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Il potere di integrazione probatoria ex art. 507 cod. proc. pen. include anche le prove non richieste o non accettate dalle parti?

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Cass. pen., sez. V, 10/05/2024 (ud. 10/05/2024, dep. 03/09/2024), n. 33436 (Pres. Vessichelli, Rel. Carusillo)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se il potere di integrazione probatoria ex art. 507 cod. proc. pen.[1] si riferisce anche alle prove la cui assunzione non sia stata richiesta o acconsentita dalle parti.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Genova, in parziale riforma di una pronuncia emessa dal Tribunale di Savona, confermava la penale responsabilità degli imputati in ordine al delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione di cui agli artt. 216 e 223 legge fall..

Ciò posto, avverso questa decisione ambedue gli accusati, per il tramite dei loro difensori, proponevano ricorso per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, uno di questi deduceva erronea applicazione di legge in relazione agli artt. 111 Cost. e 6 Cedu, censurandosi il provvedimento con il quale la Corte territoriale, senza attendere le determinazioni della difesa, aveva acquisito agli atti del fascicolo il dvd, esibito dalla pubblica accusa, contenente i tabulati telefonici utili ai fini dell’individuazione dell’imputato, del quale la difesa era venuta a conoscenza solo nel corso dell’esame di un teste di p.g., così violando il diritto al contraddittorio.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Gli Ermellini ritenevano il motivo suesposto infondato.

In particolare, tra le argomentazioni che avevano indotto i giudici di piazza Cavour ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo cui spetta al giudice il potere di integrazione probatoria ex art. 507 cod. proc. pen. anche con riferimento a prove la cui assunzione non sia stata richiesta o acconsentita dalle parti, in quanto tale potere è funzionale a garantire il controllo giudiziale sull’esercizio dell’azione penale e sul suo sviluppo processuale, ovvero sulla completezza del compendio probatorio su cui deve fondarsi la decisione (Sez. 2, n. 34868 del 04/07/2019).

Difatti, per gli Ermellini, i giudici d’appello, con argomentazione (reputata) corretta, logica ed esauriente, avevano sottolineato che il mancato deposito dei tabulati telefonici rileva solo in sede di conclusione delle indagini, rendendoli inutilizzabili ai fini della emissione del decreto di rinvio a giudizio, senza tuttavia escludere la loro acquisizione a dibattimento (Sez. 1, n. 4071 del 04/05/2018; Sez. 3, n. 49643 del 22/09/2015; Sez. 1, n. 19511 del 15/01/2010), da ciò conseguendo che l’ostensione degli stessi a dibattimento non concretava una lesione delle prerogative difensive, atteso che l’andamento del rito ordinario comportava fisiologicamente che il materiale probatorio d’accusa potesse anche incrementarsi.

I risvolti applicativi

Il giudice può integrare il compendio probatorio ex art. 507 cod. proc. pen. anche con prove non richieste o accettate dalle parti, e ciò per garantire un controllo completo sull’azione penale e sul processo.

[1]Ai sensi del quale: “1. Terminata l’acquisizione delle prove, il giudice, se risulta assolutamente necessario, può disporre anche di ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prove. 1-bis. Il giudice può disporre a norma del comma 1 anche l’assunzione di mezzi di prova relativi agli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento a norma degli articoli 431, comma 2, e 493, comma 3”.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 5 Num. 33436 Anno 2024

Presidente: VESSICHELLI MARIA

Relatore: CARUSILLO ELENA

Data Udienza: 10/05/2024

Data Deposito: 03/09/2024

SENTENZA

sui ricorsi proposti nell’interesse di

G. G., nato a … il …

e

A. A., nato a … il …

avverso la sentenza emessa il 13/11/2023 dalla Corte d’appello di Genova;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal consigliere dott.ssa Elena Carusillo;

sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa Perla Lori, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi;

ascoltati i difensori di G. G., avv. G. V. e avv. M. C., e il difensore di A. A., avv. A. P., che hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con separati atti, i difensori di G. G., avv. G. V. e avv. M. C., e il difensore di A. A., avv. A. P., ricorrono per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova che, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Savona, ha confermato la penale responsabilità degli imputati in ordine al delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione di cui agli artt. 216 e 223 legge fall., contestato al capo A) della rubrica – perché in concorso tra loro, in qualità di concorrenti estranei, distraevano, nell’interesse della fallita Società A. G. s.r.I., la merce da questa acquistata dalla F. C. I. s.r.l., omettendo di pagare parte dell’importo, pari a euro 555.850,00 – e li ha assolti dalla restante contestazione di cui al medesimo capo d’imputazione, nonché dal delitto contestato al capo B) della rubrica.

