’indagato avesse un potere di gestione, il Tribunale del Riesame ha fondato il proprio convincimento sul presupposto del debito che le suddette società, secondo le informative della Guardia di finanza, avrebbero accumulato nel tempo verso l’Erario; tuttavia il Tribunale ha trascurato il tempo ed il modo in cui sono effettivamente sorti gli indebitamenti, che di per sé escludono l’attualità del pericolo cautelare, in quanto il mancato versamento di imposte si riferisce a scadenze pregresse e ormai lontane nel tempo.

Non vi è adeguata motivazione in merito alla sussistenza del pericolo di reiterazione del reato, che non può essere fondato solo sul fatto che le predette società continuino ad accumulare debito tributario, in quanto non è possibile addebitare tale circostanza alla precisa, esclusiva e attuale volontà del C..

In particolare, con riferimento alla cooperativa E., il Prefetto di Roma il 30.10.2015 aveva disposto l’ordinaria e straordinaria gestione da parte di due amministratori che nulla hanno a che fare con il C.; con riguardo alla società I. … (oggi S. … s.r.l.) il Tribunale del Riesame non ha preso in considerazione come nell’ultimo periodo fosse diminuito il debito con l’erario della stessa, la quale aveva tenuto un comportamento diligente anche attraverso strumenti di definizione del debito con l’Agenzia delle Entrate; in ordine alla società Z., l’ordinanza si è limitata a considerare il mero importo del debito con l’erario, confermando che l’indebitamento fosse di anni precedenti.

Si sottolinea l’illogicità dell’impianto motivazionale nella parte in cui, riconoscendo implicitamente la mancanza del pericolo attuale di reiterazione del reato, omette di disporre il sequestro preventivo del ramo di azienda, di cui al capo b), ceduto in affitto dalla A. alla …, di cui, seguendo la prospettazione accusatoria, la libera disponibilità in capo al C. potrebbe comportare la commissione

di nuovi e ulteriori reati.

Non si ritiene sufficiente la motivazione del Tribunale che ha fatto riferimento esclusivamente al debito tributario nel tempo accumulato delle predette società, senza indagare sulla eventuale fallibilità delle stesse per effetto di analoghe condotte distrattive, tenendo anche conto degli elementi in atti addotti dalla difesa.

Non è logico prescindere dalla verifica della solidità o meno delle società ovvero dai tentativi di un loro risanamento.

Il Tribunale non ha svolto un’analisi accurata della fattispecie concreta, dando per scontata la possibilità di condotte reiterative sulla base di elementi lontani nel tempo, senza neppure prendere in considerazione il contesto socio-ambientale dell’indagato ad oggi da cui non può prescindersi.

In particolare, in relazione alla rilevanza del decorso del tempo, il provvedimento è privo di quell’approfondimento della struttura argomentativa che proprio in virtù del tempo trascorso doveva essere tanto intensa, quanto è la distanza temporale tra il fatto e il giudizio cautelare.

Il dato cronologico ha affievolito le esigenze cautelari ed il Tribunale del Riesame avrebbe dovuto quantomeno farvi fronte attraverso una motivazione adeguata al fine di indagare le eventuali ragioni per ritenere invece che tale fattore non incidesse sull’elisione o attenuazione delle esigenze cautelari.

Le parti hanno concluso in udienza nei termini riportati in epigrafe.

Il difensore del ricorrente ha, altresì, depositato una memoria scritta con cui replica agli argomenti esposti dal P.G.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile, articolando motivi che in buona sostanza reiterano questioni proposte innanzi al giudice del riesame e dallo stesso risolte con argomenti adeguati, ed attraverso l’ulteriore sviluppo di esse, contenuto anche nella memoria di replica con relativi allegati, mira ad una sostanziale rivisitazione in fatto degli aspetti posti a base della valutazione cautelare.

In proposito, va anzitutto rammentato che a questa Corte non possono essere sottoposti giudizi di merito, non consentiti neppure alla luce delle modifiche al testo dell’art. 606, lettera e), cod. proc. pen.. Con specifico riferimento all’impugnazione dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame, poi, l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato e, quindi, l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo ed insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonché del Tribunale del riesame.

Indi, ove il provvedimento impugnato contenga – come nel caso di specie – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato, e non presenti illogicità evidenti, per la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento medesimo, lo stesso non si espone a censura alcuna (Sez. 6 n. 2146 del 25.05.1995, omissis, Rv. 201840; sez. 2 n. 56 del 7/12/2011, Rv. 251760; Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, Rv, 269438).

Ciò posto deve rilevarsi che il provvedimento impugnato è innanzitutto conforme all’indirizzo giurisprudenziale, ormai prevalente, secondo cui, in tema di misure cautelari personali, il requisito dell’attualità del pericolo previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice

della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale e che deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma che non deve altresì contemplare la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (cfr., tra le altre, Sez. 2, Sentenza n. 5054 del 24/11/2020, omissis, Rv. 280566 – 01; da ultimo, Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, Rv. 282891 – 01; Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022 Rv. 282991 – 01).

