Il giudice della riparazione può valutare diversamente i fatti rispetto al giudice della cognizione?

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Cass. pen., sez. IV, 3/04/2025 (ud. 3/04/2025, dep. 29/05/2025), n. 20186 (Pres. Dovere, Rel. De Lauro)

Indice

La questione giuridica

Una delle questioni giuridiche, affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, riguardava se il giudice della riparazione può ritenere provati fatti che non sono stati considerati tali dal giudice della cognizione, ovvero provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate.

Ma, prima di vedere come il Supremo Consesso ha trattato siffatta questione, esaminiamo brevemente il procedimento in occasione del quale è stata emessa la sentenza qui in commento.

La Corte di Appello di Firenze rigettava una domanda formulata per la riparazione dovuta ad ingiusta sottoposizione ad una misura cautelare della custodia in carcere, per essere stato poi il richiedente definitivamente assolto dall’addebito.

Ciò posto, avverso questa decisione ricorreva per Cassazione il difensore dell’istante il quale, con un unico motivo, deduceva violazione di legge e vizio della motivazione.

Come la Cassazione ha affrontato tale questione giuridica

Il Supremo Consesso riteneva il ricorso suesposto fondato.

In particolare, tra le argomentazioni inducevano la Corte di legittimità ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo cui il giudice della riparazione non può ritenere provati fatti che non sono stati considerati tali dal giudice della cognizione, ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate (Sez. 4, n. 46469 del 14/09/2018; Sez. 4, n. 12228 del 10/01/2017; Sez. 4, n. 11150 del 19/12/2014; Sez. 3, n. 19998 del 20/04/2011).

Difatti, per i giudici di piazza Cavour, la Corte distrettuale aveva indebitamente valorizzato, al fine di ritenere la condotta colposa del ricorrente, fatti esclusi dal giudice della imputazione.

I risvolti applicativi

Il giudice della riparazione non può discostarsi dalle valutazioni effettuate dal giudice della cognizione.

Sentenza commentata

Penale Sent. Sez. 4 Num. 20186 Anno 2025

Presidente: DOVERE SALVATORE

Relatore: LAURO DAVIDE

Data Udienza: 03/04/2025

Data Deposito: 29/05/2025

QUARTA SEZIONE PENALE

Composta da

SALVATORE DOVERE – Presidente – Sent. n. sez. 349/2025

EUGENIA SERRAO CC – 03/04/2025

VINCENZO PEZZELLA R.G.N. 3924/2025

ANNA LUISA ANGELA RICCI

DAVIDE LAURO – Relatore –

ha pronunciato la seguente

sul ricorso proposto da:

A. Z. nato a … il …

nei confronti di:

Ministero dell’Economia e delle Finanze

avverso l’ordinanza del 17/09/2024 della Corte di appello di Firenze;

udita la relazione svolta dal Consigliere Davide Lauro;

lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, Aldo Esposito, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

letta la memoria dell’avv. G. T., del foro di …, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

1. Con ordinanza del 17 settembre 2024 la Corte di appello di Firenze ha rigettato la domanda formulata da Z. A. per la riparazione dovuta ad ingiusta sottoposizione alla misura cautelare della custodia in carcere a far data dal 7 dicembre 2010, per poi essere definitivamente assolto dall’addebito con sentenza emessa dalla Corte di appello di Firenze in data 20 dicembre 2021 (irrev. 6 maggio 2022).

La misura cautelare nei confronti di Z. A. fu disposta in quanto gravemente indiziato, insieme all’allora compagna M. P. ed altri soggetti, dei reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.

1.1. Più in particolare, l’ordinanza impugnata ha ritenuto sussistente la colpa grave di cui all’art. 314, comma 1, cod. proc. pen., osservando che, nel giudizio di cognizione, pur conclusosi con pronuncia assolutoria, è emersa la frequentazione di Z. A. con M. P. (come ammesso da A. anche in sede di interrogatorio), donna che era “dedita in modo esclusivo e continuativo a trafficare sostanze stupefacenti”, avvalendosi di una vettura risultata poi in uso (anche) all’imputato.

Ulteriori profili di colpa sono stati rinvenuti nel fatto che, al momento dell’arresto, egli era sprovvisto di un documento di riconoscimento, nonché nell’aver riportato una condanna per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sebbene per fatti successivi a quelli per i quali fu tratto in arresto.

L’ordinanza ha pure sottolineato la attendibilità delle originarie dichiarazioni della P., ed il margine di dubbio residuato circa l’identificazione, nella persona di A., di colui il quale interloquiva con la donna nelle conversazioni intercettate.

2. Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione Z. A., a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.

2.1. Con un unico motivo deduce violazione di legge e vizio della motivazione.

I giudici della riparazione sono incorsi in errore nel ricostruire una serie di circostanze di fatto, con evidenti riflessi sulle valutazioni contenute nell’ordinanza impugnata: nel giudizio di appello non vi fu alcuna ritrattazione, né alcuna perizia fonica (che invece fu disposta dal Tribunale).