2. L’avv. M. C., difensore di G. G., articola tre motivi.

2.1 Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. per erronea applicazione di legge in relazione agli artt. 111 Cost. e 6 Cedu, censura il provvedimento con il quale la corte territoriale, senza attendere le determinazioni della difesa, ha acquisito agli atti del fascicolo il dvd, esibito dalla pubblica accusa, contenente i tabulati telefonici utili ai fini dell’individuazione dell’imputato, del quale la difesa era venuta a conoscenza solo nel corso dell’esame del teste di p.g. M., così violando il diritto al contraddittorio.

2.2 Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. per violazione di legge processuale in relazione agli artt. 191 e 256 cod. proc. pen., lamenta che la corte territoriale ha omesso di rispondere alla censura formulata in merito all’assenza, agli atti del fascicolo, del decreto autorizzativo di acquisizione dei tabulati telefonici riportati nel dvd, posti a base dell’identificazione dell’imputato.

2.3 Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. per erronea applicazione di legge in relazione agli artt. 40, 110 cod. pen. e 216 legge fall. e per vizio di motivazione, lamenta che la corte territoriale ha omesso di spiegare le ragioni per le quali, ritenuto il compendio probatorio insufficiente ad attribuire all’imputato il ruolo di amministratore di fatto, lo ha ritenuto invece idoneo ai fini del riconoscimento della responsabilità dello stesso come terzo estraneo, senza dare conto dell’esistenza di una reale e consapevole partecipazione del G. all’operazione contestata e allo scopo distrattivo cui la stessa era volta.

3. In qualità di difensore di G. G., l’avv. G. V., articola quattro motivi.

3.1 Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. per violazione di legge processuale in relazione all’art. 521 cod. proc. pen., lamenta che la corte territoriale, escluso il ruolo di amministratore di fatto dell’imputato in ragione dell’attività non continuativa, ma solo episodica svolta dallo stesso in favore della fallita, e riconosciuto il ruolo di amministratore di diritto in capo a G. S., ha ritenuto, invece, la responsabilità dello stesso quale terzo estraneo, così attribuendogli una condotta diversa da quella contestata.

3.2 Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. per erronea applicazione di legge in relazione all’art. 223 legge fall., lamenta che la corte territoriale, escluso il ruolo di amministratore di fatto, ha ravvisato la penale responsabilità dell’imputato quale extraneus, senza dare contezza degli elementi comprovanti la consapevolezza e volontà dello stesso di arrecare un danno alle ragioni creditorie e di cagionare il depauperamento del patrimonio sociale.

3.3 Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per vizio di motivazione, lamenta che i giudici d’appello, escluso il ruolo di amministratore di fatto dell’imputato, hanno omesso di spiegare le ragioni del coinvolgimento di G. G., quale concorrente estraneo, nell’azione distrattiva dell’amministratore di diritto.

3.4 Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. per erronea applicazione di legge, lamenta che la corte distrettuale ha tenuto conto della recidiva contestata all’imputato ai sensi dell’art. 99, comma quarto, cod. pen., là dove, in ragione della continuazione tra due pregresse sentenze passate in giudicato, avrebbe dovuto ritenere la recidiva semplice o, al più, l’ipotesi di cui al comma secondo della norma citata, con aumento di pena “fino alla metà” e non “della metà”.

4. La difesa di A. A., con tre motivi, singolarmente articolati, ma unitariamente argomentati, proposti ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. per erronea applicazione di legge in relazione agli artt. 40 e 110 cod. pen. e per vizio di motivazione, lamenta che la corte territoriale, escluso lo svolgimento del ruolo di amministratore di fatto, ha ritenuto l’imputato responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva in qualità di extraneus, senza operare alcuna distinzione tra le condotte ascritte allo stesso e quelle contestate al coimputato G. e senza indicare le ragioni per

le quali ha ravvisato, in assenza di un adeguato compendio probatorio, l’adesione e consapevolezza dello stesso al piano distrattivo architettato dall’amministratore di diritto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi articolati nell’interesse di G. G. sono privi di pregio.