Ed il Tribunale, nel caso di specie, ha ben posto in luce la concretezza del pericolo di reiterazione, nel senso della sussistenza dell’occasione, desumendola dal fatto che l’indagato continua “a gestire anche di fatto società che continuano ad accumulare debiti con il fisco” – circostanza non oggetto di specifica contestazione in ricorso se non sotto il profilo di aspetti in fatto qui non sindacabili che peraltro non pongono specificamente in discussione il coinvolgimento dell’indagato in altre società che hanno accumulato debiti con l’Erario, ma che tendono piuttosto ad evidenziare la risalenza nel tempo degli inadempimenti tributari ovvero un profilo che a rigore di per sé non esclude la persistenza

dell’inadempimento anche all’attualità e la produzione di quelle conseguenze altamente dannose per la società che conseguono in termini di interessi e sanzioni per la società che non onora i debiti tributari (al ricorrente è contestato, tra gli altri reati fallimentari, anche quello di bancarotta impropria cd. tributaria per la sistematica omissione, relativamente alla società cooperativa A., dichiarata fallita il 9.12.2020, dei versamenti relativi agii obblighi fiscali e contributivi cui è conseguito l’accumulo di un debito per oltre 2.460.814,00 euro, costituente la parte preponderante dell’intero passivo fallimentare pari a oltre tre milioni di euro; per altro verso al ricorrente è altresì contestato lo svuotamento della società portata al contempo al fallimento).

Il Tribunale ha in buona sostanza tratto da tale circostanza un “indice di una condotta potenzialmente depauperativa che è indìce di un concreto pericolo di reiterazione di analoghe condotte”, pericolo che – è il caso di precisare – va evidentemente rapportato non solo alla possibile reiterazione del reato di

bancarotta impropria cd. tributaria ma anche a quello di bancarotta fraudolenza patrimoniale per distrazione parimenti oggetto di contestazione provvisoria – in relazione a vicende distrattive intervenute negli anni 2018-2020 – che, secondo l’impostazione accusatoria – recepita dai giudici della cautela – si innesta proprio in quel contesto di forte inadempimento del debito tributario e contributivo che avrebbe caratterizzato – anche – la gestione della società fallita (la cooperativa A.).

Sicchè, in definitiva, il ricorso, proteso a contestare l’attualità del pericolo di reiterazione dei reati evidenziando, da un lato, la risalenza nel tempo degli inadempimenti tributari, e, dall’altro, la mancata verifica delle effettive condizioni economiche delle società esposte col fisco adducendo genericamente l’adozione di strumenti di definizione del debito con l’Agenzia delle Entrate, finisce col trascurare che il pericolo che si paventa prescinde da tali aspetti genericamente addotti essendosi piuttosto desunto dallo stesso modus operandi adottato, in epoche non risalenti, 2018 fino al 2020, dall’indagato – in concorso con altri – rispetto alla società A., elementi concreti di valutazione che lasciano convintamente supporre che lo stesso possa adottare analoghi comportamenti rispetto alle altre società in cui è parimenti coinvolto e che sono comunque anch’esse caratterizzate – quanto meno alcune – da esposizioni debitorie con l’Erario. Le concrete modalità realizzative delle condotte criminose ascritte e la esistenza di concrete occasioni hanno indotto a ritenere concreto il pericolo di reiterazione dei reati in coerenza con l’orientamento di questa Corte che come sopra evidenziato non esige l’individuazione di specifiche imminenti opportunità di ricaduta nel delitto.

Si tratta di profili che sono stati ritenuti decisivi anche in ragione della personalità dell’indagato per come delineata nel provvedimento impugnato che non ha mancato di sottolineate, per altro verso, i precedenti penali del prevenuto, definito, tra l’altro, soggetto “poco ricettivo verso le attività trattamentali già compiute nei suoi confronti” (pur essendo stato ammesso all’affidamento in prova nel 1996 ha continuato a delinquere).

Indi, contrariamente a quanto, diversamente, sostenuto dalla difesa, il Tribunale ha, correttamente, fondato il giudizio cautelare circa la pericolosità attuale del ricorrente sulle concrete modalità e circostanze del fatto citando proprio la giurisprudenza di questa Corte in tema di requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., citata in premessa (Sez. 5, Sentenza n. 11250 del 19/11/2018, omissis, Rv. 277242 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 14840 del 22/01/2020, omissis, Rv. 279122 – 01).

Il Tribunale ha per altro verso comunque calibrato la misura cautelare alle effettive esigenze riscontrate applicando la misura degli arresti domiciliari in luogo di quella richiesta della custodia cautelare in carcere.

2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso, al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate.

Conseguono per la Cancelleria gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.

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