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Il mancato inserimento dei decreti autorizzativi delle intercettazioni nel fascicolo per il dibattimento rende inutilizzabili gli esiti dei tabulati?

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Cass. pen., sez. II, 20/06/2024 (ud. 20/06/2024, dep. 11/07/2024), n. 27759 (Pres. Beltrani, Rel. D’Auria)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se il mancato inserimento dei decreti autorizzativi delle intercettazioni nel fascicolo per il dibattimento comporta la inutilizzabilità degli esiti dei tabulati.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Torino confermava una sentenza del Tribunale di Asti che, a sua volta, aveva condannato gli imputati per il reato di truffa aggravata.

Ciò posto, avverso questa pronuncia ricorreva per Cassazione la difesa degli accusati che, tra i motivi ivi addotti, deduceva la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

In particolare, tra le argomentazioni addotte in riferimento a tale doglianza, si sosteneva come fossero state erroneamente utilizzate le risultanze dei tabulati telefonici in assenza dei decreti autorizzativi.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

La Corte di legittimità riteneva l’argomentazione suesposta infondata alla stregua di quell’orientamento nomofilattico secondo cui, in tema di intercettazioni, i decreti autorizzativi non rientrano tra gli atti che devono essere inseriti nel fascicolo per il dibattimento ex art. 431, comma 1, cod. proc. pen., sicché il loro mancato inserimento nello stesso non determina alcuna inutilizzabilità degli esiti dei tabulati, salvo che non sia prospettata l’inesistenza o la nullità degli stessi (Sez. 3, n. 28483 del 10/9/2020; Sez. 1, n. 7845 del 21/1/2015).

I risvolti applicativi

I decreti autorizzativi per le intercettazioni non devono essere inclusi nel fascicolo per il dibattimento secondo l’art. 431, comma 1, codice di procedura penale[1].

Pertanto, il mancato inserimento di questi decreti non rende inutilizzabili gli esiti dei tabulati, a meno che non sia contestata la loro inesistenza o nullità.

[1]Secondo cui: “Immediatamente dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio, il giudice provvede nel contraddittorio delle parti alla formazione del fascicolo per il dibattimento. Se una delle parti ne fa richiesta il giudice fissa una nuova udienza, non oltre il termine di quindici giorni, per la formazione del fascicolo. Nel fascicolo per il dibattimento sono raccolti: a) gli atti relativi alla procedibilità dell’azione penale e all’esercizio dell’azione civile; b) i verbali degli atti non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria; c) i verbali degli atti non ripetibili compiuti dal pubblico ministero e dal difensore; d) i documenti acquisiti all’estero mediante rogatoria internazionale e i verbali degli atti non ripetibili assunti con le stesse modalità; e) i verbali degli atti assunti nell’incidente probatorio; f) i verbali degli atti, diversi da quelli previsti dalla lettera d), assunti all’estero a seguito di rogatoria internazionale ai quali i difensori sono stati posti in grado di assistere e di esercitare le facoltà loro consentite dalla legge italiana; g) il certificato generale del casellario giudiziario e gli altri documenti indicati nell’articolo 236, nonché, quando si procede nei confronti di un apolide, di una persona della quale è ignota la cittadinanza, di un cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea ovvero di un cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea privo del codice fiscale o che è attualmente, o è stato in passato, titolare anche della cittadinanza di uno Stato non appartenente all’Unione europea, una copia del cartellino fotodattiloscopico con indicazione del codice univoco identificativo; h) il corpo del reato e le cose pertinenti al reato, qualora non debbano essere custoditi altrove”.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 2 Num. 27759 Anno 2024

Presidente: BELTRANI SERGIO

Relatore: D’AURIA DONATO

Data Udienza: 20/06/2024

Data Deposito: 11/07/2024

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

F. S. nato a … il …

V. T. nato a …il …

avverso la sentenza del 13/02/2024 della Corte di appello di Torino

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere DONATO D’AURIA;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paola Mastroberardino, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi;

ricorsi trattati con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23, comma 8, D. L. n. 137/2020 e del successivo art. 8 D. L. n. 198/2022.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Torino con sentenza del 13/2/2024 ha confermato la sentenza del Tribunale di Asti del 21/2/2022, ché aveva condannato S. F. e T. V. per il reato di truffa aggravata, per aver prospettato alla persona offesa che aveva inserito in maniera irregolare un annuncio di vendita su un sito internet e che, se non avesse versato la somma di denaro richiesta, sarebbe andata incontro ad una sanzione pecuniaria ed all’apertura di un procedimento presso il Tribunale di Torino.