2. Quanto al ricorso formulato dall’avv. M. C., infondato è il primo motivo che censura la decisione con la quale i giudici d’appello hanno acquisito agli atti del fascicolo il dvd contenente i tabulati telefonici, esibito dalla pubblica accusa solo successivamente all’esame del teste di p.g. M., cui questi aveva fatto riferimento ai fini della localizzazione delle “celle” e dell’individuazione degli utilizzatori degli apparecchi telefonici, documento del quale la difesa era venuta a conoscenza solo nel corso della deposizione, con conseguente impossibilità di controdedurre in merito all’utilizzabilità dello stesso.

Sulla premessa che spetta al giudice il potere di integrazione probatoria ex art. 507 cod. proc. pen. anche con riferimento a prove la cui assunzione non sia stata richiesta o acconsentita dalle parti, in quanto tale potere è funzionale a garantire il controllo giudiziale sull’esercizio dell’azione penale e sul suo sviluppo processuale, ovvero sulla completezza del compendio probatorio su cui deve fondarsi la decisione (Sez. 2, n. 34868 del 04/07/2019, omissis, Rv. 276430), i giudici d’appello, con argomentazione corretta, logica ed esauriente, hanno sottolineato che il mancato deposito dei tabulati telefonici rileva solo in sede di conclusione delle indagini, rendendoli inutilizzabili ai fini della emissione del decreto di rinvio a giudizio, senza tuttavia escludere la loro acquisizione a dibattimento (Sez. 1, n. 4071 del 04/05/2018, dep. 2020, omissis, Rv. 278583 – 02; Sez. 3, n. 49643 del 22/09/2015, omissis, Rv. 265552 – 01; Sez. 1, n. 19511 del 15/01/2010, omissis, Rv. 247192 – 01), da ciò conseguendo che l’ostensione degli stessi a dibattimento non concreta una lesione delle prerogative difensive, atteso che l’andamento del rito ordinario comporta fisiologicamente che il materiale probatorio d’accusa possa anche incrementarsi.

La corte distrettuale, inoltre, ha evidenziato che, in merito alla produzione da parte della pubblica accusa del dvd solo successivamente all’ascolto del teste di p.g. e all’acquisizione dello stesso, la difesa non aveva proposto opposizione, né avanzato richiesta di controdedurre o di procedere al riascolto del teste, circostanza sulla quale la stessa nulla ha obiettato.

2.1 II secondo motivo, con il quale la difesa censura la mancata produzione del provvedimento autorizzativo di acquisizione dei tabulati telefonici, è inedito e, pertanto, inammissibile, in quanto l’ambito di cognizione – e la conseguente deducibilità per cassazione della relativa questione – del giudice è delimitata dalle censure devolute con l’impugnazione.

Tanto, non senza considerare che la corte distrettuale ha evidenziato, in riferimento ai tabulati telefonici, che «deve ritenersi pacifica tra le parti la loro acquisizione sulla base di legittimo provvedimento autorizzativo dell’autorità giudiziaria, non essendo stato sollevato, sul punto, rilievo alcuno».

2.2 Infondato è il terzo motivo di ricorso con il quale la difesa censura l’attribuzione al ricorrente della responsabilità in ordine al delitto contestato, quale concorrente estraneo, sulla base di un compendio probatorio asseritamente insufficiente ad ascrivere allo stesso la qualifica di amministratore di fatto.

Premesso che la giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che la decisione con la quale sia condannato un soggetto quale concorrente esterno in un reato di bancarotta fraudolenta, anziché quale amministratore di fatto, non integra la violazione del principio di correlazione tra reato contestato e reato ritenuto in sentenza, sempreché rimanga immutata l’azione distrattiva ascritta (Sez. 5, n. 18770 del 22/12/2014, dep. 2015, omissis, Rv. 264073; Sez. 5, n. 4117 del 09/12/2009, dep. 2010, omissis, Rv. 246100; Sez. 5, n. 13595 del 19/02/2003, omissis, Rv. 224842), nella pronuncia in verifica, la corte territoriale ha indicato gli elementi di prova sulla base dei quali ha riqualificato la condotta di amministratore di fatto in quella di extraneus, sicché la censura proposta si risolve in inammissibili sollecitazioni di una rivisitazione nel merito della vicenda.