Inoltre, hanno malamente applicato il principio secondo il quale il giudice della riparazione deve procedere alla autonoma valutazione dei fatti accertati nel giudizio sulla responsabilità, giungendo infatti ad attribuire al ricorrente i fatti per i quali è stato prosciolto.

Né i giudici della riparazione si sono avveduti del fatto che la frequentazione con la P. (tramutatasi in convivenza) non riguardò il periodo in cui furono intercettate le conversazioni poste a fondamento della misura cautelare.

Sottolinea il ricorrente, infine, che nessuna valenza possono assumere, al fine di stabilire se vi sia stata o meno colpa grave, tanto la condanna riportata per fatti successivi a quelli per i quali fu tratto in arresto, quanto il fatto che al momento dell’arresto fosse privo di documenti di identità.

3. Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, e le parti hanno formulato, per iscritto, le conclusioni come in epigrafe indicate.

1. Il ricorso è fondato.

2. Essendo stata dedotta una ipotesi di c.d. ingiustizia sostanziale, è compito del giudice della riparazione valutare se l’imputato, con una condotta gravemente negligente o imprudente, abbia colposamente indotto in inganno l’autorità giudiziaria in relazione alla sussistenza dei presupposti per l’adozione di una misura cautelare.

In tal modo la connotazione solidaristica dell’istituto viene quindi ad essere contemperata in rapporto al dovere di responsabilità gravante su tutti i consociati.

2.1. Questa Corte, nella sua più autorevole composizione, ha più volte ribadito che il giudice della riparazione deve procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze processuali rispetto al giudice penale.

Ciò in quanto è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione” (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, omissis, Rv. 203638 – 01; conf., Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, omissis, Rv. 222263 – 01). La valutazione deve essere effettuata , e ricalca quella eseguita al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo, ed è volta a verificare, seppur in presenza di un errore dell’autorità procedente: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentita dall’esito del giudizio; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010 omissis, Rv. 247663).

2.2. Nel caso in esame, come evidenziato anche dal Sostituto Procuratore generale (p. 4 requisitoria), la Corte distrettuale ha indebitamente valorizzato, al fine di ritenere la condotta colposa del ricorrente, fatti esclusi dal giudice della imputazione, come la identificazione del ricorrente nell’interlocutore della P. nelle conversazioni intercettate.

Invero, secondo il consolidato insegnamento della Corte di cassazione, il giudice della riparazione non può ritenere provati fatti che non sono stati considerati tali dal giudice della cognizione, ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate (Sez. 4, n. 46469 del 14/09/2018, omissis, Rv. 274350 – 01; Sez. 4, n. 12228 del 10/01/2017, omissis, Rv. 270039 – 01; Sez. 4, n. 11150 del 19/12/2014, dep. 2015, omissis, Rv. 262957 – 01; Sez. 3, n. 19998 del 20/04/2011, omissis, Rv. 250385 – 01).

Nel caso in esame, come emerge dal testo dell’ordinanza impugnata, all’esito della perizia fonica i giudici della cognizione hanno escluso che Z. A. fosse colui il quale interloquiva con M. P. nel corso delle conversazioni intercettate, poste a fondamento del titolo cautelare; i giudici della riparazione, invece, hanno sottolineato i dubbi residuati dall’accertamento processuale, per trarne argomento di prova della condotta ostativa (p. 3), così integrando il vizio denunciato dal ricorrente.

Quanto alla frequentazione con la P., ammessa dal ricorrente ma in relazione ad un diverso periodo storico, il provvedimento impugnato, con un non consentito automatismo, ne ha fatto discendere prova di una condotta gravemente colposa.

L’ordinanza, infatti, non indica elementi utili a comprovare la consapevolezza del ricorrente dell’attività illecita cui era dedita la donna; né spiega, una volta escluso il riferimento alle intercettazioni, in quali termini tale relazione potesse oggettivamente essere interpretata come indizio di complicità, così da essere posta quanto meno in una relazione di concausalità con il provvedimento

restrittivo.

Spiegazione che non può essere certo rappresentata – come invece pretenderebbe il provvedimento impugnato – dal fatto che il ricorrente in una occasione (non meglio circostanziata) fu coinvolto in un incidente stradale mentre era alla guida del veicolo che la donna, a quanto è dato comprendere, aveva usato in altre occasioni per trasportare lo stupefacente.

Né la Corte della riparazione indica le ragioni per le quali la condanna per un fatto successivo possa aver contribuito ad indurre in inganno l’autorità giudiziaria, in relazione alla sussistenza dei presupposti per l’adozione (o quantomeno per il mantenimento) della misura cautelare.

Analoghe censure debbono riguardare il passaggio in cui l’ordinanza impugnata attribuisce valenza sinergica al mancato possesso di documenti al momento dell’arresto, trattandosi di un fatto emerso dopo l’emissione del provvedimento restrittivo.

3. Tali considerazioni impongono l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio alla Corte di appello di Firenze per nuovo giudizio.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Firenze.

Così deciso in Roma, 3 aprile 2025.

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