2. Gli imputati, a mezzo del difensore, hanno interposto ricorso per cassazione.

2.1. Con il primo motivo deducono la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Evidenzia la difesa che la Corte territoriale ha fondato l’affermazione di penale responsabilità sulla base di una errata dimostrazione di carattere logico-indiziario della loro messa a disposizione di strumenti necessari alla esecuzione del reato, segnatamente la formale intestazione dell’utenza telefonica e della carta postepay; che ciò ha fatto senza accertare né che detti strumenti fossero nella sostanziale disponibilità degli imputati, né la consapevole partecipazione degli stessi alla truffa; che del tutto erroneamente ha ritenuto dimostrato che quella utenza e quella postepay sarebbero state utilizzate anche in altre occasioni, atteso che trattasi di circostanze apprese da una sentenza di patteggiamento, che non costituisce di per sé una prova certa dei fatti; che ancora erroneamente ha utilizzato le risultanze dei tabulati telefonici in assenza dei decreti autorizzativi, peraltro senza considerare che possono essere utilizzate a carico dell’imputato solo unitamente ad altri elementi di prova, che nel caso di specie sono carenti; che l’erroneo utilizzo dei risultati emergenti dai tabulati dell’utenza telefonica intestata al V. è tale che la sua analisi corretta sarebbe viceversa in grado di scompaginare il costrutto argomentativo di entrambe le sentenze di merito; che ancora erroneamente ha utilizzato il silenzio serbato dagli imputati a loro carico, nonostante si tratti di diritto costituzionalmente garantito, tutelato anche a livello sovranazionale dall’art. 7 della Direttiva 2016/343/UE, senza considerare che il silenzio potrebbe assumere qualche valenza, sia pure residuale e complementare rispetto agli altri dati acquisiti, solo in presenza di un quadro probatorio già solido; che comunque non risulta rispettata la regola di giudizio dell'<al di là di ogni ragionevole dubbio», atteso che il provvedimento impugnato lascia viva la sussistenza di ipotesi alternative.

2.2. Con il secondo motivo eccepiscono la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione alla contestata circostanza aggravante, nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Osserva la difesa che non sussiste la circostanza aggravante dell’aver ingenerato nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario, atteso che astrattamente quanto paventato dagli autori della truffa (l’inflizione di una sanzione pecuniaria e l’apertura di un procedimento giudiziario) esiste nella realtà ordinamentale; che, invece, il pericolo immaginario è il pericolo inesistente; che, dunque, nel caso di specie, il pericolo non è immaginario perché esistente nella realtà ordinamentale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili.

1.1. La sentenza di appello in punto di responsabilità costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del Tribunale, sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 2, n. 6560 del 8/10/2020, omissis, Rv. 280654 – 01).

Tanto premesso, rileva il Collegio che il primo motivo è manifestamente infondato e reitera pedissequamente le doglianze proposte al giudice di appello e da questi risolte con motivazione congrua, diffusa ed esaustiva, oltre che scevra da vizi logici. La responsabilità degli odierni ricorrenti è stata affermata sulla base delle coerenti ed attendibili dichiarazioni di R. C. e sugli esiti delle indagini di polizia giudiziaria, che hanno consentito di accertare che l’utenza telefonica da cui era partita la telefonata diretta alla persona offesa era intestata al V., mentre la postepay era intestata al F..

Quanto alla inutilizzabilità delle risultanze dei tabulati telefonici per assenza dei decreti autorizzativi, la Corte territoriale ha osservato, in conformità alla giurisprudenza di legittimità in tema di intercettazioni, che detti decreti non rientrano tra gli atti che devono essere inseriti nel fascicolo per il dibattimento ex art. 431, comma 1, cod. proc. pen., sicché il loro mancato inserimento nello stesso non determina alcuna inutilizzabilità degli esiti dei tabulati, salvo che non sia prospettata l’inesistenza o la nullità degli stessi (Sez. 3, n. 28483 del 10/9/2020, D., Rv. 280013 – 01; Sez. 1, n. 7845 del 21/1/2015, omissis, Rv. 262533 – 01), che nel caso di specie deve escludersi in considerazione della

testimonianza dell’agente operante M. C., che ha fatto specifico riferimento al decreto autorizzativo in base al quale è stato acquisito il tabulato telefonico. Va, poi, rilevato che – con riferimento alla disciplina transitoria di cui all’art. 1, comma 1-bis, d.l. 30 settembre 2021, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2021, n. 178 – gli “altri elementi di prova” che devono corroborare i cd. “dati esteriori” delle conversazioni, ai fini del giudizio di colpevolezza, possono essere di qualsiasi tipo e natura, in quanto non predeterminati nella specie e nella qualità, sicché possono ricomprendere non solo le prove storiche dirette, ma anche quelle indirette, legittimamente acquisite e idonee, anche sul piano della mera consequenzialità logica, a confortare il mezzo di prova ritenuto “ex lege” bisognoso di conferma (Sez. 4, n. 50102 del 5/12/2023, omissis, Rv. 285469 – 01). Nel caso di specie, le risultanze dei tabulati telefonici si aggiungono alle dichiarazioni della persona offesa, alla accertata titolarità dell’utenza e della postepay, di talchè sono state legittimamente utilizzate.