La corte distrettuale, tenuto conto dell’attività svolta dall’amministratore di diritto G. S., ha dato atto dell’insufficienza di prove a carico dell’imputato in merito all’esercizio continuativo, e non meramente episodico e occasionale, dei poteri tipici inerenti la qualifica e la funzione o anche di soltanto alcuni di essi, evidenziando come il G. agì con il proposito di consentire l’operazione fraudolenta, facendo da intermediario con gli incaricati della società venditrice in occasione dell’acquisto di merce, dando l’idea di una realtà sociale, invero fittizia, mediante l’allestimento di un ufficio e la presenza di un’impiegata per il tempo strettamente necessario alla conclusione dei contratti di fornitura e, ancora, ricevendo la merce e trasferendola nei magazzini senza “alcuna contabile”, per poi trasmettere alla venditrice documenti non veri, rassicurandola in merito all’immediato pagamento delle somme pagate

con assegni privi di provvista, infine rendendosi irreperibile alle ulteriori richieste della venditrice.

Si tratta di circostanze dalle quali emerge, in tutta chiarezza, il dolo del ricorrente, quale concorrente extraneus nel reato proprio dell’amministratore, per la sussistenza del quale è sufficiente la volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, a nulla rilevando, invece, la specifica conoscenza dello stato di dissesto della società, che può incidere sul piano probatorio quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori (Sez. 5, n. 4710 del 14/10/2019, dep. 2020, omissis, Rv. 278156 – 02; Sez. 5, n. 38731 del 17/05/2017, omissis, Rv. 271123; Sez. 5, n. 54291 del 17/05/2017, omissis, Rv. 271837; Sez. 5, n. 12414 del 26/01/2016, omissis, Rv. 267059; Sez. 5, n. 16983 del 05/03/2014, omissis, Rv. 262905; Sez. 5, n. 1706 del 12/11/2013, P.G., omissis, Rv. 258950).

Ne consegue che ogni atto distrattivo assume rilievo ai sensi dell’art. 216 I.fall. in caso di fallimento, indipendentemente dalla rappresentazione di quest’ultimo che non costituisce l’evento del reato, il quale, invece, coincide con la lesione dell’interesse patrimoniale della massa, posto che se la conoscenza dello stato di decozione costituisce dato significativo della consapevolezza del terzo di arrecare danno ai creditori, ciò non significa che essa non possa ricavarsi da diversi fattori, quali – come nella specie- la natura fittizia o l’entità dell’operazione che incide negativamente sul patrimonio della società (Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010, omissis, Rv. 246879).

3. Dalle considerazioni da ultimo esposte consegue anche l’infondatezza dei primi tre motivi di ricorso formulati, nell’interesse del G., dall’avv. G. V., con i quali si censura l’attribuzione all’imputato, quale concorrente estraneo, della responsabilità in ordine al delitto contestato sia per violazione del diritto di difesa, sia per assenza di un compendio probatorio sufficiente ad ascrivere allo stesso la qualifica di amministratore di fatto e, soprattutto, a

ritenere il coinvolgimento dello stesso nell’azione distrattiva dell’amministratore di diritto.

3.1 Privo di pregio è anche il quarto motivo con il quale si censura la contestazione della recidiva … ai sensi dell’art. 99, comma quarto, cod. pen., in quanto erroneamente ritenuta. Invero, ad avviso della difesa, l’applicazione dell’istituto della continuazione tra due precedenti sentenze di condanna passate in giudicato, avrebbe dovuto indurre la corte a ritenere la recidiva semplice o, al più, l’ipotesi di cui al comma secondo della norma citata, con conseguente aumento della pena “fino alla metà” e non “della metà”.

Nel caso di specie, non rileva la questione relativa alla legittimità o meno della ritenuta recidiva  reiterata a fronte di reati precedentemente giudicati con distinte sentenze, affasciati dal vincolo della continuazione, in merito alla quale la giurisprudenza di legittimità, con orientamento maggioritario, ritiene che tra l’istituto della recidiva e quello della continuazione, non vi sia incompatibilità, sicché, sussistendone i presupposti normativi, entrambi gli istituti potranno essere applicati, in quanto la continuazione non comporta l’ontologica unificazione dei diversi reati avvinti dal vincolo del medesimo disegno criminoso, fondandosi su una mera fictio iuris a fini di temperamento del trattamento penale (Sez. 3, n. 54182 del 12/09/2018, omissis, Rv. 275296; Sez. 4, n. 21043 del 22/03/2018, B., Rv. 272745).

Ciò premesso, con la sentenza in verifica la corte territoriale ha ritenuto nei confronti del ricorrente la recidiva ex art. 99, comma terzo, cod. pen., applicando l’aumento di pena nella misura massima consentita, e non, come prospettato dalla difesa, la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale di cui all’art. 99, comma quarto, cod. pen. che, pertanto, non è stata applicata.

4. Anche i tre motivi – formulati separatamente, ma unitariamente argomentati – proposti nell’interesse di A. A., involgono la decisione con la quale i giudici d’appello, escluso lo svolgimento da parte dell’imputato del ruolo di amministratore di fatto, lo hanno ritenuto responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva in qualità di concorrente estraneo.

Anche in questo caso, la corte territoriale, con argomentazioni logiche ed esaustive, ha evidenziato che l’amministratore di diritto della fallita, individuato nella persona di G. S., non risultava affatto estraneo alla gestione della stessa. Invero era stata proprio la S. a rivendicare, in occasione della redazione e approvazione dei bilanci, il ruolo di amministratore di diritto e, in tale qualità, a deliberare l’aumento di capitale, nonché a modificare la denominazione della società da S. A. s.r.l. a S. A. G. s.r.I., ampliandone l’oggetto sociale.

Sono, questi, indici sulla base dei quali la corte d’appello ha escluso il ruolo di amministratore di fatto di A. A., tuttavia attribuendo allo stesso quello di concorrente estraneo.

Nella sentenza in verifica si dà atto della circostanza che, come il G., anche l’A. agì con il proposito di consentire la contestata operazione fraudolenta, prestandosi, in occasione dell’acquisto di merce, a fare da intermediario con gli incaricati della società venditrice, ricevendo la merce che trasferiva nei magazzini e trasmettendo alla stessa documenti non veri, per poi attivarsi nel rassicurarla in merito al prossimo pagamento di quanto dovuto e non percepito a seguito del mancato incasso di assegni privi di provvista, infine rendendosi irreperibile.

Si tratta, anche stavolta, di circostanze che rivelano, per un verso, il ruolo di concorrente estraneo dell’imputato, inserito nella dinamica societaria allo scopo di acquisire la fiducia dei clienti della società, già in stato di decozione, e di sottrarre la stessa ai pagamenti dovuti a seguito degli acquisti di merce e, per altro verso, la consapevolezza dell’A. di contribuire, con la condotta assunta, al depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, di per sé sufficiente ai fini della configurabilità del dolo del delitto contestato (Sez. 5, n. 4710 del 14/10/2019, dep. 2020, omissis, Rv. 278156 – 02; Sez. 5, n. 38731 del 17/05/2017, omissis, Rv. 271123; Sez. 5, n. 54291 del 17/05/2017, omissis, Rv. 271837; Sez. 5, n. 12414 del 26/01/2016, omissis, Rv. 267059; Sez. 5, n. 16983 del 05/03/2014, omissis, Rv. 262905; Sez. 5, n. 1706 del 12/11/2013, P.G., omissis, Rv. 258950).

Tanto non senza considerare, anche stavolta, che, rimasta immutata l’azione distrattiva ascritta all’imputato, la riqualificazione della condotta in quella di concorrente extraneus della fallita non integra la violazione del principio di correlazione tra reato contestato e reato ritenuto in sentenza.

5. Alla luce delle argomentazioni che precedono, i ricorsi proposti da entrambi gli imputati devono essere rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 10/05/2024.

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