Orbene, a fronte di una siffatta piattaforma probatoria, gli imputati non hanno fornito una ricostruzione alternativa, idonea a insinuare il ragionevole dubbio in ordine alla loro estraneità ai fatti. Del resto, nel caso in cui l’imputato si sia avvalso del diritto al silenzio, rinunciando così a prospettare una sua versione dei fatti, non ha l’obbligo di verificare le ipotesi alternative alla ricostruzione dei fatti quale emergente dalle risultanze probatorie, in quanto con tale condotta processuale l’imputato non ha offerto al contraddittorio dibattimentale, dichiarandola, la sua verità dei fatti stessi (Sez. 3, n. 30251 del 15/7/2011, omissis, Rv. 251313 – 01). In altri termini, l’imputato può scegliere come strategia processuale di rimanere silente in ordine all’addebito che gli viene mosso, ma in tal modo rinuncia ad allegare la propria versione che prospetti una alternativa ricostruzione dei fatti, che contrasti le emergenze processuali ed esonera il giudice dalla relativa verifica. Ciò non significa valorizzare in chiave di accusa il silenzio, come ritiene il difensore, comportando unicamente che il giudice si astenga dal verificare le ipotesi alternative per mancanza dell’oggetto, mancando la prospettazione dell’imputato di una diversa ricostruzione dei fatti.

In ogni caso, il silenzio è stato valutato come elemento residuale e sussidiario, a fronte del solido compendio probatorio sopra evidenziato.

Quanto, infine, alla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, relativa ad una serie di truffe poste in essere con le stesse modalità dai due odierni ricorrenti, osserva il Collegio che è stata correttamente utilizzata dalla Corte territoriale, attesa la sua equiparazione – quanto al fatto ed alla responsabilità – alla pronuncia di condanna dibattimentale, avendo il legislatore stabilito in via generalizzata una parificazione dei due tipi di sentenza, salvo che non intervenga una disposizione specifica a stabilire diversamente (Sez. 1, n. 51160 del 9/5/2018, omissis, Rv. 274911 – 01; Sez. U, n. 17781 del 29/11/2005, omissis, Rv. 233518 – 01, in tema di revoca della sospensione condizionale della pena in precedenza disposta).

In conclusione, dal complessivo coacervo probatorio le sentenze di merito hanno tratto la prova della responsabilità di entrambi gli imputati al di là di ogni ragionevole dubbio.

1.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo.

Osserva il Collegio che effettivamente il termine “immaginario” sta ad indicare tutto ciò che è effetto dell’immaginazione ed esiste solo in essa, senza alcun fondamento nella realtà (Sez. 2, n. 4180 del 3/3/2000, omissis, Rv. 215705 – 01), non anche ciò che astrattamente è possibile, sia pure non nel caso concreto. Diversamente argomentando, non vi sarebbe differenza rispetto al raggiro tout court, quale elemento costitutivo della truffa, posto che la nozione di raggiro indica proprio quel «comportamento, per lo più di natura verbale, tenuto nei confronti di un determinato soggetto e ispirato ad astuzia o ingegnosità e allo sfruttamento dell’altrui ingenuità o buona fede, che determina

nel destinatario un’erronea rappresentazione della realtà, lo scopo di tale comportamento essendo normalmente quello di indurre il destinatario a fare, con proprio danno e con indebito vantaggio della controparte o di un terzo, qualcosa che egli altrimenti non farebbe nello stesso modo» (Sez. 2, n. 46209 del 3/10/2023, omissis, in motivazione). Dunque, la nozione di “pericolo immaginario” corrisponde a quella di “pericolo inesistente” che, venendo fatto percepire come reale alla persona offesa, assume la natura di raggiro connotato da una maggiore offensività (Sez. 2, n. 8974 del 6/6/1996, omissis, Rv. 206281 – 01, in relazione al ventilato asporto dei beni mobili dall’abitazione, prospettato da soggetti falsamente qualificatisi come ufficiali giudiziari. In tale ipotesi è stato escluso il carattere “immaginario” del male così minacciato, risultando il predetto asporto consentito dalla normativa di cui agli artt. 520 e 521 cod. proc. civ., i quali espressamente prevedono che ai fini della

conservazione delle cose pignorate l’ufficiale giudiziario autorizza il custode a trasportarle altrove).

Tanto premesso in diritto, rileva il Collegio che, nel caso di specie, il motivo è generico, in quanto si limita assertivamente ad affermare che le conseguenze paventate dagli autori della truffa (l’irrogazione di una sanzione pecuniaria e l’apertura di un procedimento innanzi all’Autorità Giudiziaria) esistono nella realtà ordinamentale, senza specificamente argomentare sul punto, reiterando il motivo di appello già ritenuto generico dalla Corte territoriale.

Orbene, la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce, tale revisione critica si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità, debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta, anche al fine di delimitare con precisione l’oggetto del gravame ed evitare, di conseguenza, impugnazioni generiche o meramente dilatorie (Sez. 6, n. 39247 del 12/7/2013, omissis, Rv. 257434 – 01; Sez. 6, n. 1770 del 18/12/2012, omissis, Rv. 254204 – 01). Contenuto essenziale del ricorso in cassazione è, pertanto, il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento oggetto di impugnazione (per tutte, Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, omissis, Rv. 268822 – 01). L’indeterminatezza e la genericità del motivo lo condannano di conseguenza alla inammissibilità.

2. All’inammissibilità dei ricorsi segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata.

P. Q. M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna iricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

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